Le sfide della cooperazione Italia-Cina

2023-09-06 15:52:46

All’indomani della vista di Tajani in Cina, emergono alcuni interrogativi di fondo sulla nostra strategia. Per esempio: siamo in grado di cogliere appieno le potenzialità della cooperazione? E cosa ci manca per farlo? Forse, una visione strategica più chiara.

La visita del ministro degli esteri italiano in Cina si è appena conclusa nel segno di una rinnovata volontà reciproca a rafforzare le relazioni bilaterali tra i due paesi. Va in questa direzione la scelta di tenere il Comitato governativo Italia-Cina e soprattutto ribadire da parte italiana la volontà ad un rilancio del partenariato strategico. Le opportunità di cooperazione tra Italia e Cina sono molteplici ma, perché si sviluppino appieno, hanno bisogno di una strategia chiara e soprattutto lavoro costante e perseveranza. Per questo motivo non si può non notare come questa importante visita del governo italiano giunga dopo molteplici missioni che le altre cancellerie europee (di cui spesso lamentiamo la maggiore capacità di penetrazione commerciale in Cina rispetto alle nostre imprese) hanno già realizzato negli scorsi mesi. Proprio per questo è legittimo porsi una domanda: siamo in grado di cogliere davvero appieno le potenzialità della cooperazione con la Cina?

Qui tocchiamo un punto nevralgico ed a volte assai dolente del Belpaese. Quello di non riuscire ad esprimere appieno le proprie potenzialità o di non cogliere quelle che si presentano dinnanzi a noi. Per esempio, Tajani ha sottolineato che l’interscambio commerciale bilaterale dopo l’adesione italiana alla Belt and Road «non ha prodotto i risultati sperati». Eppure, proprio in sede di Comitato governativo è stato sottolineato da parte cinese che «l'interscambio commerciale è arrivato a 80 miliardi di dollari con un aumento del 42% in 5 anni e l’export italiano verso la Cina è aumentato del 30%». Tutto questo, aggiungiamo, in un contesto internazionale caratterizzato da una pandemia che ha pesantemente colpito i due paesi al punto che, come sottolineato da un documento Sace (la struttura che per il governo italiano supporta le imprese all’estero) “l’effetto dei continui lockdown è stato stimato in 1,2 punti di Pil reale nel 2022 dal Fondo Monetario Internazionale”. Basato su alcune speculazioni, l’impatto sull’Italia di un rallentamento del Pil cinese dell’1% avrebbe significato una “riduzione dell’11%” delle esportazioni.

Ed a proposito di potenzialità, l’Italia non può immaginare il suo rapporto con la Cina solo in termini di bilancia commerciale. Le relazioni strategiche e d’amicizia, la lunga e radicata cultura, unita alle bellezze del patrimonio artistico e culturale tra i primi due paesi che detengono il maggior numero di siti protetti dall’Unesco, forniscono una profondità prospettica alle relazioni anche in chiave strategica, permettendoci di ricavare un vantaggio rispetto ad altri nostri competitor europei. Un punto nevralgico, questo, della lectio magistralis che il presidente Mattarella ha tenuto in Cina nel 2017 quando spronava ad un profondo scambio non solo tra le persone, le sfere politiche ed i commerci. «Sono, piuttosto, - ribadiva il Capo dello Stato - i nostri universi culturali a dover realmente e costantemente interagire. Occorre che le “Vie della Seta” si moltiplichino e che le strade del nostro conoscersi – che non è mai abbastanza, mai sufficiente, mai concluso e completamente acquisito – si approfondiscano». Consapevole che la temperie degli eventi politici o economici possono influire negativamente sulle relazioni bilaterali, il Presidente Mattarella esortava: «per sottrarre il patrimonio inestimabile delle nostre relazioni alle imprevedibili temperie dei soli mercati, talvolta turbolente, occorre esse poggino su fondamenta ancora più solide, edificate attraverso sempre più intense relazioni istituzionali e politiche, che auspichiamo possano concretizzarsi anche in incontri periodici al più alto livello di Governo. Ciò fornirà la cornice entro la quale perseguire ancor più stretti e qualificati legami commerciali».

Proprio per porre basi solide alla cooperazione bilaterale tra i due paesi allora bisogna guardare con visione prospettica allo sviluppo delle relazioni, ben oltre le contingenze dettate dalla politica domestica. Questo permetterebbe all’Italia di costruire una propria proiezione in un mondo caratterizzato da forti e rapidi cambiamenti. Permetterebbe al nostro paese di costruire una strategia nel dialogo complessivo tra Oriente ed Occidente e di cooperazione tra Italia e Cina sia in ambito europeo che nei paesi terzi, a cominciare dal continente africano.

Il rafforzamento del partenariato strategico globale può essere pertanto l’occasione giusta. A patto di strutturarlo e dargli rilevanza sia in ambito istituzionale che economico, non solo perché duri nel tempo, ma affinché sia in grado di scrivere una nuova e più completa forma di cooperazione tra i due paesi. Altrimenti, si correrebbe il rischio che imprese e soggetti di riferimento lo vedano come un pannicello caldo, utile prevalentemente ad immediate esigenze domestiche, ma senza il fiato lungo di cui invece ha bisogno per svilupparsi nel tempo.

I prossimi mesi, da questo punto di vista, saranno cruciali. E per la situazione che si è venuta a creare, il paese avrà tutti gli occhi puntati addosso, sia dal fronte domestico che internazionale. E se finora non siamo stati in grado di cogliere tutte le potenzialità della cooperazione con la Cina, allora forse è arrivato il momento di chiarire qual è la strategia complessiva che guida la nostra attività nei prossimi decenni. E sbagliare proprio adesso, per esigenze domestiche o di natura propagandistica, sarebbe davvero esiziale.


L'autore Francesco Maringiò è il presidente dell’Associazione italo-cinese per la promozione della Nuova Via della Seta

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