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Mediterraneo. Il mare delle donne.
2007-10-26 18:12:37 cri     

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signora che, nel racconto "L'avventura di una bagnante", ha perso il pezzo di sotto del suo bikini ed

è costretta a rimanere in acqua per ore e ore perché non ha il coraggio di risalire sulla spiaggia in

quell'abbigliamento sconveniente.

Ma il racconto che a me piace più di tutti è uno dei racconti "scientifici" della raccolta Ti con zero

(1967), il racconto intitolato "Il sangue, il mare", ispirato a Calvino dalla tesi per cui il nostro

sangue ha la stessa composizione chimica del mare delle origini, quello in cui nuotavano i primi

organismi cellulari.

In fondo non è che sia cambiato molto: nuoto, continuo a nuotare nello stesso

caldo mare [dice il narratore dal nome impronunciabile, Qfwfq, l'uomo che c'è

sempre stato, il testimone senza tempo ] ossia non è cambiato il dentro, quello

che prima era il fuori in cui nuotavo, sotto il sole, e in cui nuoto, nel buio,

anche adesso che sta dentro: quel che è cambiato è il fuori, il fuori di adesso

che prima era il dentro di prima [...]

e così ora [...]. nel momento in cui ho posato una mano[...] sul suo ginocchio, o

è stata lei che ha cominciato a toccarmi, non ricordo, tanto i fatti di fuori

tendono a confondersi, quello che ho sentito, dico la sensazione che veniva dal

di fuori, era davvero una povera cosa, in confronto a quello che mi passava per

il sangue e che avevo sentito fin da allora, dal tempo che nuotavamo insieme

nello stesso oceano torrido e fiammeggiante, Zylphia e io. (Italo Calvino, "Il

sangue, il mare".)

E con questo siamo davvero arrivati al termine di un viaggio: il mare dentro di noi è lo stesso mare

che crediamo di guardare dall'esterno. Lucrezio non può starsene al sicuro sulla costa, perché il

navigante che si dibatte nella tempesta sotto i suoi occhi è lui stesso. E dunque non gli resta che

affidarsi fiducioso alla sua Venere genitrice, all'acqua come elemento femminile eterno, in cui

perdere ogni percezione di sé come essere finito e limitato. Perdersi per potersi ritrovare nell'altro

da sé. Per poter concludere come fece Leopardi, in uno dei versi più felici e più amati della

tradizione letteraria italiana:

"e il naufragar m'è dolce in questo mare".


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