Il grande progresso tecnologico e le città sfavillanti e moderne che appaiono in tutta la loro grandezza ai turisti stranieri fanno quasi dimenticare un aspetto fondamentale della storia e dello sviluppo cinese, ossia il fatto che parliamo di un paese che per lungo tempo (ed in parte lo è ancora) ha avuto un'enorme popolazione che viveva prevalentemente in campagna. Per questo i temi legati allo sviluppo agricolo ed alla rivitalizzazione rurale restano centrali per la politica di Pechino.
Se ne è occupata recentemente anche una riunione del Comitato permanente dell’Ufficio Politico del CC del Partito dove Xi Jinping ha svolto una relazione individuando le tre priorità per lo sviluppo rurale di quest’anno, oltre ad una riunione ad hoc che si è tenuta a Pechino a fine dicembre sui compiti per le aree rurali. Certamente il tema sembra richiamare in prima istanza l’interesse di settori specialistici, eppure ha una rilevanza molto più vasta. A pensarci bene, infatti, il processo di industrializzazione ha avuto un impatto significativo sulle aree rurali, per cui - presto o tardi - tutti hanno dovuto fare i conti con la necessità di rivitalizzare aree che erano diventate più arretrate economicamente ed erano investite da imponenti ondate migratorie di residenti che si spostavano verso le aree urbane in cerca di nuova e migliore occupazione. È stato così in Francia dove, durante i "30 gloriosi", il governo ha avviato un meccanismo di pianificazione di lungo periodo per rivitalizzare le proprie aree rurali. Ed è un problema che riguarda anche l’Italia dove, per la prima volta negli ultimi anni, si sta assistendo all’inversione del processo di inurbamento. Tale evoluzione richiede una nuova pianificazione ed una trasformazione delle infrastrutture e dei servizi fuori dalle aree urbane.
Per comprendere come in Cina si sia arrivati alla formulazione del concetto di “rivitalizzazione delle aree rurali” forse è utile fare una rapida panoramica delle trasformazioni intercorse nel paese. I grossi centri urbani da decine di milioni di abitanti, infatti, non esistevano quando la Repubblica Popolare venne fondata. Anzi, allora il paese era prevalentemente agricolo, con la popolazione costituita nella stragrande maggioranza da contadini che vivano nelle campagne (il livello di urbanizzazione arrivava appena al 10,6%) in condizioni di estrema povertà. Per questa ragione in quella fase e per tutti gli anni '50 il sistema di economia pianificata si pose il problema di una rapida industrializzazione, impiegando anche il surplus rurale per alimentare l'industrializzazione della nazione. Si stima che dal 1950 al 1978 le campagne abbiano trasferito circa 510 miliardi di RMB per questo obbiettivo. Si è venuto a creare così quello che i ricercatori cinesi definiscono un sistema duale urbano-rurale, che ha incubato elementi di disequilibrio tra città e campagna con una progressiva dipendenza della seconda in favore della prima.
Con la politica di riforme avviata alla fine degli anni '70 i villaggi diventano invece i pionieri della nuova fase di sviluppo cinese. È qui è interessante attingere agli appunti di viaggio, perché quando ho visitato il villaggio di Xiaogang, nella provincia orientale dell'Anhui, ho avuto la fortuna di comprendere bene il passaggio dal villaggio rurale organizzato in “comuni” ad una nuova forma di organizzazione del lavoro. In occasione di quel viaggio, infatti, ho avuto il privilegio di incontrare alcuni dei protagonisti di quel famoso patto segreto che fu stipulato nel 1978 tra 18 abitanti del villaggio in base al quale i terreni agricoli, allora di proprietà della comunità popolare, venivano divisi in appezzamenti coltivati da ogni singola famiglia. Quest’ultima consegnava l'intera quota di grano allo Stato ed alla Comune e teneva per sé tutto ciò che rimaneva. Inoltre, decisero di sviluppare le strade verso gli altri villaggi in modo da facilitare la vendita del proprio surplus. Il resto è storia: la produttività crebbe in maniera significativa e quella concezione ispirò parte delle iniziative intraprese dal PCC con la politica di Riforma, permettendo un significativo sviluppo delle aree rurali. È a partire da questa fase che si è implementato un percorso di sviluppo integrato tra città e campagne, per correggere il rapporto duale che si era venuto a creare nei decenni precedenti. Molti agricoltori rurali vennero incoraggiati a partecipare ad attività economiche non agricole come l'edilizia, la produzione e la vendita al dettaglio ed a sviluppare imprese create dai governi locali. Per accompagnare questa trasformazione è stato indispensabile lavorare per la formazione del personale amministrativo ed il governo centrale ha insistito nel dare priorità al soddisfacimento dei bisogni della popolazione.
È un tema di estremo interesse, non solo per comprendere la rivitalizzazione rurale della Cina, ma anche per riflettere a casa nostra. Il digital divide in Italia colpisce le aree rurali ed Mezzogiorno (secondo uno studio Istat, il 60% dei residenti del Mezzogiorno ha difficoltà ad accedere ad una connessione Internet veloce) e le categorie più minacciate dal digital divide sono quelle più fragili: anziani, donne, migranti e disabili. Un’occasione (ed un’esigenza) in più per riflettere e mutuare le esperienze positive dall’estero.
L'autore Francesco Maringiò è il presidente dell’Associazione italo-cinese per la promozione della Nuova Via della Seta