Dopo un anno particolarmente complicato, durante il quale le relazioni sino-statunitensi si sono fortemente deteriorate, l'annunciata visita del Segretario di Stato USA Antony Blinken a Pechino era attesa come una prima, importante boccata d'ossigeno per avviare un percorso in grado di distendere i nervi tesi e ripristinare un dialogo su livelli standard.
A dire il vero, un primo passo era stato compiuto in un incontro svolto a margine dell'ultimo G20 di Bali, in Indonesia, nel novembre scorso, quando i due presidenti - Xi Jinping e Joe Biden - avevano raggiunto un consenso di massima. Gli Usa, tuttavia, hanno ancora una volta disatteso le aspettative, agendo in contrasto alle parole pronunciate dal presidente americano.
Le recenti tensioni nel Mar Cinese Meridionale avevano fatto pensare al peggio, eppure l'incontro di domenica scorsa a Pechino con il Ministro degli Esteri Qin Gang avrebbe sancito la volontà delle parti di "attuare congiuntamente" quanto emerso a Bali, nonché di "gestire efficacemente le differenze e promuovere il dialogo, gli scambi e la cooperazione". I due rappresentanti governativi hanno concordato di mantenere scambi di alto livello, incoraggiando l'incremento dell'interazione culturale e formativa tra i due Paesi.
"Le relazioni tra i due Paesi, attualmente, sono al punto più basso da quando furono ufficialmente stabilite", cioè dal 1979, quando, sulla base del secondo comunicato congiunto Cina-USA, l'amministrazione Carter decise di riconoscere in via definitiva la Risoluzione ONU 2758, e quindi la politica di 'Una sola Cina', lasciando scadere il Trattato di Mutua Difesa tra USA e Taiwan.
Ed è proprio questo uno dei nodi gordiani nella complicata matassa delle relazioni Cina-USA. Nonostante l'architettura diplomatica costruita negli ultimi cinquant'anni, Taiwan continua annualmente a ricevere armamenti dagli Stati Uniti. La leadership in carica, fomentata dalla retorica della presunta lotta globale tra "democrazie" e "autocrazie", ha inoltre deliberatamente assunto posizioni finalizzate a mettere in discussione lo status-quo sullo Stretto. "La questione di Taiwan è al centro degli interessi fondamentali della Cina", ha sottolineato Qin durante l'incontro con Blinken, specificando che essa assume al contempo i caratteri della vicenda più importante ma anche del rischio più evidente. L'invito alla controparte americana è chiaro: aderite sinceramente e concretamente alla politica di 'Una sola Cina', rispettate i tre comunicati congiunti Cina-USA e ritirate il vostro sostegno alle forze indipendentiste taiwanesi.
Dal canto suo, la Cina sostiene di aver sempre mantenuto nei confronti del partner d'oltreoceano una politica coerente e stabile, fondata sul principio basilare del reciproco rispetto, sulla coesistenza pacifica e sulla cooperazione reciprocamente vantaggiosa. Che è ciò che la comunità internazionale si aspetta, come rimarcato da Qin. "La Cina è impegnata a costruire relazioni stabili, prevedibili e costruttive con gli Stati Uniti", ha rimarcato Qin, aggiungendo di attendersi dagli Stati Uniti che adottino un punto di vista obiettivo e razionale nei confronti della Cina, lavorino allo stesso scopo, garantiscano le fondamenta politiche dei rapporti bilaterali e trattino gli incidenti in modo calmo, professionale e razionale.
Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, gli Stati Uniti e i loro alleati NATO non hanno perso tempo a puntare subito il dito contro Pechino, rea - a loro dire - di non aver aderito al regime di sanzioni internazionali imposto ai danni della Russia. In realtà, esattamente come la Cina hanno agito decine e decine di altri Paesi, tra cui vere e proprie potenze energetiche e commerciali del calibro di India, Brasile, Arabia Saudita, Indonesia e Sudafrica. Un riconoscimento indiretto da parte occidentale della particolarissima importanza dell'economia cinese per il resto del mondo? Senz'altro, ma anche l'idea di appaiare Mosca e Pechino in un fantomatico "blocco del male" da servire come un piatto caldo all'opinione pubblica, affamata di notizie e informazioni dopo anni di digiuno in materia di politica estera.
Chiusa, almeno momentaneamente, l'accusa di "supporto finanziario e commerciale", tra i media mainstream occidentali è circolata con sempre maggior insistenza che Pechino potesse fornire armamenti alla Russia da utilizzare in Ucraina. Stoltenberg, Segretario Generale della NATO, pur affermando di non avere alcuna prova in merito, aveva comunque messo le mani avanti, lo scorso febbraio, sconsigliando a Pechino di farlo se mai avesse preso in considerazione questa ipotesi. Come a dire: "Noi possiamo mandare armi di ogni genere in Ucraina, voi non azzardatevi a farlo".
Poco tempo dopo, con la pubblicazione della proposta per una soluzione politica alla crisi ucraina in 12 punti, si è finalmente compreso che la Cina faceva e fa sul serio quando parla di pace, tenendo in considerazione le richieste e le esigenze di entrambe le parti. Eppure, la doppia morale occidentale sembra non demordere. Il paternalismo minaccioso dell'amministrazione Biden nei confronti degli altri Paesi del mondo, versione "dem" dell'aggressivo egemonismo neo-conservatore della prima metà degli anni Duemila, non sta pagando. Malgrado l'illusoria bolla mediatica messa in piedi per convincere l'opinione pubblica che l'Occidente sia ancora il centro del mondo, gli equilibri internazionali sono ormai profondamente cambiati e la capacità statunitense di incidere sull'agenda globale si sta riducendo di anno in anno.