La guerra di Corea e la salvaguardia degli equilibri internazionali

2023-07-26 17:22:09

Il 27 luglio ricorreranno i settant'anni dall'armistizio che pose fine alla Guerra di Corea, un conflitto che interessò l'omonima Penisola tra il 1950 e il 1953. Al netto delle dispute, delle schermaglie e delle intrusioni operate dagli Stati Uniti in Estremo Oriente subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, fu quello il primo confronto armato su larga scala della Guerra Fredda.

Con la capitolazione del Giappone e la caduta dei protettorati che aveva costituito con la forza in Asia Orientale, la Corea fu suddivisa da Washington e Mosca in due aree amministrative, che stabilirono il confine lungo il 38° parallelo. In breve tempo, analogamente a quanto avvenuto in Germania, queste due aree si trasformarono in Stati separati: il Nord socialista, sotto il regime di Kim Il-Sung, ed il Sud capitalista, sotto il regime di Syngman Rhee.

Nel 1950, Kim Il-Sung decise di riunificare la Penisola, già martoriata da trentacinque anni di durissima occupazione militare giapponese, sotto un unico governo. Il 27 giugno, le milizie dell'Armata Popolare Coreana sfondarono i confini nel tentativo di detronizzare il governo del Sud, ritenuto un regime fantoccio messo in piedi da Washington per mantenere il controllo su un territorio ancora oggi strategico. È senz'altro vero che lo stesso Kim godeva del sostegno dell'URSS. Tuttavia, se quest'ultima restava pur sempre un Paese confinante, così come l'odierna Federazione Russa, altrettanto non si poteva (e non si può) dire degli Stati Uniti, del tutto estranei alla Corea e all'Asia in generale.

Schiacciato nel cosiddetto Perimetro di Busan, piccola porzione territoriale attorno all'omonima città portuale, nell'estremo Sud della Penisola, l'esercito sudcoreano, vicinissimo alla capitolazione, riuscì a capovolgere la situazione soltanto in Ottobre, quando la Coalizione ONU, guidata dagli Stati Uniti e da altri quindici Paesi alleati, decise di entrare in campo massicciamente a sostegno di Syngman Rhee.

A quel tempo, il Consiglio di Sicurezza era composto da quattro attori appartenenti al campo liberale ed uno solo, Mosca, a quello comunista. La Repubblica Popolare Cinese, infatti, nata meno di un anno prima, non sarebbe stata riconosciuta dall'ONU sino al 25 ottobre 1971, quando un'apposta risoluzione pose fine alle ambiguità, lasciando il posto dei delegati di Taiwan - espulsi e privati di riconoscimento internazionale - a quelli di Pechino.

Le prime operazioni degli Stati Uniti, coadiuvati dagli Alleati, coinvolsero il fiume Yalu, lungo il confine con la Cina, inviando contemporaneamente la loro 7a Flotta nello Stretto di Taiwan, in un pericoloso incrocio di interessi confliggenti che rischiava di destabilizzare gravemente una vasta porzione dell'Estremo Oriente. Washington, infatti, non si era limitata a respingere l'offensiva nordcoreana ma, dopo aver catturato la città di Incheon a settembre, si spinse oltre il 38° parallelo.

Il 19 ottobre 1950, Pechino, che aveva già intimato agli Stati Uniti di non varcare la linea stabilita internazionalmente nel 1945, entrò ufficialmente in guerra inviando l'Esercito Volontario Popolare, sotto il comando del generale Peng Dehuai, a sostegno dell'Armata di Kim Il-Sung, che ne aveva chiesto l'invio. Noto nel Paese di mezzo col significativo nome di Guerra di Resistenza all'Aggressione Statunitense e di Sostegno alla Corea, quel conflitto coinvolse in totale 2,9 milioni di soldati cinesi, dei quali 197.653 persero la vita. Tra questi anche Mao Anying, primogenito del leader Mao Zedong.

In un suo intervento dell'ottobre 2020, in occasione del settantesimo anniversario dell'entrata in guerra della Cina, il presidente Xi Jinping ha definito l'esito di quel conflitto come "una vittoria della giustizia, una vittoria della pace e una vittoria del popolo", sottolineando l'importanza del "prezioso patrimonio spirituale" mostrato durante le ostilità. Quel sacrificio ha portato avanti, secondo Xi, uno spirito ispiratore per il popolo e la nazione cinese affinché superasse tutte le difficoltà e gli ostacoli, e prevalesse su tutti i nemici.

Secondo Yang Xiyu, membro anziano presso l'Istituto Cinese di Studi Internazionali, la Guerra di Corea ha creato un precedente nella storia delle relazioni internazionali, dal momento che Paesi allora meno potenti "fermarono i tentativi delle potenze occidentali di bullizzare, distruggere o sovvertire un Paese attraverso il loro potere". C'era infatti grande disparità in termini di armamenti ed equipaggiamenti tra le parti in conflitto. In particolare, gli Stati Uniti disponevano di "avanzati sistemi d'arma, un significativo potere aereo e marittimo nonché forze di terra meccanizzate", mentre l'Esercito Volontario Popolare "faceva essenzialmente affidamento sulla fanteria e su un'artiglieria limitata, i suoi armamenti era obsoleti ed il suo potere aereo era minimo".

Oltre a legare fraternamente i popoli cinese e nordcoreano, quell'intervento viene ancora oggi ritenuto decisivo, non solo in Cina, per aver salvaguardato gli equilibri internazionali, costruito le basi per la pace sancita nel 1953 e scongiurato il rischio di una catastrofica terza guerra mondiale a poco più di cinque anni dalla fine della seconda. In un momento storico che sta confermando l'aggressività e l'ingerenza di Washington, soprattutto nella regione Asia-Pacifico, la lezione dell'Esercito Volontario Popolare assume un significato estremamente attuale.

"Non importa quanto vi tingiate i capelli di biondo o quanto affiliate la forma del vostro naso, voi non potrete mai diventare europei o americani, non potrete mai diventare occidentali", ha detto recentemente l'ex ministro degli Esteri Wang Yi in un intervento pubblico, lo scorso 3 luglio, durante il Forum Internazionale di Cooperazione Cina-Giappone-Corea del Sud a Qingdao, rivolgendosi proprio alle controparti nipponica e sudcoreana. "Dobbiamo sapere dove risiedono le nostre radici", ha aggiunto Wang, invitando i due Paesi, oggi partner commerciali di primo piano per Pechino, a rafforzare un senso di "autonomia strategica" rispetto all'Occidente e a cooperare con la Cina per "rivitalizzare l'Asia Orientale"


L'autore Fabio Massimo Parenti è professore associato di studi internazionali e Ph.D. in Geopolitica e Geoeconomia

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