[In altre parole] Una nuova ondata di ingerenza americana su Taiwan?

2023-04-03 15:31:59

Che l'ombra di Washington non si sia mai allontanata da Taiwan, nemmeno dopo la Risoluzione ONU 2758 del 1971 e i tre comunicati congiunti Cina-USA (1972, 1978, 1982), è cosa risaputa. Malgrado gli impegni assunti, rispettivamente, dai presidenti americani Richard Nixon, Jimmy Carter e Ronald Reagan, il cordone ombelicale che ha legato per un trentennio gli Stati Uniti a Taiwan, dal 1949 al 1979, sulla base del Trattato bilaterale di cooperazione e sicurezza reciproca, si è soltanto assottigliato assumendo le sembianze di un filo rosso, dove le forniture di armamenti rappresentano ancora una parte rilevante dell'interscambio tra il territorio insulare e la superpotenza nordamericana.

Nel terzo comunicato congiunto, siglato tra Pechino e Washington il 17 agosto 1982, gli Stati Uniti dichiaravano di accettare, tra le altre cose, di non voler attuare una "politica a lungo termine di vendita di armi a Taiwan", garantendo che le spedizioni in materia bellica "non avrebbero superato in termini né qualitativi né quantitativi il livello di quelle inviate negli anni successivi all'avvio delle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Cina". Non solo: la Casa Bianca si impegnava a "ridurre gradualmente" queste vendite fino ad una "soluzione definitiva". Il significato di quest'ultima espressione viene chiarito poco più avanti, stabilendo l'impegno dei due governi ad adoperarsi "per adottare misure e creare condizioni favorevoli alla completa risoluzione di questo problema".

Gli accordi tra le due potenze, chiaramente, non possono essere letti ed analizzati se non in combinato disposto con la già citata Risoluzione ONU 2758, approvata dall'Assemblea Generale il 25 ottobre 1971 con 76 voti a favore, 35 contrari (tra cui gli Stati Uniti, che ne recepiranno definitivamente il contenuto soltanto otto anni più tardi) e 17 astenuti. Il testo sancì che i rappresentanti del governo della Repubblica Popolare Cinese sono gli "unici rappresentanti legali" della Cina alle Nazioni Unite, ordinando l'espulsione dei rappresentanti del governo del Kuomintang, allora guidato dall'autocrate Chiang Kai-shek, dal seggio che fino a quel momento avevano "illegalmente occupato presso l'ONU e tutte le organizzazioni ad essa collegate".

La Risoluzione ONU 2758 e i tre comunicati congiunti Cina-USA costituiscono ancora oggi le fondamenta giuridiche della cosiddetta politica di 'Una sola Cina', in base a cui Taiwan è parte integrante della Repubblica Popolare Cinese ed il suo status territoriale non può in alcun caso essere alterato unilateralmente. Eppure, tentando apertamente di violare il diritto internazionale, nel 2022 il Congresso degli Stati Uniti ha discusso un nuovo disegno di legge, già approvato a larga maggioranza dalla Commissione Affari Esteri del Senato lo scorso 14 settembre per un'ulteriore revisione, per riprogrammare la politica statunitense nei confronti di Taiwan. In attesa di essere votato alla Camera dei Rappresentanti e sottoposto al Presidente, il Taiwan Policy Act of 2022, introdotto dal democratico Robert Mendenez e dal repubblicano Lindsey Graham, intende potenziare le capacità difensive di Taiwan, fornendo 6,5 miliardi di dollari in assistenza per la sicurezza nei prossimi cinque anni: 250mln nell'anno fiscale 2023, 750mln nel 2024, 1,5mld nel 2025, 2mld nel 2026, 2mld nel 2027. Dal testo si evince che questi finanziamenti devono essere finalizzati ad accelerare la modernizzazione delle capacità difensive di Taipei. Non finisce qui, perché i senatori USA chiedono anche l'istituzione di un'autorità di garanzia per ulteriori finanziamenti e prestiti per scopi militari all'estero, fino ad un massimo di 2 miliardi di dollari e lo stanziamento di 100 milioni di dollari per ogni anno dal Foreign Military Financing (FMF).

Non a caso tra i principali obiettivi del disegno di legge c'è anche quello di concedere a Taipei lo status di 'principale alleato non-NATO' (Major Non-NATO Ally - MNNA), che il governo statunitense assegna ad alcuni particolari partner stranieri privilegiati, offrendo loro "vantaggi nei settori del commercio in materia di difesa e nella cooperazione in materia di sicurezza". Si tratta, citando lo stesso governo statunitense, di "un potente simbolo della stretta relazione che gli Stati Uniti condividono con quei Paesi", una specie di 'regalo' che "dimostra il nostro profondo rispetto per l'amicizia con i Paesi a cui è esteso".

Come detto in precedenza, però, Taiwan non è un Paese, ma un territorio interno ad un altro Paese. Ormai, a quasi cinquantadue anni dal voto in Assemblea Generale, ben 182 Paesi (tra cui gli stessi Stati Uniti) aderiscono alla politica di 'Una sola Cina' e riconoscono la Repubblica Popolare Cinese come unico Stato cinese sovrano. Insomma, una contraddizione non da poco tra il disegno di legge presentato al Senato USA e il diritto internazionale.

Altri obiettivi del Taiwan Policy Act of 2022 sono: la riforma degli iter burocratici e delle procedure per rafforzare il sostegno al "governo democratico di Taiwan"; ulteriore supporto in favore della partecipazione di Taiwan ad organizzazioni internazionali ed accordi commerciali multilaterali, tra cui la Banca Inter-Americana di Sviluppo e l'Indo-Pacific Economic Framework; contrastare le presunte campagne di pressione della Repubblica Popolare Cinese; dare il via ad un Programma di Amicizia con Taiwan; e prevedere una serie di sanzioni contro figure istituzionali e banche cinesi per scoraggiare Pechino da ulteriori “aggressioni” contro Taiwan.

Com'è evidente, il disegno di legge cerca, per altro in modo rozzo e scomposto, di porre la legge interna degli Stati Uniti al di sopra non solo della Costituzione cinese, ma anche e soprattutto del diritto internazionale, ricorrendo - laddove ritenuto opportuno ed utile ai propri target strategici - alla minaccia di sanzioni e ritorsioni di carattere economico e finanziario.

Il testo riparte in sostanza dal Taiwan Relations Act, la legge che nel 1979 il Congresso volle urgentemente sottoporre all'allora Presidente Carter dopo che questi aveva recepito la Risoluzione ONU 2758, e dalle Sei Rassicurazioni (Six Assurances), un documento semi-informale che circolava sin dagli anni Ottanta nelle stanze di Washington, ma che è stato ufficialmente approvato dal Congresso circa sette anni fa, durante gli ultimi mesi della seconda Amministrazione Obama. Queste leggi interne, così come altri accordi separati tra Washington e Taipei, rappresentano un insieme di decisioni che rientrano nel quadro della cosiddetta 'ambiguità strategica', termine utilizzato dagli esperti per descrivere un atteggiamento attraverso cui gli Stati Uniti tentano di interferire negli affari interni altrui cercando di non violare platealmente il diritto internazionale.

Un equilibrismo, però, tutt'altro che semplice, soprattutto in una fase di declino e arretramento strategico in diversi teatri globali, sacrificati dal Pentagono sia per limitare gli eccessi di spesa militare che per concentrarsi sull'Ucraina. Quando lo scontro con la Russia sarà finito, sono in molti a chiedersi dove Washington vorrà dirigere la sua attenzione nel tentativo, ormai sempre più evidente, di bloccare il multipolarismo in divenire per costruire un sempre più utopico (o, meglio, distopico...) 'nuovo secolo americano'.

Più recentemente, la Commissione per i Servizi Finanziari della Camera dei Rappresentanti ha invece approvato, con un ampio sostengo bipartisan, una serie di disegni di legge per: consentire al governo di controllare le istituzioni finanziarie che svolgono servizi per funzionari cinesi; colpire i produttori cinesi di droghe sintetiche; e commissionare al Dipartimento del Tesoro un rapporto sui rischi economici globali associati al settore finanziario cinese. Nei dieci disegni di legge presentati c'è spazio anche per la questione taiwanese, con i deputati statunitensi che chiedono di sostenere la membership di Taiwan al Fondo Monetario Internazionale e addirittura di escludere la Cina dal G20 e da altre organizzazioni globali in caso di minaccia alla sicurezza di Taipei.

Delle fantomatiche aggressioni da parte di Pechino nei confronti dell'isola, infatti, non c'è traccia. In particolare, dal 1993, quando fu pubblicato il primo libro bianco sulla questione, Pechino chiede per Taiwan l'avvio di un processo di riunificazione pacifica, con la garanzia del mantenimento dello status quo economico, amministrativo e giudiziario dell'isola, sul modello 'Un Paese, due sistemi', già adottato a Hong Kong e Macao. Ben più chiaro è invece lo scopo statunitense di abbandonare la politica di 'Una sola Cina' adottata nel 1979 per "stabilire de facto un trattamento diplomatico verso Taiwan equivalente a quello in essere rispetto ad altri paesi, nazioni, stati, governi e simili entità straniere" (Sec. 104). In sostanza, una vera e propria dichiarazione di guerra.

L'autore Fabio Massimo Parenti è professore associato di studi internazionali e Ph.D. in Geopolitica e Geoeconomia

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