Il G20 a Rio e l’epifenomeno del nuovo mondo in gestazione

2024-11-20 16:43:43

Ci sono eventi minori che a volte richiamano la nostra attenzione e ci spingono ad una riflessione più generale e profonda. Il piccolo giallo attorno alla foto di gruppo dei leader del G20 a Rio de Janeiro è uno di questi.

La storia è nota: mentre i leader del G20 si preparavano per la sessione fotografica, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden era visibilmente assente, assieme ai premier canadese ed italiano, impegnati – secondo fonti italiane - in un incontro bilaterale a margine del summit. La sessione fotografica è proseguita quindi senza il presidente americano. A generare il piccolo incidente ci sarà sicuramente stato un problema “logistico”, come riferiscono fonti americane, ma l’immagine è in sé potente, perché rappresenta l’epifenomeno del nuovo mondo in gestazione. Un mondo dove al centro (esattamente come nella foto di Rio) si ergono i paesi dei BRICS e dove il messaggio che sembrano inviare ai paesi del Sud Globale suona più o meno così: “l’America può essere assente, ma noi siamo presenti”.

Non è un caso quindi che gli aggettivi che più qualificano l’agenda politica di questo G20 brasiliano siano stati “giusto” ed “equo”. La dichiarazione finale del vertice si impegna infatti a sostenere i Paesi in via di sviluppo, affermando che la disuguaglianza è alla base della maggior parte delle sfide globali e chiede misure socialmente giuste e ambientalmente sostenibili. Il Presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha dichiarato lunedì che il G20 ha l'urgente responsabilità di agire. Ha descritto le sfide odierne come un “flagello che fa vergognare l'umanità” e ha insistito sulla necessità di sradicarle. 

Individuare nelle diseguaglianze la causa dei problemi del mondo contemporaneo significa affondare le mani in uno dei problemi centrali della nostra era, che richiede una politica specifica per essere affrontato e risolto. Senza riuscire a ridurre questo squilibrio che è evidente sia tra i diversi paesi, che all’interno di essi, non si potranno ridurre le tensioni che sembrano affastellare l’agenda politica del mondo odierno. Ma questo significa anche rovesciare la narrazione dell’Occidente. All’interno dei paesi occidentali, infatti, la polarizzazione della ricchezza sta esacerbando le diseguaglianze interne. E le cose non vanno meglio sul piano internazionale. Il tentativo di alimentare (anziché risolvere) nuovi conflitti tra le nazioni ed il continuo disinteresse ad una richiesta di maggiore giustizia ed equità avanzata dai paesi del Sud globale, vengono spesso mascherati con una lettura che punta ad accrescere la frammentazione del mondo, nel tentativo antistorico di mantenere una serie di privilegi oramai anacronistici.

“Giusto” ed “equo” sono gli aggettivi usati per definire anche un’altra priorità di questo G20, ossia la lotta contro la fame e la povertà. Il che concretamente significa accendere l’attenzione sul fatto che la causa principale delle frequenti crisi alimentari risiede nell’iniquità del processo di produzione e distribuzione del cibo a livello globale. La produzione agricola mondiale sarebbe in grado di soddisfare i bisogni alimentari di base di tutti, ma l’assenza di uno sviluppo globale equo, più inclusivo e più vantaggioso per tutti impedisce una corretta redistribuzione del cibo. Per cui ci sono aree del mondo dove esso viene distrutto per “eccesso di offerta” ed altre dove si soffre per la mancanza totale di cibo.

Come paese del Sud globale la Cina è impegnata ad una riforma della governance globale e nella promozione di uno sviluppo globale inclusivo ed equo. Non si tratta solo di impegni astratti. In questi decenni la Cina ha concesso prestiti e portato a zero le tariffe doganali di diversi paesi meno sviluppati, diventando un soggetto attivo nello sviluppo globale. Soprattutto, come paese che ha condotto una lunga lotta per portare 800 milioni di suoi cittadini fuori dalla soglia della povertà, la Cina si è conquistata l’attenzione degli altri paesi in via di sviluppo, diventandone un modello. Nel suo discorso in occasione del 19° Vertice del G20, il Presidente Xi Jinping ha delineato le otto azioni della Cina per lo sviluppo globale e ha chiesto di costruire un maggiore consenso internazionale nei settori economico, finanziario, commerciale, digitale ed eco-ambientale, tra gli altri, per migliorare la governance globale e promuovere un mondo multipolare equo e ordinato e una globalizzazione economica universalmente vantaggiosa e inclusiva. Lavorando fianco a fianco con i Paesi in via di sviluppo per raggiungere la modernizzazione, la Cina non mira solo a sviluppare sé stessa; piuttosto, sostiene la necessità di “pianificare e costruire insieme”. Un’espressione politica cinese, quest’ultima, spesso usata da Xi jinping per rappresentare l’approccio cooperativo e inclusivo in cui i paesi lavorano collettivamente per uno sviluppo condiviso, evitando un modello unilaterale o esclusivamente guidato da un'unica nazione. Particolarmente significativo un altro passaggio, nel quale il presidente cinese ha letteralmente detto che: “se ce la fa la Cina, possono farcela anche altri Paesi in via di sviluppo. Questo è ciò che la lotta della Cina contro la povertà dice al mondo”. Un messaggio che è assieme di speranza ed un impegno per l’azione comune.

In questo quadro, con il contributo dei paesi del Sud globale che fissano queste priorità e posizionano politicamente il G20 di fronte all’innegabile responsabilità storica di lottare contro le disparità, per un mondo più equo, dobbiamo porci la domanda su quanto il nostro modo di pensare e di agire qui in Occidente sia in sintonia con tutto questo.

Ma allora ritorniamo al fotogramma iniziale. Nella photo-opportunity di Rio, non è assente solo Joe Biden. Manca anche il presidente del consiglio italiano. È un grande peccato. Perché anche noi rischiamo di lanciare un messaggio sbagliato al mondo intero. Di assenza e lontananza dall’agenda politica che si va costruendo e nella quale si definiscono le coordinate di una politica globale più giusta e più equa. Col rischio concreto che, mentre ci adoperiamo per isolare qualcuno dalla comunità globale, siamo troppo assorti dal prendere atto che, così facendo, stiamo solo isolando noi stesso dal resto del mondo.

L'autore Francesco Maringiò è il presidente dell’Associazione italo-cinese per la promozione della Nuova Via della Seta

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