Meloni in Cina: piccole note di viaggio

2024-07-27 12:41:32

Non pretendiamo certo che il Presidente del Consiglio italiano legga queste note prima della sua partenza per un viaggio così importante come quello che la attende questo fine settimana alla volta di Pechino, ma alcune considerazioni ci sentiamo di farle.

Gli anniversari che Roma e Pechino celebrano quest’anno ci offrono un’occasione importante per rimettere in carreggiata le relazioni tra i due paesi, dopo la brusca frenata che si è avuta in occasione del rinnovo del Memorandum sul Belt and Road Initiative, la cui gestione resta poco decifrabile tanto in Cina quanto in Italia. Quest’anno, infatti, si celebra il 20° anniversario dell’entrata in vigore del partenariato strategico globale che lega i due paesi non solo nel quadro delle relazioni bilaterali, ma anche per la trattazione di tematiche globali e questioni multilaterali. Inoltre questo è l’anno nel quale ricorre il 700º anniversario della morte di Marco Polo, la cui epopea ancora oggi rappresenta una potente narrativa che lega italiani e cinesi molto più di quanto si possa immaginare. Per celebrare il famoso “ambasciatore” e mercante italiano in Cina si sono tenute importanti iniziative culturali come la mostra di Palazzo Ducale e quella alla Biblioteca Nazionale Marciana a Venezia o ancora quelle organizzate al World Art Museum di Pechino e la vita di Marco Polo in forma di fumetto in mostra alla stazione di Longhua Road della metropolitana di Shanghai. 

Proprio a Pechino il premier italiano Meloni inaugurerà una grande mostra dedicata al viaggiatore veneziano, simbolo dei legami culturali che uniscono i due paesi. Non è un tema di secondo piano rispetti alle relazioni commerciali ed economiche. La potenza culturale di entrambi i paesi è un fattore fondamentale che li distingue da molti altri e rappresenta un terreno indispensabile di costruzione di una relazione bilaterale speciale. Anche perché non può essere imitata, né soppiantata nell’arco di breve tempo. È quindi un aspetto cruciale che differenzia noi italiani dagli altri e, se sapremo sfruttare questa peculiarità con intelligenza e visione strategica, potremo trarne un vantaggio competitivo rispetto ad altri. Giocare un ruolo preminente e da protagonisti sul terreno essenzialmente culturale non significa giocare il campionato di “serie B” in Cina, ma la Champions League. L’organizzazione piramidale della Cina pone la cultura e gli intellettuali al suo vertice, per cui agire la leva della cultura significa costruire un rapporto concreto, che può trasformarsi agevolmente in qualcosa di più tangibile anche sul piano economico.

Soprattutto, per restare alla metafora sportiva, approcciarsi alla Cina significa correre una lunga maratona. È necessario quindi tenacia, allenamento e lunga resistenza. Non sarà mai uno sprint fatto all’ultimo minuto che potrà portare a casa i migliori frutti. Lo sappiamo bene perché con la Cina abbiamo provato questa tecnica più volte. Eravamo in pole position all’inizio degli anni Novanta per il raddoppio della città di Shanghai e la costruzione di Pudong. Dopo un iniziale interesse, la presenza italiana è diventata sempre più eterea. La storia si ripeterà altre volte, per esempio con l’interesse cinese per lo sviluppo del porto di Taranto, per la realizzazione di parchi industriali misti ed altre potenziali occasioni, semplicemente sprecate per mancanza di visione. Emblematica la vicenda della Fiat, raccontata dai protagonisti dell’epoca. Pare che il vertice della casa automobilistica torinese chiuse le porte alla Shanghai Automotive Industry Corporation atterrata a Torino nel lontano 1982 con l’intento di chiudere un accordo per la costituzione di una joint venture. La delegazione cinese si sentì dire: «In Cina non avete le strade, dove pensate di metterle le auto? E quelle che ci sono, sono intasate da milioni di biciclette». Ebbero più lungimiranza i tedeschi che un anno dopo il disastroso incontro di Torino videro la prima Volkswagen Santana uscire dal primo stabilimento tedesco in Cina.

Questa storia dimostra che il problema non è la Cina, che ha sempre mostrato la buona volontà di voler collaborare con noi a partire dai propri obbiettivi e legittimi interessi, in un quadro di mutuo vantaggio. Il problema, spesso, siamo noi che non sappiamo cosa vogliamo dalla Cina, privi di una visione di lungo periodo e della disponibilità a correre la maratona.

Infine, ma non per ultimo, solo nell’ultima settimana Pechino è stata la capitale della diplomazia e della pace. Prima la delegazione palestinese e poi il ministro ucraino, si sono recati in Cina per esplorare possibili vie che instradino i rispettivi conflitti in un quadro diplomatico e di pace. Che la Cina rappresenti un’alternativa all’escalation bellica ed ai tamburi di guerra della Nato è una consapevolezza molto presente in larghe fasce della popolazione mondiale. Non è male avere questo aspetto bene in mente. Perché se l’Italia volesse rilanciarsi in un contesto diverso da quello di gregario, avrebbe l’opportunità di farlo attingendo a piene mani alla propria Costituzione ed alla cultura pacifista, ben radicata nella popolazione.

La scelta quindi è tutta nelle nostre mani (o meglio: nelle mani della classe politica), perché di carte da giocare in questa complessa partita che si disputa in una fase del mondo nel quale si stanno riscrivendo regole ed equilibri, ne avremmo molte.

L'autore Francesco Maringiò è il presidente dell’Associazione italo-cinese per la promozione della Nuova Via della Seta



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