Un vertice senza precedenti per sancire ufficiosamente l’espansione della Nato verso Oriente e mettere la Cina nel mirino. A Vilnius, in Lituania, l’11 e il 12 luglio è andato in scena un summit dell’Alleanza atlantica in versione allargata, che ha visto riunirsi i leader dei 31 Paesi membri dell’Organizzazione insieme a quelli di altri quattro Stati alleati ma esterni: Australia, Nuova Zelanda, Giappone e Corea del Sud. In vista di un progressivo rafforzamento della cooperazione in materia di sicurezza tra i vari attori presenti, l’inclusione di nuovi partner consentirà agli Stati Uniti di collegare i suoi partenariati transatlantici e il sistema di alleanze in Asia-Pacifico.
In teoria il tema cardine dell’incontro avrebbe dovuto essere l’Ucraina. Nello specifico: come confermare la compattezza del blocco a sostegno di Kiev, e capire se e quando far aderire il governo guidato da Volodymyr Zelensky all’Alleanza (così come la Svezia). In pratica si è sì parlato della crisi ucraina, ma sono stati affrontati anche altri dossier di “sicurezza globale”. È proprio all’interno di questa perifrasi di comodo che rientrano i rapporti tra Nato e Cina, e il ruolo che la stessa Nato vorrebbe ricoprire nella regione Asia-Pacifico sempre in chiave anti cinese. È evidente, dunque, che gran parte del programma affrontato a Vilnius sia una chiara provocazione nei confronti della Repubblica Popolare Cinese che, dal canto suo, ha suggerito all’Alleanza di “concentrarsi a svolgere un ruolo costruttivo per la pace e la stabilità dell’Europa e del mondo”, invece di “esaltare il tema” correlato proprio alla Cina.
I paesi membri dell'Alleanza hanno sottolineato nel comunicato finale della prima giornata del summit, martedì 11 luglio, che la "Repubblica popolare cinese utilizza un'ampia gamma di strumenti politici, economici e militari per aumentare la sua influenza globale e la proiezione del suo potere, pur rimanendo opaca sulla sua strategia, intenzioni e rafforzamento militare". La nota della Nato accende i riflettori su Cina e Russia, unite in un "partenariato strategico approfondito" per "indebolire l'ordine internazionale basato sulle regole". La risposta di Pechino non si è fatto attendere, rimarcando ciò che la Repubblica popolare sostiene da molto tempo. Qualsiasi atto che metta a repentaglio i diritti e gli interessi legittimi della Cina riceverà una risposta risoluta.
L’attesissimo vertice, tra l’altro, è arrivato pochi giorni dopo che gli Stati Uniti, in mezzo alle incertezze di molti alleati, hanno deciso di inviare bombe a grappolo – vietate da oltre 120 Paesi – all’Ucraina, e dopo la decisione del Paese ospitante, la Lituania, di aderire alla strategia statunitense. Una delle parti più delicate di questa "strategia" lituana di 16 pagine è la dichiarazione sulla questione di Taiwan, che sottolinea come "lo sviluppo delle relazioni economiche con Taiwan sia una delle priorità strategiche della Lituania". Vilnius ha persino tracciato una "linea rossa", affermando che lo status quo nello Stretto di Taiwan "non può essere cambiato con l'uso della forza o della coercizione". Per la cronaca, la Lituania e l’isola di Taiwan hanno anche istituito uffici di rappresentanza reciproci, con un conseguente netto deterioramento delle relazioni tra il Paese baltico e la Cina.
Se questa è la cornice del quadro, la tela non è affatto migliore. Intanto perché le dichiarazioni al vetriolo della cricca anti cinese riunitasi in Europa orientale prefigurano le prossime mosse della Nato, o almeno le sue intenzioni. Mentre intensifica la pressione sulla Russia, l’Alleanza atlantica sta chiaramente accelerando la sua espansione nella regione Asia-Pacifico, con il summit di Vilnius che dà tutta l’impressione di essere una sorta di momento "spartiacque". Le prove generali di un’espansione del Patto atlantico in Oriente erano già andate in scena un anno fa al summit di Madrid. Adesso, ancora una volta, e per la seconda consecutiva, i leader di Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda hanno partecipato all’incontro della Nato. Secondo alcune indiscrezioni apparse sui media occidentali, il Patto atlantico potrebbe elevare la sua partnership con questi quattro Paesi ad un livello superiore, dando un forte segnale alle ambizioni future degli Usa: intrappolare la Cina, o peggio, continuare a provocarla su Taiwan e Mar Cinese Meridionale.
La partita giocata da Nato e Stati Uniti ha come fine ultimo quello di trasformare l’Alleanza atlantica in una sorta di Alleanza globale. Nel frattempo, la Nato sta pianificando anche di aprire un ufficio di collegamento a Tokyo, il primo del suo genere in Asia, fornendo un ennesimo segnale di aggressività dell’Alleanza nell'Asia-Pacifico, attivamente spinta dal Giappone. Va da sé che la continua e progressiva incursione negli affari cinesi a queste latitudini, con tanto di interferenza negli affari regionali di Paesi terzi, minerà inevitabilmente la pace e la stabilità regionali. Con il rischio, sempre più alto, di alimentare un confronto sul campo. A questo punto non resta che capire se tutti i membri della Nato intenderanno muoversi in questa direzione o se alcuni di essi – in primis quelli che vantano legami costruttivi con la Cina – cercheranno di frenare il folle piano statunitense.
L'autore Fabio Massimo Parenti è professore associato di studi internazionali e Ph.D. in Geopolitica e Geoeconomia