Il 5° Congresso sui cinesi di Prato (I)
  2012-12-05 15:06:50  cri

Dopo aver spiegato lo spirito di solidarietà fra compaesani che ha portato al successo in Cina dei contadini delle campagne di Wenzhou, ora passiamo al tema dell'emigrazione all'estero, in particolare a Prato. Nel corso del 5° Congresso sui cinesi di Prato, tenuto il 17-18 ottobre all'Università di Wenzhou, Daniela Toccafondi, dell'Università di Firenze, alla sua quinta visita in Cina, ha parlato della società multietnica e del distretto della moda di Prato. Diamole subito la parola:

"In cento anni l'Italia è passata da paese di emigrazione a paese di immigrazione finale. Ora conta 4,5 milioni di stranieri, l'8% del totale della popolazione. A Prato la percentuale è più alta. Nell'ultima decade la società di Prato si è fatta più complessa, con il 16% di stranieri, il che ne fa la seconda provincia in Europa per la presenza di stranieri. Il 43% degli stranieri sono cinesi".

La realtà attuale è che adesso a Prato la popolazione locale invecchia, mentre gli stranieri sono giovani.

Prato ha anche delle forti difficoltà economiche, l'industria tessile tradizionale è in crisi, e le compagnie italiane del tessile per il mercato di alto livello, della maglieria e delle stoffe di alta qualità sono meno competitive sul mercato estero.

Invece i prodotti cinesi sono economici. Gli italiani e i cinesi in realtà non sono in competizione, i primi si occupano di tessile e i secondi di pronto moda, con segmenti di mercato diversi, senza intersezioni.

Per vendere i loro prodotti, gli italiani vogliono contatti diretti con le imprese cinesi in Cina, non con quelle locali. Dal canto loro, i cinesi di Prato usano i loro rapporti con la madrepatria per avanzare. Ma adesso ridiamo la parola a Daniela Toccafondi:

"Di recente abbiamo fatto una ricerca sulle relazioni di affari fra italiani e cinesi a Prato, poco chiare, da cui abbiamo capito che i rapporti ci sono ma fra poche persone, intermediari, rappresentanti di coloranti. Ma fanno quantitativi alti, le imprese italiane e cinesi collegate, poche, fanno affari. Molto export. Prodotti per l'estero per cinesi e italiani, i cinesi in Europa e quelli italiani in tutto il mondo. C'è poi un altro campo, mai analizzato, che è quello dei servizi: i cinesi cercano nuovi settori per investire i profitti. Però per investire nei servizi l'Italia obbliga ad avere dei titoli di studio che i cinesi non hanno, allora si mettono con gli italiani, nei centri medici per esempio. Nascono le prime joint venture, oltre al tessile, nei servizi c'è molta collaborazione".

Che tipi di conflitti esistono fra le due parti?

"Alcune imprese cinesi non rispettano le leggi italiane, e gli italiani pagano le tasse e tante, fanno dei forti sacrifici, e nelle prospettive del governo Monti nel 2013 è richiesto un altro aumento delle tasse alle famiglie e alle imprese, il 70% dei profitti va in tasse, e accanto le imprese cinesi non pagano tutto: questo fa male agli italiani. Ma ho fiducia, le imprese cinesi sono all'inizio, devono fare start up, devono capire; e sappiamo che non è facile iniziare all'estero; quelle rimaste cercano di emergere, alcune sono già conosciute. Wang Liping, il vicepresente dell'Associazione artigiani di Prato, può aiutare le nuove imprese cinesi a regolarizzarsi. Ci sono segni di meno conflitti e più dialogo, di una nuova fase. Abbiamo un nuovo presidente degli industriali italiani, un nuovo console cinese, ecc. Quindi sono ottimista. La situazione sta cambiando in meglio. Nelle scuole ci sono bambini cinesi della seconda generazione, che sono amici con gli italiani. E' la quantità più che qualità che conta per le aziende cinesi: è troppo costoso per loro, anche la pubblicità. L'investimento nel marchio è enorme, non hanno tempo, preferiscono rimanere nei segmenti bassi del mercato. Ma le aziende italiane di Prato producono stoffa per Dolce e Gabbana, per Armani, che costa molto. Se i cinesi non aumentano la qualità è difficile che le imprese italiane e cinesi possano lavorare insieme per i mercati stranieri. I pratesi sono bravi a fare il tessuto, i cinesi a fare i capi di abbigliamento, se si mettessero insieme, in tempi brevi possono creare dei capi alla moda in fretta. Nessuno l'ha mai fatto. Cose nuove in tempi brevissimi, sarebbe ottimo per tutti. Questo la provincia e la camera di commercio hanno provato a farlo anni fa, ma non è riuscito. Le istituzione italiane fanno molto per l'inclusione, ma lo fanno da sole, non in modo coordinato. E' da 20 anni che i cinesi sono a Prato, bisogna passare alla società multiculturale".

E' vero che la crisi ha aggravato i rapporti fra le due parti?

"La crisi ha aggravato i rapporti Cina-Italia. Le aziende italiane hanno pochi profitti e sono supertassate, stremate, ma è necessaria l'innovazione, non devono scoraggiarsi, devono continuare a investire nell'innovazione nonostante le difficoltà. Ma costa molto, il 10% del valore aggiunto. Possono innovare in altri settori, i tessuti sportivi, prestazionali, gli italiani devono puntare sull'innovazione, e collaborare con gli altri, e i cinesi imparano presto".

Come fare per risolvere la situazione?

"Il comune di Prato ha cambiato visione politica, ci sono più controlli delle imprese, non vogliono aziende fuori dalle regole, ma hanno anche fatto delle pubblicazioni in tutte le lingue per essere in regola, e tenuto corsi per imprenditori e mediatori in cui 12 giovani cinesi sono stati istruiti sulle leggi di base, antiinfortunistica, sui dipendenti, in modo che aiutino le imprese. Io sono ottimista".

"I cinesi sono tanti, ma ci sono anche albanesi e pachistani, che sono più integrati. Gli albanesi frequentano la nostra università, si sentono italiani, per i cinesi la strada è ancora lunga, ci sono ancora delle grandi separazioni, delle culture diverse, una propria cultura. Per le altre comunità c'è piena integrazione, la auspico anche per i cinesi".

Qual è il punto chiave per una società multietnica?

"Incontrarsi e parlare. Sono anche direttore di un corso sulla Cina contemporanea, ho conosciuto molti cinesi del continente, Hong Kong e Prato, e ci capiamo. La lingua ha fatto tanto da deterrente. Ma molti cinesi ora parlano italiano, in futuro andrà meglio, bisogna parlarsi, sono tutti in buona fede".

Ora diamo la parola a Gabi dei Ottati, dell'Università di Firenze, esperta di distretti industriali, che studia da anni la comunità cinese di Prato, e che ci parlerà della crisi delle imprese italiane di Prato:

"Le imprese italiane stanno chiudendo, ma fanno un altro mestiere, le stoffe, e i cinesi le cuciono, ma la colpa non è loro. I rapporti fra i pratesi e i cinesi si sono ridotti, più il contrasto del governo locale, molti sono nati lì, bisogna creare un percorso di riallacciare i legami economici e i rapporti sociali. 9,16 min Potrebbe anche essere un rilancio, è anche l'unico modo in cui i distretti possono internazionalizzarsi, le piccole imprese non sono la FIAT; come è successo per l'internazionalizzazione di Sylicon Valley, che con l'arrivo degli studenti cinesi in California si è estesa nella manifattura delle cose High Tech: non è vero che i cinesi fanno solo le pezze, adesso fanno tutto! Questa integrazione a Sylicon Valley fra Usa e Cina potrebbe riuscire in teoria anche a Prato, ma non è una cosa che fa il mercato, questa è la mia interpretazione".

Con questa interessante affermazione di Gabi dei Ottati, termina qui la prima parte del nostro programma sul 5° Congresso sui cinesi di Prato.

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