Domenica scorsa si sono aperte le porte della China International Import Expo (CIIE) di Shanghai, in programma sin al prossimo 10 novembre. Si tratta della sesta edizione di una manifestazione che, sin dai suoi esordi, nel 2018, si è ritagliata uno spazio importante nel panorama fieristico commerciale mondiale.
È questa anche la prima edizione in cui si assiste ad un completo ritorno in presenza fisica dall'inizio della pandemia, sebbene gli organizzatori fossero riusciti a garantirne lo svolgimento anche nel difficile contesto del triennio 2020-2022. Con la fine delle restrizioni agli spostamenti sia in ingresso che in uscita, la CIIE 2023 segna dunque la completa ripartenza dell'economia cinese e dei suoi principali eventi di promozione internazionale, tra cui rientrano a pieno titolo anche la Fiera di Chengdu, la Fiera di Canton (CIEF) e la China International Consumer Products Expo (CICPE) di Haikou.
Quest'anno, alla CIIE stanno prendendo parte decine di migliaia di persone provenienti da 154 tra Paesi, regioni e organizzazioni internazionali. Nei mesi che hanno preceduto l'evento, gli organizzatori hanno registrato oltre 3.400 espositori e quasi 410.000 visitatori professionali. L'obiettivo dell'evento, progettato e voluto fortemente dal presidente Xi Jinping sei anni fa, è essenzialmente quello di incrementare il livello di apertura del mercato cinese agli operatori stranieri, anche per riequilibrare la globalizzazione economica in base a parametri di maggiore inclusività e reciproco beneficio, come ha ricordato lo stesso Xi in una lettera inviata domenica agli organizzatori in occasione della cerimonia di apertura.
In una nota inviata per la cerimonia di apertura della CIIE, il primo ministro Li Qiang ha affermato che il volume delle importazioni cinesi di beni e servizi dovrebbe raggiungere cumulativamente quota 17.000 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni, confermando che la Cina auspica sempre di condividere le opportunità che il suo vasto mercato presenta. Il successo previsto per la CIIE di quest'anno è sintetizzato plasticamente dalle oltre 400 nuove offerte, tra prodotti, tecnologie e servizi, che saranno al centro della manifestazione, alcune delle quali al loro debutto assoluto a livello mondiale.
L'edizione di quest'anno è particolarmente importante, perché arriva a poche settimane di distanza dalla chiusura del terzo Forum Belt and Road per la Cooperazione Internazionale, tornato per la prima volta dopo lo scoppio della pandemia, che ha riunito a Pechino rappresentanti istituzionali da oltre 140 Paesi e 30 organizzazioni internazionali. L'incremento del livello di apertura secondo criteri di alta qualità, pietra angolare delle politiche di riforma adottate negli ultimi dieci anni, si declina in base all'idea che la CIIE debba rappresentare "un ponte tra il mercato cinese ed il resto del mondo", massimizzando il ruolo del vasto mercato del colosso asiatico quale "stabilizzatore per lo sviluppo economico mondiale".
In un contesto globale che vede precipitosamente crescere l'instabilità, tanto più dopo lo scoppio di un nuovo grave conflitto tra Israele e Palestina, che rischia concretamente di mettere a repentaglio i già precari equilibri regionali del Medio Oriente, la Cina assume dunque le vesti di un irrinunciabile fattore di resilienza e di un imprescindibile partner internazionale su dossier prioritari quali commercio, investimenti, finanza, ambiente e cooperazione multi-livello: il recente riavvicinamento a Pechino voluto dall'Amministrazione Biden, dopo quasi tre anni di tensioni e accuse, ne è la plastica dimostrazione.
Pensata, inoltre, per assecondare e consolidare la fase di trasformazione del sistema Paese, la CIIE di Shanghai viene incontro principalmente alle nuove esigenze del mercato interno. Da diversi anni, ormai, quella che era un'economia prevalentemente vocata all'esportazione di prodotti a medio o basso contenuto tecnologico è diventata un'economia contraddistinta dal primato dei servizi nella composizione del valore aggiunto del PIL e dal decisivo ruolo dell'innovazione.
La crescita del gigante asiatico è oggi trainata dai consumi interni, specie grazie ad una classe media complessiva che, secondo i calcoli e i criteri del Pew Research Center, tra il 2000 e il 2018 è passata da 39,1 milioni a circa 707 milioni di persone, ovvero il 50,8% della popolazione nazionale totale.
A tale profondo cambiamento sul piano reddituale si sono accompagnati poderosi interventi per la costruzione o il miglioramento delle infrastrutture, sia fisiche che digitali. A quest'ultimo riguardo, la variazione del dato relativo all'indice di penetrazione Internet nel Paese, passato dall'1,8% all'54,3% del 2017, e al 76,4% all'interno delle sole aree urbane nel 2020 è altrettanto significativo per comprendere come sono evolute le abitudini della popolazione - in particolare per quanto riguarda le fasce più giovani - in termini di consumi, con un vero e proprio boom dell'e-commerce: un mercato che, in Cina, nel 2020 valeva circa 2.090 miliardi di dollari, pari al 53,4% del totale mondiale.
Stando ai dati ufficiali del Dipartimento Nazionale di Statistica della Repubblica Popolare, la classe media, al gennaio 2022, era di poco superiore ai 400 milioni di persone, differendo, dunque, in modo notevole dalle conclusioni del Pew Research Center di circa tre anni prima. Tuttavia, per la leadership cinese resta prioritario "aumentare sostanzialmente" la quota rappresentata dalla classe media sul totale della popolazione.
L'autore Fabio Massimo Parenti è professore associato di studi internazionali e Ph.D. in Geopolitica e Geoeconomia