Cina, tra apertura costante e costruzione di una civiltà ecologica

2023-11-03 17:26:32

La Cina continua ad incrementare l'attrattività del suo mercato interno. Con le ultime riforme, in particolare dal primo gennaio 2020, quando la nuova legge sugli investimenti esteri è entrata in vigore, la politica di riforma e apertura ha raggiunto una nuova fase di avanzamento, caratterizzata dalla volontà di alzare la qualità dei processi produttivi, dell’ambiente e delle condizioni di vita e di lavoro: un'innovativa idea di sviluppo adeguata alle esigenze della Cina e del mondo di oggi, cui Xi Jinping ha indissolubilmente legato il suo mandato presidenziale.

Con il lancio della prima zona-pilota di libero scambio, inaugurata a Shanghai nel 2013, nel Paese si è affermata un nuovo concetto di “zone economiche speciali”, che avevano già segnato l'avvio del modello di sviluppo introdotto alla fine degli anni Settanta da Deng Xiaoping. Ad ora, complessivamente, le nuove zone-pilota sono 21, inclusa quella portuale della provincia insulare meridionale di Hainan.

Cos'è cambiato nel corso di questi ultimi dieci anni? Una zona-pilota di libero scambio cinese è un'area, più o meno estesa, e soprattutto diffusa, cioè composta da più aree di una stessa cintura metropolitana o di una stessa provincia, come ad esempio la zona-pilota della regione autonoma del Guangxi, formata dall'hub finanziario e digitale del capoluogo Nanning, dal vicino porto di Qinzhou e dall'area di Chongzuo, al confine col Vietnam. O ancora, quella della provincia dello Shandong, composta dal porto di Qingdao, dall'area di Jinan, specializzata in hi-tech, servizi finanziari, sanità e servizi socio-assistenziali, e dall'area di Yantai, focalizzata su manifattura di fascia alta, nuovi materiali, IT, green-tech e biomedicale.

Le zone-pilota di libero scambio sono sorte sulla base di tre nuove grandi trasformazioni della Cina, rispettivamente legate allo straordinario sviluppo delle infrastrutture, sia fisiche che digitali, in tutto il territorio nazionale; alla profonda opera di riforma e semplificazione del quadro normativo e fiscale in materia di commercio e investimenti; e, infine, al significativo incremento delle competenze, delle specializzazioni professionali e delle esigenze della classe media.

Le 21 zone-pilota sono dunque una conseguenza, più che un motore, della rapida crescita del Paese. Ora, però, esse rappresentano uno strumento imprescindibile per raggiungere i grandi traguardi che il governo si è posto da qui al 2035, in termini di modernizzazione e ringiovanimento nazionale. Se il commercio estero della Cina sta vivendo una fase di rimodulazione tra import ed export, per fattori sia endogeni (forte aumento dei consumi interni) che esogeni (implementazione delle cosiddette politiche di "de-risking" da parte di USA e UE), gli investimenti esteri nel Paese asiatico hanno continuato a crescere nel 2020 (+7,4%), nel 2021 (+14,9%) e nel 2022 (+6,3%), nonostante fossero in vigore le misure restrittive per il contenimento del Covid-19. Lo scorso anno, a trainare la crescita degli IDE in Cina sono stati in particolare la manifattura (+46,1%), con un volume di capitali esteri pari al 26,3% del totale, e i settori hi-tech (+28,3%), con un volume pari al 36,1% del totale.

Nei primi nove mesi di quest'anno, invece, gli IDE in Cina hanno registrato una vistosa contrazione (-8,4%) su base annua, complice un vero e proprio crollo a gennaio, totalizzando sin qui flussi pari a 125,75 miliardi di dollari. Il dettaglio dei singoli settori, tuttavia, mostra che a subire il maggior contraccolpo è stato il settore dei servizi (-15%). Al contrario, la manifattura continua a crescere (+2,4%), soprattutto quella hi-tech (+12,8%). Nello specifico, produzioni quali apparecchiature e strumentazioni mediche (+37,1%) ed apparecchiature elettroniche e TLC (+21,5%), unitamente al trend di graduale recupero tra febbraio e settembre, lasciano presagire un 2024 di ripresa complessiva per gli investimenti stranieri. 

Quali sono i Paesi di origine del capitale estero che hanno accresciuto maggiormente la loro presenza sul mercato cinese nei primi nove mesi del 2023? Regno Unito (+116,9%), Canada (+109,2%), Svizzera (+76,9%) e Paesi Bassi (+32,6%), ovvero tutte economie avanzate, caratterizzate da solidi comparti tecnologici e forti competenze manifatturiere. Un segnale inequivocabile della fiducia e dell'ottimismo verso il mercato cinese e le sue prospettive di crescita e consolidamento, dopo tre difficili anni di pandemia, cinque di scontri commerciali USA-Cina e quasi due di guerra in Ucraina, con gravi conseguenze sull'Unione Europea (secondo partner commerciale di Pechino), vittima di un'ondata inflattiva senza precedenti per intensità e durata, tutt'ora in essere malgrado gli interventi massicci della BCE.

Anche sul fronte ambientale uno dei punti di forza della Cina è rinvenibile nella capacità di programmazione economica a lungo termine, che contempla piani di sviluppo anche a breve e medio periodo. Tutto ciò, è sintetizzabile in un modello di politica economia ibrido, centrato sulle riforme, non schiacciato su una pianificazione rigida (anzi è molto flessibile), ma nemmeno sulla totale fiducia nella capacità di funzionamento autonomo dei mercati. Se dapprima erano le ZES di alcune città costiere (anni Ottanta), oggi la pianificazione territoriale, per raggiungere obiettivi di sviluppo tecnologico e di sostenibilità, passa attraverso reti di città, che comprendono regioni sempre più ampie (come la Great Bay Area che unisce 9 città del Guangdong-HK-Macao o la Bohai Area Tianjin-Beijing-Hebei), il decentramento di attività e funzioni, la costituzione di parchi industriali ecosostenibili e di smart cities, spesso realizzate in cooperazione con altri paesi. Per citare due esempi, potremmo ricordare i parchi sino-italiani a Ningbo e Tianjin.

Le parole chiave sono dunque pianificazione, sperimentazione e riforme continue. In questo contesto, si possono meglio comprendere gli sforzi ed i risultati raggiunti dalla Cina proprio nel processo epocale della transizione energetica.

Con la presidenza di Xi Jinping, il Paese ha aperto una nuova fase di modernizzazione, che contempla la costruzione di una civiltà ecologica, e il contributo essenziale che la Cina deve dare al livello mondiale. Chi frequenta la Cina da un po’ di anni ha toccato con mano il miglioramento generalizzato delle condizioni ambientali anche nelle città tradizionalmente più inquinate. Questo per dire che la Cina sta lavorando sulla riconversione verso un’economia verde da almeno 20 anni. Dai risultati raggiunti al livello domestico, la Cina ha cominciato ad assumere un ruolo sempre più rilevante e responsabile anche al livello internazionale nel corso degli ultimi 10 anni. In ambito ambientale l’anno di svolta che ufficializza questa presa in carico di responsabilità è il 2015: l’Accordo di Parigi (COP21) vedeva nel documento di Pechino una posizione avanzata, fatta propria dalla comunità internazionale.

Il 2015 è anche l’anno della definizione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, a cui la Cina ha dedicato enormi risorse. Circa un anno fa, la missione della Cina all’Onu sottolineava i progressi significativi nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Sembra indubbio che la Cina abbia dato il più grande contributo mondiale all’Agenda 2030 (coi suoi 16 SDG).

-         Mantenendo fede ad uno sviluppo people-oriented, con anni di sforzi continui, la Cina ha sradicato la povertà assoluta: il che significa che il paese ha raggiunto l’SDG1 dell’Agenda 2030, con 10 anni in anticipo rispetto al previsto.

-         In merito allo sviluppo verde, la Cina ha annunciato alla comunità internazionale il piano “3060” per raggiungere il picco del carbonio prima del 2030 e la neutralità del carbonio prima del 2060. Negli ultimi dieci anni, la Cina ha registrato un tasso di crescita economica medio annuo pari al 6,6%, con un tasso di crescita medio annuo del consumo energetico pari al 3%: ciò si è tradotto in una diminuzione dell’intensità del consumo energetico cumulativo del 26,4%.

-         Sul fronte della riforestazione, tra il 2012 e il 2021 sono stati piantati nuovi alberi per un totale pari a 64 milioni di ettari, portando così avanti politiche di prevenzione e controllo della desertificazione su circa 18,53 milioni di ettari di territorio. Sono inoltre stati creati o rigenerati 800mila ettari di zone umide. In tutto, nel 2021, l'indice di copertura forestale del Paese aveva raggiunto il 24%: numeri che fanno della Cina il primo Paese al mondo per crescita di risorse forestali e per superficie di riforestazione artificiale. Dal 2000, la Cina ha inoltre guidato le politiche ambientali contribuendo per circa il 25% alla creazione di nuove aree verdi a livello mondiale.

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