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vi approda la guerriera Marfisa grazie alla solita tempesta che spinge la sua nave in un bel porto con
l'imboccatura a semicerchio: sulle due punte sorgono due roccaforti, e sullo sfondo si innalza la
città, come la gradinata di un teatro. Un colpo d'occhio spettacolare, tanto più che il porto appare
presidiato da "seimila femmine" con gli archi in mano, "in abito da guerra". Marfisa le combatterà,
ma per vincere la guerra e salvare i poveri maschi sarà necessario che il duca Astolfo tiri fuori il suo
magico strumento musicale, un corno che produce un suono tanto orribile e spaventoso che
terrorizza tutti, uomini, donne, amici e nemici, e la folla si ammassa "di qua di là, di su di giù
smarrita", e tutti scappano dove possono, e "molte, non sappiendo ove s'andare /messesi a nuoto ed
affogate in mare".
Siamo già a un pelo dall'opera buffa. Che arriverà, ma ben due secoli dopo l'Ariosto. Conosciuta
anche come "Commedia in musica" o "Commedia per musica", è un genere di opera lirica che si
sviluppò a Napoli nella prima metà del Settecento, e da lì migrò a Roma e nel nord Italia. Anche il
più famoso commediografo italiano, il veneziano Carlo Goldoni, scrisse qualche libretto di opera
buffa, tra cui uno che è particolarmente interessante perché ispirò direttamente il libretto di Lorenzo
da Ponte per "Così fan tutte" di Mozart. Il "Dramma Giocoso per Musica" di Goldoni fu
rappresentato la prima volta a Venezia durante il carnevale del 1752. Si intitolava "Le pescatrici" e
metteva in scena, sulle spiagge di una Taranto graziosamente idealizzata, un vero e proprio
minuetto di inganni amorosi tra le giovani coppie di pescatori e pescatrici in mezzo alle quali si
nasconde una principessa spodestata, che ovviamente alla fine sarà riconosciuta e riportata sul suo
trono da un bel principe che, ovviamente, l'ama e ne è riamato. Ma il punto di forza dell'opera sono
le due pescatrici Nerina e Lesbina, personaggi davvero goldoniani per la loro vivacità, per la
malizia "piena d'ingegno" con cui si vantano delle loro conquiste amorose:
So fa la semplicetta,
so far la modestina:
ma sono accorta e fina,
so l'arte del pescar.
Dall'esca mia fuggite,
amanti, se potete.
Ma se vi colgo in rete,
mai più vi lascio andar.
Con l'occhio, col labbro,
col ciglio, col viso,
col vezzo, col riso.
col dolce parlar,
vedrete
se in rete
saprovvi cuccar. (Goldoni, Le pescatrici, 1757)
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(Quando ho letto questo testo sono rimasta di sale, perché il verbo "cuccare" è entrato da pochi anni
nel gergo giovanile dell'italiano parlato, con il senso di "fare conquiste amorose", e ci eravamo
completamente dimenticati che è un verbo antico, usato nel senso di "prendere" ma anche, e
soprattutto, nel senso di "ingannare": due sensi che diventano facilmente un doppio senso,
consentendo a Goldoni di divertirci con le sue pescatrici così brave a far cadere gli uomini nelle reti
amorose.)
In questo Settecento cantabile, leggiadro, anche il colore del mare cambia, prende toni pastello, si fa
celeste chiaro più che azzurro, come se si incipriasse al modo delle dame dipinte da Rosalba
Carriera.
Soavi zefiri
al mar c'invitano,
son l'onde placide,
non v'è timor.
Procelle torbide
dal mar spariscono
quando si naviga
col dio d'Amor. (Goldoni, Le pescatrici, 1757)
Non sarà sempre così, naturalmente. La realtà farà irruzione nel teatro, arriverà la rivoluzione
francese, e con il nuovo secolo anche in Italia comincerà la lunga stagione della prosa. Alla fine
dell'Ottocento il realismo produce il più grande romanzo di mare della letteratura italiana, I
Malavoglia di Giovanni Verga (1881), un romanzo in cui l'amore è un lusso che le ragazze perbene
non si possono permettere e il mare è nero come la nuda roccia vulcanica. "Il mare è amaro e il
marinaro muore in mare" dice il proverbio ripetuto spesso dai pescatori siciliani di Verga, pescatori
veri e miseri in un mondo dominato dalle dure leggi dell'economia.
Nel Novecento ci sarà poi una "letteratura della spiaggia" che si ispirerà a un altro tipo di realismo,
come nei romanzi di Moravia con la loro analisi spietata della falsità dei rapporti sentimentali e
sociali nell'ambiente della borghesia cittadina che frequenta le spiagge diventate di moda per fare i
bagni di mare. E ci saranno anche romanzi, come L'isola di Arturo di Elsa Morante (1957) o Ferito
a morte di Raffaele La Capria (1961), in cui questo mare di spiaggia, anzi di scoglio, questo mare
addomesticato in cui i bambini imparano a nuotare liberi come pesci, diventa la metafora di una
libertà difficile da conquistare o da mantenere. È un mare diversamente amaro, perché è un mare
che sa di lacrime: è il mare del rimpianto di qualcosa che si è perduto.
Bisognerà aspettare Italo Calvino per ritrovare la grazia e la leggerezza del mare settecentesco.
Parole chiare come acque limpide, frasi che prendono il largo come velieri spinti da un buon vento.
Nella letteratura di Calvino ci sono vari racconti in cui il mare e le donne si scoprono affini, in una
qualche intima connessione che non produce angoscia: al massimo il leggero imbarazzo della
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