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possibile, evitare, limitandosi a guardare da lontano le tempeste, restando sulla riva; come racconta
Lucrezio nel suo meraviglioso poema scientifico Sulla Natura:
È dolce, quando i venti sul grande mare sconvolgono le acque,
stare a guardare da terra i grandi tormenti di un altro,
non perché sia un piacere e un'allegria che qualcuno stia male,
ma perché constatare che in quei guai non sei tu è dolce.
(De rerum Natura, libro II)
È di qua, dalla letteratura grecoromana, che vorrei partire per il breve viaggio che faremo assieme,
un viaggio in alcuni dei modi in cui la letteratura italiana ha percepito il mare e ha cercato di
esprimerne il fascino: un fascino, diciamolo subito, ambiguo e pericoloso come l'amore tra gli
uomini e le donne.
La letteratura dell'antichità immagina il mare popolato di donne. Risiedono nelle isole, sulle coste,
ma anche nelle profondità stesse delle acque, come le ninfe marine, le Nereidi che accompagnano il
carro del dio del mare Poseidone; la superficie del Mediterraneo è piena di belle ragazze che
vengono rapite e trasportate altrove contro la loro volontà, come la bella Europa che nella mitologia
greca il dio Zeus sotto forma di toro rapisce in mezzo al mare; oppure vengono abbandonate
dall'amante su una spiaggia deserta, come Arianna a Nasso. La stessa dea dell'amore, la greca
Afrodite, Venere per gli antichi romani, nasce dalla schiuma del mare. Nel Rinascimento Botticelli
la dipinse come un'astrazione di bellezza perfetta, leggiadra, apparentemente innocua mentre
veleggia sul mare nella sua conchiglia spalancata, ma Venere nell'antichità era una grande dea
potente, temibile, una forza che non perdona chi osa opporle resistenza, l'istinto della sessualità che
travolge gli uomini come uno tsunami. Soltanto raramente in questa dea emergono gli aspetti più
gentili dell'amore: Lucrezio dedica il suo poema a Venere genitrice, forza produttiva della Natura,
senza la quale "nulla si compie di amabile e di gioioso", una dea che porta la primavera nei cuori e
convince alla pace anche il guerriero più sanguinario, insomma eccola qui la Venere di Botticelli, è
quella di Lucrezio, al cui arrivo "sorridono le distese del mare e il cielo placato risplende di luce
radiosa". E non è un caso che proprio nel secolo di Lucrezio, il I secolo avanti Cristo, si stesse
affermando nel Mediterraneo una nuova Grande Madre, l'egiziana Iside, la pacifica dea dell'affetto
coniugale, spesso rappresentata con il suo bambino in braccio. Ma Iside è anche rappresentata in
barca, o mentre impugna un timone: infatti tra i suoi molti aspetti aveva quello, importantissimo, di
protettrice della navigazione. All'inizio della primavera la festa di Iside Pelagia inaugurava la
stagione in cui ci si poteva mettere in viaggio con sicurezza. È durante questa festa che Lucio, il
protagonista del grande romanzo di Apuleio intitolato Le metamorfosi, o L'Asino d'oro, riesce
finalmente a tornare uomo dopo aver vissuto mille avventure sotto forma di asino.
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