Oltre l’imposizione del modello occidentale: arricchire la democrazia attraverso il dialogo globale

2024-03-20 14:44:59

L’uscita nelle sale cinematografiche americane di “civil war”, film distopico che racconta una ipotetica guerra civile in atto negli Usa, sta animando una profonda discussione sulla fase storica in cui vive questo paese. Soprattutto se si tiene conto del fatto che un sondaggio YouGov/Economist di due anni fa riteneva uno scenario del genere «almeno in qualche modo probabile nei prossimi 10 anni». Stando a quanto scrive Stephen Wertheim del Carnegie Institute su The Atlantic, il credo di Biden sulla difesa della democrazia non serve agli interessi degli Stati Uniti. Anzi, crea destabilizzazione fuori dagli Usa ed è divisivo all’interno. Nonostante spesso l’idea dei presidenti americani sia stata quella di cercare di unire un paese attorno a campagne militari lontanissime, questa mossa si è rivelata sempre perdente. Una rilevazione demoscopica del 2023 del Pew Research Center ha dimostrato infatti che la maggioranza (oltre il 75%) degli americani considera una priorità la difesa dell’economia e dei posti di lavoro e solo una minoranza (20%) la “promozione della democrazia all’estero”.

Insomma, sembrano lontani i tempi in cui il Presidente Joe Biden sperava di dare un’impronta alla propria politica estera, caratterizzandola come una lunga battaglia per la democrazia ed inaugurando il primo Forum globale sulla democrazia. Oggi questo evento celebra il suo terzo summit in Corea del Sud ma i fasti con il quale era stato promosso dalla Casa Bianca sono un antico ricordo.

Parallelamente a questo, la Cina ha lanciato il terzo Forum internazionale sulla democrazia ed i valori umani condivisi. Non una “risposta” all’appuntamento di Seoul ma il bisogno di relativizzare una categoria, usata come una clava nello scontro politico su scala globale. Perché se il mondo descritto da Biden è una somma a due di una realtà che vedrebbe la democrazia gareggiare con l’autocrazia, secondo la Cina la democrazia è lo strumento per il pieno dispiegarsi di valori universali. Ed in quanto strumento, quindi, soggetto adattabile e flessibile alla realtà specifica di ogni contesto sociale e politico. Il bisogno di relativizzare (ed usare adeguatamente) questa categoria non è solo della Cina. Nonostante io sia un occidentale che difende fieramente il sistema democratico del proprio paese, faccio fatica a farmi catalogare nella visione binaria del mondo, fra chi vuole alimentare uno scontro di civiltà in nome della democrazia.

Chi ha vissuto gli anni Novanta del secolo scorso ricorderà come il ciclo politico avviato dopo la sconfitta dell’Unione Sovietica venisse celebrato, qui da noi, come l’avvio di un’era in cui la democrazia si sarebbe sempre più espansa e sempre più persone avrebbero guadagnato maggiori diritti. La realtà è che illudendosi di non avere più contraltari sul piano geopolitico ed ideologico, i profeti della democrazia liberale hanno provveduto a smantellare buona parte di quei diritti acquisiti dai conflitti sociali e politici dei decenni precedenti e le forme di partecipazione democratica si sono progressivamente ristrette. Arriviamo quindi al contesto odierno dove le classi dirigenti occidentali, elette spesso da una minoranza di cittadini, governa con poteri smisurati ed esprime giudizi sulle forme democratiche scelte in altre parti del mondo. E, ciò che è peggio, che la possibilità di contendere (come la vulgata sulla democrazia liberale) il governo anche da parte di forze diverse, è molto più difficile oggi che non decenni fa.

Ma se nella fase storica sopra richiamata questa involuzione delle democrazie liberali ha portato ad una fase di espansionismo militare ed avventurismo bellico che sembrava non potesse essere arrestato né contrastato sul piano delle idee, oggi viviamo una fase della storia del mondo completamente diversa. Il completo isolamento che hanno avuto nel mondo alcune tra le posizioni più controverse prese dai paesi occidentali negli ultimi anni segna plasticamente il cambio di paradigma storico che stiamo vivendo. E diversamente dalla lettura binaria che vorrebbe contrapposta autocrazia e democrazia occidentale, abbiamo imparato a conoscere le posizioni assunte da paesi con sistemi politici e democratici assolutamente diversi tra di loro ma, uniti, nel respingere una pretesa di omogeneizzazione del mondo da parte dell’Occidente. Anzi: se qui da noi assistiamo al venir meno della modernità democratica, ci sono aree del mondo che guadagno maggiori diritti ed espandono, per questa via, la democrazia, nella forma storicamente determinata dalla loro esperienza.

Cosa è l’uscita dalla povertà di 800 milioni di persone in Cina se non un contributo all’espansione della democrazia e dei diritti? Di cosa parliamo quando assistiamo alla richiesta di diversi governi, a differenza nostra, di cessare ogni forma di violenza punitiva contro la popolazione inerme di Gaza e della possibilità del popolo palestinese alla nascita di un proprio Stato, se non ad un tentativo di democratizzazione delle relazioni internazionali?

Tutti questi elementi rappresentano i gemiti che annunciano la nascita di un mondo nuovo, dove ad un sistema egemonico e di potere non si sostituisce un nuovo centro direzionale, ma un contesto nel quale le nazioni possano contribuire alla governance globale in forma cooperativa e pacifica.

Per questa ragione sono molto grato di aver avuto l’onore di intervenire oggi al terzo Forum Internazionale sulla Democrazia ed i valori umani condivisi, che si è tenuto a Pechino. Seppur da remoto il confronto su questi temi non può che arricchire la mente ed allargare gli orizzonti e, soprattutto, prendere atto che il confronto con sistemi completamente diversi dai nostri, permette alla nostra democrazia di arricchirsi.

L'autore Francesco Maringiò è il presidente dell’Associazione italo-cinese per la promozione della Nuova Via della Seta

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