Vertice SCO: come guardare al mondo con una lente diversa

2023-07-06 10:38:05

Si è appena concluso il vertice dei capi di stato della SCO, l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, con l’approvazione delle risoluzioni finali (inclusa la strategia di sviluppo economico dei paesi SCO fino al 2030). Giunta alla 23ª edizione questa struttura è destinata ad allargarsi significativamente nel tempo, coinvolgendo diversi nuovi paesi. Già oggi pesa per più del 40% della popolazione globale, più del 20% del Pil e circa il 20% delle riserve petrolifere mondiali, ma il progressivo allargamento ad altri paesi non farà che accrescerne la magnitudine e il rilievo politico. L’importanza di questo evento è utile anche per sviluppare alcune considerazioni qui in occidente, perché ci aiuta a guardare le cose tenendo presente un altro punto di osservazione.

Partiamo dal primo aspetto. Da quando l’amministrazione democratica guidata da Biden si è insediata alla Casa Bianca ha imposto una lettura del mondo binaria: da una parte si troverebbero le democrazie liberali, dall’altro lato invece gli stati autoritari, che rappresentano la principale minaccia all’ordine internazionale a guida americana. Al primo gruppo di paesi apparterrebbero gli stati occidentali, al secondo tutti gli altri. Una ripresa in pieno stile della tesi di S. Huntington sullo scontro tra civiltà (lanciata nei primi anni ’90 nel pieno dell’avvio dell’unilateralismo americano) e raffigurata da S. Hall nella dicotomia “the West and the Rest”. Ma questa visione binaria, rafforzatasi in alcuni circoli politici occidentali dopo lo scoppio del conflitto ucraino, non tiene conto invece delle complessità del mondo e, soprattutto, del peso di alcuni stati. Il vertice 2023 della SCO è stato ospitato dall’India, paese che la vulgata occidentale inserirebbe nel novero delle democrazie. Ma il primo paese al mondo per popolazione e la sesta economia del pianeta continua a resistere alle spinte degli Usa che la vorrebbero coinvolta in uno scontro contro Mosca (e gli altri paesi non seguaci del Washington consensus) e continua a mantenere ferma la propria postura basata sulla dottrina delle neutralità strategica.

Non solo: dal vertice dell’anno scorso di Samarcanda la SCO, nata dal “gruppo dei cinque” nel 1996 e fin da subito imperniata su una forte collaborazione tra Cina e Russia, si è significativamente allargata. Al vertice in Uzbekistan, infatti, è stata decisa l’adesione dell’Iran come stato membro (avvenuta nel corso del vertice del 2023), è stata anche avviata la procedura per l’adesione della Bielorussia, è stato concesso lo status di partner di dialogo all’Egitto, all’Arabia Saudita ed al Qatar ed è stata decisa la futura ammissione come nuovi partner di dialogo di Bahrein, Maldive, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Myanmar. La pretesa di un mondo ancora imperniato esclusivamente sugli interessi ed una visione occidente-centrica va in pezzi di fronte a questo vertice SCO che, ospitato dall’India ed aperto a nuovi membri, mette ancora più in luce la pretesa di alcuni stati di raffigurarsi come gli unici portatori di interesse dell’intera comunità internazionale, quando in realtà il loro ruolo si sta riducendo nel mondo.

Un altro punto molto interessante è la pretesa di una sorta di parallelismo tra le ambizioni della SCO e la NATO. Sebbene in ambito SCO vengano organizzati periodicamente esercitazioni militari, proprio la presenza di differenze al suo interno la candidano ad un ruolo sempre più importante per la gestione di dispute e problemi per via diplomatica, differentemente dall’unilateralismo militare che caratterizza invece il modus operandi della NATO. Come abbiamo rilevato l’anno scorso in occasione del vertice di Samarcanda, la SCO coinvolge paesi con sistemi politici e talvolta valori diversi, fornendo loro una piattaforma di dialogo e cooperazione fattuale per la gestione e risoluzione di problemi concreti. Proprio il rafforzamento di questa strada diversa e separata da quella della NATO, ne riduce in prospettiva la sua centralità strategica.

È significativo, a questo proposito, che il presidente cinese abbia esortato gli Stati membri ad adoperare il meccanismo di coordinamento e cooperazione tra i vicini dell'Afghanistan e ad incoraggiare il Paese ad intraprendere un cammino di pace e ricostruzione, dopo oltre venti anni di guerra americana e rovinosa dipartita nel 2021. Tra i cinque punti che Xi Jinping ha affrontato nel corso del suo discorso, due chiarivano il contributo cinese sulle prospettive della SCO. Il presidente cinese, infatti, da un lato ha ribadito come l’obbiettivo prioritario dell’Organizzazione risieda nel garantire la sicurezza, lottando contro il terrorismo, il separatismo e l’estremismo, dall’altro lato ha chiesto agli stati di restare uniti contro le minacce esterne e risolvere le dispute con il dialogo e la cooperazione. Soprattutto allontanando le ingerenze esterne nella regione e le interferenze negli affari interni dei singoli stati. Non è questo un richiamo formale. Basti pensare al fatto che almeno 5 dei 9 membri della SCO hanno visto nel proprio paese tentativi di rivoluzioni colorate fomentate dall’esterno. Xi Jinping ha infatti dichiarato: «Dobbiamo essere estremamente vigili contro i tentativi esterni di fomentare una nuova guerra fredda o un confronto tra campi nella nostra regione. Dobbiamo respingere con decisione qualsiasi interferenza nei nostri affari interni e l'istigazione di “rivoluzioni colorate” da parte di qualsiasi Paese, con qualunque pretesto».

Inoltre il presidente cinese ha invitato gli Stati membri a concentrarsi su una cooperazione concreta per accelerare la ripresa economica. Anche a tal riguardo va letta la proposta cinese di aumentare i regolamenti valutari locali tra gli Stati membri, espandere la cooperazione sulle monete digitali sovrane e promuovere la creazione di una banca per lo sviluppo all'interno dell'organizzazione. Si tratta di un tema nevralgico, non solo per la regione. In realtà, proprio la pretesa occidentale di una lettura binaria del mondo contemporaneo e la spasmodica ricerca di cristallizzazione di tale divisione in blocchi sta accelerando la tendenza alla perdita di influenza dell’Occidente. Prendiamo il caso degli scambi internazionali. Secondo un rapporto di Reuters di lunedì scorso, l’azienda pubblica indiana Indian Oil Corporation ha iniziato ad acquistare petrolio russo in yuan da giugno ed almeno due delle tre compagnie private fanno lo stesso. Non si tratta di un caso isolato. Al giorno d’oggi sono circa 60 i paesi che commerciano usando le loro valute al posto del dollaro, al punto che le riserve in dollari americani sono in costante calo: secondo Bloomberg sono infatti passate dal 73% del 2001 al 58% del 2023. E le azioni unilaterali degli Stati Uniti non fanno che esacerbare la crisi della loro divisa, come dimostra il continuo innalzamento dei tassi di interesse (e relativi tassi di cambio) che stanno minando la funzione della valuta americana come “bene universale”.

Fino a che punto l’Europa sarà disposta a pagare il prezzo di tali scelte unilaterali? La spinta alla guerra, sostenuta con la pretesa dell’egemonia del dollaro, sta togliendo ai paesi europei ad alla loro valuta ogni possibilità di sostenere lo sviluppo economico e gli investimenti nel loro continente. Piuttosto che continuare a leggere gli eventi che accadono in Asia con le lenti prese in prestito da Washington, bisognerebbe cominciare a definire meglio i propri interessi strategici e cambiare paradigma.

L'autore Francesco Maringiò è il presidente dell’Associazione italo-cinese per la promozione della Nuova Via della Seta

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