Li Qiang ha effettuato la sua prima missione in Europa, visitando la Germania ed apprestandosi a volare a Parigi. È un’Europa profondamente diversa da quella che accoglieva la Cina solo alcuni anni fa. I cambiamenti geopolitici hanno modificato lo stato delle cose, ma non gli interessi oggettivi dei singoli paesi. Che oggi sono divisi ed incerti sul da farsi.
Si è chiusa la visita del premier cinese Li Qiang in Germania, durante la quale ha incontrato il presidente tedesco Steinmeier, il cancelliere Scholz e la comunità imprenditoriale tedesca, per prendere parte al settimo ciclo di consultazioni governative tra i due paesi. Oltre a queste ragioni ufficiali, l’occasione è utile per ribadire l’interesse cinese verso il vecchio continente, aspetto questo confermato anche dal fatto che il tour europeo di Li prevede anche una tappa a Parigi.
Il rapporto tra la locomotiva europea ed il gigante asiatico è strategico. L’anno scorso la Cina si è confermata, per il settimo anno di fila, il primo partner commerciale della Germania con un volume di import-export pari a 2980 mld di euro e, come abbiamo ribadito durante la visita di Scholz a Pechino a novembre scorso, negli ultimi 30 anni la Germania ha investito all’incirca 100 mld di euro, a riprova di una relazione strategica e di lungo corso. Alcune aziende come Infineon, attiva nel settore dei semiconduttori, o case automobilistiche come BMW, Daimler e Volkswagen ricavano dal mercato cinese il 30% del loro fatturato. Ed altri, come Adidas, Basf e Siemens, vanno tra il 15% ed il 21%. Secondo l’istituto di studi economici Ifw, citato dal quotidiano italiano Sole24Ore, «a lungo termine il disaccoppiamento dalla Cina avrebbe un impatto negativo sull’economia tedesca pari a una perdita di valore aggiunto di 36 miliardi l’anno, 1% circa di Pil: e questo senza contare la dipendenza, totale o parziale, della Germania da terre rare e prodotti di consumo cinesi».
Ma questa visita va letta analizzando il contesto globale nella quale avviene. Nelle stesse ore, infatti, il Segretario di stato Usa Blinken era a Pechino per il tanto atteso vertice con le massime cariche della Repubblica popolare, nel tentativo di stabilizzare il dialogo e le relazioni tra i due paesi che vivono una delle fasi più difficili dallo stabilimento delle relazioni diplomatiche. Oltre a questo, la Germania è stata teatro di ben due attività, politiche e militari, poco prima dell’arrivo del premier cinese: la Nato Air Defender e la strategia di sicurezza tedesca. I cieli tedeschi saranno infatti interessati fino al 25 giugno dalla più grande esercitazione aerea di sempre. Ufficialmente è un’operazione per migliorare l’inter-operatività delle forze dell’Alleanza in caso di attacco a città su territorio Nato, ma la presenza di altri paesi come Svezia e Giappone lascia presagire una pericolosa volontà di allargamento ben oltre l’Atlantico del Nord. A questo va aggiunto il tanto atteso documento presentato mercoledì scorso con il quale la Germania tenta di elaborare un proprio posizionamento internazionale. Riguardo alla Cina, il documento strategico tedesco ricalca quello europeo varato dalla commissione Junker nel 2019 che ha definito Pechino al tempo stesso, un «partner, un concorrente e un rivale sistemico». La retorica linguistica usata dal documento del governo tedesco è molto più assertiva sulla Cina, ma viene ampiamente ribadito l’interesse a cooperare su temi globali di interesse comune. Insomma: questa visita di Li Qiang avviene in un momento nel quale il governo federale della coalizione semaforo sta archiviando la lunga fase della strategia adottata dal cancelliere Merkel e sta provando un difficile equilibrio tra quella che è la difesa dei suoi reali interessi economici e politici e l’esigenza di una maggiore concertazione atlantica, che vorrebbe invece scavare un solco incolmabile tra l’Europa e la Cina.
Le divisioni all’interno della Germania e la sintesi politica trovata nella stesura del documento strategico, parlano di una fitta dialettica interna alla società. Non si tratta di un caso isolato. La stessa visita di Blinken a Pechino è stata preceduta dall’arrivo nella capitale cinese di una lunga serie di capitani di corporate americani: da Musk (Tesla) a Gates (Microsoft), da Dimon (Jp Morgan) a Barra (General Motors), tutti interessati a limitare i danni della nuova fase internazionale dove certo non mancano boicottaggi e ritorsioni da parte dell’Amministrazione americana. Di riflesso, questa è una dialettica che sta attraversando la stessa Europa, oggi sempre più stretta in una morsa di impegno bellico indiretto ed economico sul fronte della guerra ucraina. Una strategia che, finora, ben lungi dal raggiungere gli obbiettivi declamati, sta creando sconquassi alle economie dei singoli paesi.
Nel corso della sua visita in Germania, il premier cinese ha ribadito la nota posizione del suo governo, dicendo che è essenziale opporsi al disaccoppiamento e alla separazione delle catene industriali e di approvvigionamento e di praticare un vero multilateralismo, condizione per salvaguardare la pace e la stabilità regionale e mondiale. I politici tedeschi hanno preso nota e dato il via all’ingresso della società pubblica cinese Cosco nel porto di Amburgo, per 42 ml di Euro. Cosco entra con una quota di minoranza del 24,99% del terminal di Tollerort e, grazie ad un piano di investimenti e crescita, progetta un’iniezione di liquidità capace di trasformare lo scalo tedesco nel punto di imbarco e trasbordo di materiali e merci più importante per l’Asia in Europa.
È un peccato che l’Italia finora non sia stata in grado di altrettanta visione strategica. Tra Taranto, Trieste ed altri importanti porti lungo tutto il paese, l’Italia potrebbe ambire a diventare un hub strategico per il mediterraneo. Finora però, ci sono stati solo proclami e progressivi disimpegni con partner cinesi ed internazionali. Non proprio una strategia utile per servire gli interessi del Paese.
L'autore Francesco Maringiò è il presidente dell’Associazione italo-cinese per la promozione della Nuova Via della Seta