[In altre parole] Il gioco a somma zero nell'economia globale: un'analisi del 2023

2023-01-25 23:33:06

L’economia cinese è in forte ripresa. E questo crea opportunità per tutti, basta abbandonare le politiche basate sui giochi a somma zero. Parola de l’Economist.

di Francesco Maringiò


L’economia cinese avrà quest’anno una netta ripartenza. Secondo alcune previsioni crescerà del 5%, dopo il 3% dell’anno scorso. Stando ad un sondaggio condotto da Bank of America tra investitori top, nei prossimi mesi si registrerà una recessione mondiale più mite proprio grazie alla riapertura (e conseguente crescita economica) della Cina. Anche il segretario generale dell’Opec, Haitham Al-Ghais, si è detto «moderatamente ottimista sull’economia globale», guardando all’aperura della Cina ed al conseguente aumento della domanda di petrolio. C’è quindi moderato ottimismo per l’anno nuovo, ma bisogna tener presente che l’economia globale è fortemente differenziata.

Qui in occidente si osservano principalmente fenomeni di quantitative tightening ed aumento dei tassi: sono entrambi strumenti di politica monetaria restrittiva che porteranno ad un calo di investimenti e consumi, con l’obbiettivo di domare le fiammate inflattive che stanno surriscaldando l’economia e la società. In Cina il meccanismo di crescita e stabilità economica è basato sul concorso essenziale di quattro pilastri. Il primo è rappresentato dalle imprese di stato, che si stanno profondamente ristrutturando per rendere i “campioni nazionali” efficienti e floridi, quindi in grado di esercitare un ruolo rilevante nell’economia. Il secondo pilastro è rappresentato dalle imprese private, che sono fortemente sostenute dal governo. Esse devono concorrere a creare innovazione e ricchezza e, contemporaneamente, contribuire al benessere collettivo, sviluppando così quell’ambiente imprenditoriale unico che ha permesso loro un così rapido successo. Il terzo pilastro è costituito dallo sviluppo delle piccole e medie imprese, la cui crescita è sostenuta con misure economiche ad hoc, già varate l’anno scorso. Infine, l’ultimo pilastro della crescita economica cinese è rappresentato da un costante aumento salariale, che ha permesso non solo lo sviluppo del paese, ma ha sostenuto la nascita di un’importante classe media ed un mercato di consumo interno enorme. Il fatto che un’impresa dell’abbigliamento di largo consumo come l’OVS pratichi progetti di back shoring in Italia, chiudendo la delocalizzazione avviata 20 anni fa in Cina, dove «ormai c’è un riequilibrio delle retribuzioni con l’Italia», dà la misura del salto qualitativo e salariale dei lavoratori cinesi, sostenuto dal governo.

La direzione della crescita cinese è stata illustrata al World Economic Forum di Davos dal vice premier cinese Liu He, il quale ha fissato i cinque cardini attorno ai quali il governo cinese vuole basare la crescita economica. Questi vanno dalla centralità di uno sviluppo economico di qualità (e quindi innovativo e rispettoso dell’ambiente) in cui il mercato svolga un ruolo decisivo nell’allocazione delle risorse ed il governo imprima la direzione di marcia, fino all’apertura economica, al sostegno dello stato di diritto ed all’innovazione come guida dello sviluppo.

Anche le sfide economiche che abbiamo dinnanzi sono differenziate nel mondo. Qui in occidente le prove più dure nascono dalla crisi energetica e dal peso della guerra ucraina, nella quale i paesi occidentali hanno deciso di svolgere un ruolo primario, anche dal punto di vista del sostegno economico.  A questo si aggiunge una fiammata inflattiva ed una politica consolidata negli ultimi anni di “asset price inflation” (prezzi degli asset eccessivamente gonfiati rispetti ai valori intrinseci). Il combinato disposto dei due fattori produce grande instabilità ed aumenta le barriere ai lavoratori per investimenti, portando anche ad una maggiore polarizzazione della ricchezza.

In Cina si stanno adottando invece politiche monetarie e fiscali atte a sostenere la crescita economica e le sfide principali sono legate alla politica adottata in passato di zero-Covid e ad un rallentamento immobiliare. Entrambe queste sfide sono autoindotte ed in entrambi i casi le leve per agire direttamente sull’economia sono nelle mani dei decisori politici e non in quelle del mercato. Sempre nel corso del Forum economico di Davos, il vice-premier cinese ha prestato attenzione al tema del settore immobiliare, ribadendo come sia tutt’ora centrale nell’economia cinese: «rappresenta quasi il 40% dei prestiti bancari, il 50% delle risorse fiscali complessive del governo locale e il 60% dei beni delle famiglie urbane». Per gestire i rischi che una crisi edilizia potrebbe innescare, il governo cinese ha dottato alcune misure che hanno aiutato il settore. Tra queste, la difesa dei contratti ed i diritti di proprietà (permettendo la consegna di alloggi in cantiere) ed un meccanismo di accesso al credito e di allentamento delle restrizioni che ha permesso ai promotori immobiliari di generare entrate. A conclusione del suo intervento il vice-premier cinese ha sollevato un tema centrale: «rafforzare la cooperazione in un mondo frammentato è un vero problema che dobbiamo affrontare tutti. Dobbiamo scavare a fondo nelle cause della frammentazione, promuovere giochi a somma positiva, identificare le possibili aree convergenti di cooperazione ed esplorare i meccanismi per farlo. Dobbiamo lavorare insieme per salvaguardare fermamente la pace nel mondo».

Proprio il tema della cooperazione e promozione di giochi a somma positiva è nevralgico per la crescita globale e, nello specifico, per le scelte politiche e lo sviluppo economico dell’occidente. Dove, negli ultimi anni, è prevalsa invece la tendenza alla frammentazione ed i giochi a somma zero. Questa pratica crea problemi a lungo termine. Lo denuncia anche l’Economist, che analizza questo scenario e fa delle previsioni economiche sul trend del decoupling (separazione delle economie) e del reshoring (rientro in patria delle imprese precedentemente delocalizzate) per ragioni geopolitiche. Il settimanale inglese afferma che, se anche si completasse il processo di reindustrializzazione americana, «è più probabile che il loro effetto complessivo sia dannoso, corrodendo la sicurezza globale, frenando la crescita e aumentando il costo della transizione verde». Da studi de l’Economist replicare gli investimenti, infatti, costerebbe tra i 3,1 e i 4,6 trilioni di dollari (tra 3,2 e il 4,8% del Pil mondiale) e tutto questo «farà aumentare i prezzi, danneggiando soprattutto i poveri. La duplicazione delle catene di approvvigionamento verdi renderà più costoso per l'America e per il mondo l'abbandono delle emissioni di carbonio».

Il mantenimento di un mercato globale aperto e l’interconnessione delle economie e dei legami tra paesi, non solo garantisce un clima più prospero per politiche di cooperazione e di pace, ma aiuterebbe enormemente l’economia globale e, nello specifico, quella dell’Occidente. Un motivo in più per correggere la rotta intrapresa, prima che sia troppo tardi.


L'autore è il presidente dell’Associazione italo-cinese per la promozione della Nuova Via della Seta


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