3 milioni di prevendite del Mate XT: l’ultimo gioiello di casa Huawei, il primo “trifold” al mondo, ossia il primo smartphone pieghevole con tre schermi. Segno incredibile di capacità innovativa e di investimenti in ricerca ed innovazione per primeggiare sul mercato.
Nel 2023 Huawei ha chiuso l’anno con ricavi per 704,2 miliardi di Yuan e un utile di 87 miliardi (circa 11.2 mld di Euro): più del doppio rispetto al 2022. Il trend non sembra destinato a calare. Nei primi sei mesi di quest’anno i profitti sono saliti del 17,9% ed il fatturato del 34.3%. Sono numeri importanti, eppure solo pochi anni fa la storia rischiava di essere profondamente diversa, se pensiamo alla tempesta che ha investito l’azienda di Shenzhen, quando cioè l’Amministrazione americana ha scelto la strategia del decoupling ed ha rafforzato la politica sanzionatoria contro Pechino, spingendo Huawei in cima alla lista delle aziende da colpire e mettere fuori mercato.
La campagna è stata senza esclusione di colpi: per tre anni la direttrice finanziaria Meng Wanzhou è rimasta agli arresti domiciliari in Canada, è stato impedito all’azienda cinese di usare tecnologia Usa in ambito sia hardware (divieto di acquisto di componenti contenenti proprietà intellettuale USA) che software (divieto all’uso di versioni avanzate di Android per gli smartphone). Questi vincoli hanno spinto Huawei a vendere Honor, il suo marchio principale di smartphone, per poterlo salvare dalle sanzioni e lottare così per la sopravvivenza. Non è stato facile: nel 2022 i ricavi erano crollati del 70%, fino all’incredibile risalita di oggi. Il Wall street Journal, a luglio, ha descritto alcune delle strategie messe in atto da Huawei per resistere agli attacchi statunitensi: rivolgersi al mercato interno cinese, diversificare i settori sviluppando nuove tecnologie e ricevere sostegno dallo Stato.
Tra le strategie messe in campo da Huawei c’è anche un forte investimento sulla ricerca e lo sviluppo, sia attraverso le acquisizioni fatte da Hubble, il suo braccio di investimento che dal 2021 ha acquisito quote azionarie in fornitori di alto livello, che attraverso l’attrazione di risorse umane talentuose. Il rilancio di Huawei ha portato ad avanzamenti tecnologi in tempi brevissimi: dall’ingresso del colosso di Shenzhen in nuovi settori industriali (costruzione di porti marittimi, industria delle vetture elettriche, etc.) allo sviluppo software (lo sviluppo di un proprio sistema operativo per smartphone ha posto le basi per porre fine alla dipendenza dei produttori cinesi da Android), allo sviluppo di hardware, come i chip al carburo di silicio e quelli al nitruro di gallio, rompendo così il monopolio occidentale nel settore e ponendo le basi per una riduzione globale dei prezzi.
Il lancio di una vettura elettrica a marchio Huawei segna innegabilmente la trasformazione di cui è stata capace, soprattutto se considerati i tempi di realizzazione ed il confronto con aziende quali Apple o Samsung.
Soprattutto, Huawei ha investito nella sua capacità di innovazione, agganciando la locomotiva della trasformazione tecnologica del paese. I dati più recenti mostrano che in Cina ci sono attualmente oltre 46 mila imprese ad alta tecnologia, dove sono installati più del 50% di robot industriali del pianeta. Gli investimenti nelle industrie ad alta tecnologia sono aumentati del 10,6% su base annua e per spingere ulteriormente la capacità di innovazione delle imprese la Banca centrale, in collaborazione con il Ministero della Scienza e della Tecnologia e altri dipartimenti, ha creato un fondo di 500 miliardi di Yuan per prestiti a favore di interventi di innovazione scientifica e tecnologica. Di questi, 100 miliardi di Yuan sono destinati a sostenere esclusivamente PMI innovative in fase di start up. Dopo 10 anni di investimenti, la Cina ha visto la sua posizione nell'Indice globale dell'innovazione balzare dal 34° posto del 2012 all'11° dello scorso anno, con un'economia che si è espansa ad un tasso medio annuo del 6,6% tra il 2013 e il 2021, contribuendo per oltre il 30% alla crescita economica mondiale.
Un’altra conferma della forza innovativa delle imprese cinesi viene fornita dall'Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (OMPI), l'agenzia delle Nazioni Unite per l'innovazione e la creazione. Ad aprile scorso ha fornito la lista delle prime aziende per proprietà di brevetti nei modelli GenAI: la Cina sta dominando la corsa ai brevetti per l'IA generativa. Nella top ten ci sono 6 imprese cinesi, tre americane ed una sudcoreana. La prima impresa statunitense in classifica, la IBM, ha la metà dei brevetti GenAI dell’azienda cinese che è al terzo posto (Baidu). Il confronto con la prima in classifica è impressionante: Tencent ha registrato 2.074 brevetti, contro i 601 di IBM.
Ma ad investire sull’innovazione non sono soltanto i grandi colossi. Per spingere il settore manifatturiero e lo sviluppo delle PMI, il Ministero dell'Industria e delle Tecnologie dell'Informazione, insieme ad altri sette dipartimenti, ha emanato un documento strategico per promuovere l'innovazione industriale. Questo documento sottolinea l'importanza di aumentare gli investimenti in scienze e tecnologie, indirizzando più capitale verso le piccole imprese tecnologiche fin dalle fasi iniziali.
Come abbiamo più volte spiegato su queste pagine, il tentativo antistorico di bloccare lo sviluppo di un paese, non riesce mai a raggiungere il suo risultato, per questo è sempre più conveniente e strategicamente utile lavorare per sviluppare connessioni e sinergie, non sanzionare e tagliere i ponti. Una strategia così fatta, può forse produrre risultati nel brevissimo tempo, ma non nel lungo periodo.
Sembra che gli Stati Uniti siano concentrati in una partita a dama, pronti a mangiare la pedina dell’avversario, non rendendosi però conto che i pezzi in gioco sono quelli degli scacchi e che lo scacco matto è a poche mosse.
L'autore Francesco Maringiò è il presidente dell’Associazione italo-cinese per la promozione della Nuova Via della Seta