Due rappresentanti dell’alta borghesia francotedesca sono a Pechino perché la situazione in Europa è ormai insostenibile, insopportabile. Il presidente francese Emmanuel Macron, già banchiere d’affari di Rothschild, è partito per la Repubblica Popolare con la Francia letteralmente in fiamme e le proteste che dilagano. Del resto, alla fine della scorsa estate il presidente aveva annunciato pubblicamente tempi duri a venire, la fine dell’abbondanza e i soliti necessari sacrifici… Al seguito di Macron, sulla via di Pechino, decine di capitani d’industria con obiettivi evidenti da realizzare.
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, fino a qualche anno fa ministro della difesa in Germania, con precedenti incarichi politici di alto livello nelle fila della CDU, qualche giorno prima di questa visita si era espressa in maniera critica circa la recente dichiarazione di amicizia “senza limiti” fatta dai presidenti di Cina e Russia, commentando con gli stessi toni anche la politica estera cinese, che la presidente giudicherebbe sempre più assertiva, aggiungendo però che le relazioni tra Unione europea e Cina non sono o bianco o nero. Spazio dunque al dialogo, anche perché al di là di quello che istituzionalmente è evidentemente tenuta a dire, sa bene quali siano gli interessi europei da difendere, a cominciare da quelli della sua Germania.
E non c’è motivo per dubitare che questi due rappresentanti del vecchio e collaudato asse francotedesco sapranno come portare a casa qualcosa di buono per le rispettive industrie sofferenti.
Determinante anche la capacità da parte loro di comprendere una volta sul posto, che la Cina con il conflitto in Ucraina non solo non ha niente a che fare, ma che da diversi mesi Pechino ha all’ordine del giorno del suo impegno internazionale proposte di una soluzione pacifica che allo stesso tempo siano anche realistiche e non azzardi di fantapolitica.
Dopotutto se questa visita ha luogo è anche perché non tutti in Occidente sono ignari dei radicali cambiamenti in corso nelle dinamiche globali. Le sanzioni contro la Russia non stanno funzionando. E intanto il Giappone ha infranto il limite imposto proprio dal G7 al prezzo del petrolio russo perché altrimenti non poteva fare, essendo sempre in urgente bisogno di risorse energetiche che di suo non ha. E poi questo limite ha probabilmente i giorni contati, soprattutto ora che il consorzio dell’Opec+ ha deciso un taglio importante della produzione giornaliera di petrolio, dimostrando inoltre un potere di manovra strategicamente superiore a quello di chi fa politica internazionale con le sanzioni e non con i negoziati.
Non che manchino buoni clienti alla Russia, da cui si riforniscono tra gli altri anche il Pakistan, l’India, la stessa Cina. Questi ultimi due paesi in particolare condividono con la Russia l’appartenenza all’Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione, importantissima realtà regionale che opera in diversi ambiti, nonché quello culturale, e al gruppo dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), che con il ritorno di Lula alla presidenza del Brasile, acquisisce una rinnovata valenza strategica, forte proprio delle ottime relazioni di quest’ultimo con la Cina di Xi Jinping.
Dei BRICS ultimamente si parla molto per il progetto in corso d’opera che riguarda l’utilizzo di una propria moneta di scambio mettendo da parte il dollaro, sulla cui solidità non c’è più accordo unanime. L’idea non è proprio recente. Se ne discute da oltre un decennio, e ancora prima dei BRICS era stata proposta da Vladimir Putin e dal compianto ex presidente kazako Nursultan Nazarbaev relativamente alla Comunità Economica Euroasiatica (EvrAzEs).
Destino del dollaro a parte, al fenomeno BRICS il mondo guarda con crescente interesse. I ministri delle finanze di molti paesi nel maggio dello scorso anno erano ad un vertice del Gruppo per discutere di allargamento, ovvero per essere prima o poi ammessi al club. Paesi come Algeria, Argentina, Iran, Arabia Saudita, Turchia, Egitto, Indonesia, Kazakhstan, Nigeria, Emirati Arabi Uniti.
Prospettive che effettivamente delineano all’orizzonte mutamenti geopolitici importanti. Anche in Italia, dove queste dinamiche vengono appena sussurrate dai media, recentemente è stato costituito l’Istituto Italia BRICS, presieduto da Vito Petrocelli, fino allo scorso autunno senatore della Repubblica con alle spalle incarichi istituzionali di primo piano. Seme di speranza.
Per il momento, non ci resta che augurare una buona permanenza a questa comitiva europea in pellegrinaggio a Pechino.
(L'autore Pietro Fiocchi Giornalista, analista della cooperazione internazionale)