[In altre parole] Serve davvero politicizzare il covid?

2023-01-05 21:04:51

 La politicizzazione del coronavirus è quanto di peggio ci possa essere. Sembra di essere tornati al 2020 con il virus usato come arma geopolitica. Eppure è facile dimostrare come gli stereotipi di questa campagna mediatica siano confutati dalla letteratura scientifica

 

Come era già successo all’inizio del 2020, il Covid-19 viene oggi usato come scusa per discriminare e come arma per una più ampia battaglia dai risvolti eminentemente geopolitici. Da diversi giorni, i media italiani sono letteralmente sommersi di notizie allarmanti sulla situazione cinese e da commentatori che descrivono una realtà a tratti apocalittica. Alcuni si spingono chiaramente a rispolverare il cliché basato sul binomio democrazie-autocrazie per spiegare il fallimento di queste ultime e la presunta superiorità scientifica e financo morale delle prime. Eppure non bisognerebbe mai dimenticare che un virus che ha falcidiato la vita a milioni di persone in tutto il mondo dovrebbe essere considerato un nemico comune di tutta l’umanità che, unita, deve fronteggiarlo con le armi che la scienza mette a disposizione.

Gli stereotipi utilizzati in questa nuova campagna ruotano attorno ad alcuni concetti, che si ripetono sempre tutti uguali e dove molto spesso, come vedremo, la verità dei fatti viene completamente stravolta.

Il primo stereotipo si basa sull’idea che in Cina si assista ad un’esplosione così significativa dei casi perché si tratta di un paese in cui si è vaccinato poco e male. Gli studi scientifici, tuttavia, smentiscono queste affermazioni. Il tasso di vaccinazione in Cina ha raggiunto il 92,7% della popolazione totale con una prima dose ed il 90,4% con due dosi. La percentuale scende al 57,9% per la dose booster. Ma bisogna tener presente che, prima dell’arrivo della variante Omicron e delle nuove disposizioni, il virus in Cina sostanzialmente non circolava. I cittadini cinesi si trovano oggi con tassi di contagio che qui in Europa abbiamo vissuto nel 2020, quando era in circolazione una variante del virus meno contagiosa ma più pericolosa per la salute. E quanto alla qualità del vaccino, c’è un’ampia letteratura a supporto della tesi secondo cui, tre dosi di vaccino inattivo forniscono un alto livello di protezione contro una grave forma di infezione al Covid. Uno studio scientifico pubblicato da Lancet e basato su una ricerca effettuata ad Hong Kong, fornisce indicazioni anche nella comparazione tra l’immunità fornita da un vaccino a mRNA e quello inattivo, concludendo che con la terza dose la differenza tra i due vaccini è minimi e che entrambi proteggono contro esiti gravi o fatali. L’accusa secondo cui la Cina abbia fallito la campagna vaccinale è decisamente campata per aria e serve prevalentemente per alimentare una campagna mediatica negativa.

Il secondo stereotipo si basa sull’assunto che la diffusione del virus in Cina oggi possa portare alla formazione di nuove varianti dalle quali è necessario proteggersi, per esempio predisponendo l’obbligo di tamponi antigenici ai passeggeri provenienti dalla Cina. Ma è lo stesso European Centre for Disease Prevention and Control ad affermare che “non si prevede che l’ondata di casi Covid in Cina influirà sulla situazione epidemiologica del Covid-19 nell’Ue”. Del resto già Brigitte Autran, responsabile del comitato francese di valutazione dei rischi per la salute COVARS, aveva fatto sapere che non erano necessari controlli alle frontiere francesi per l'aumento del Covid in Cina, anche perché “le varianti che circolano in Cina sono tutte varianti Omicron, che sono circolate in Francia e contro cui abbiamo acquisito l'immunità". Risulta pertanto evidente che quella ventilata da alcuni paesi è una mossa discriminatoria che non ha alcun senso da un punto di vista scientifico o epidemiologico. A meno che non si decida di imporre un controllo antigenico a tutti i passeggeri in arrivo, indipendentemente dalla propria nazionalità, con l’obbiettivo di sequenziare il virus, il che avrebbe invece molto più senso.

Ma proprio di recente, a conferma del preconcetto diffuso a larghe mani sui media occidentali, le autorità sanitarie cinesi hanno fornito al principale database – quello usato dai gruppi di ricerca per tracciare il Covid - 25 campioni raccolti in tutto il paese. Questi dati hanno messo in evidenza che le varianti in circolazione sono due sotto-varianti di Omicron già note. Nessuna nuova variante all’orizzonte, quindi.

Proprio in tema di possibile diffusione del virus nel mondo e possibilità di formazione di nuove varianti, andrebbe ricordato che la Cina sin dal primo momento si è impegnata a produrre un vaccino e distribuirlo nel mondo. Lo ha affermato il presidente cinese Xi nel corso dell’Assemblea dell’OMS a maggio 2020, dichiarando che il vaccino pubblico cinese sarebbe diventato un “bene pubblico mondiale”. E così è accaduto se pensiamo al fatto che la Cina ha prodotto la metà delle scorte mondiali di vaccini contro il Covid ed a maggio 2022 aveva fornito 2,2 miliardi di dosi a 153 Paesi ed organizzazioni internazionali.

 

Inoltre, il terzo stereotipo è basato sull’idea che il virus in Cina, per colpa di errori di valutazione politica ed inefficacia del vaccino, è in grado di avere una letalità maggiore di quella avuta in occidente. Anche in questo caso sono le evidenze scientifiche a far svanire ogni congettura. Il tasso di infezione del virus, come pure il tasso di mortalità, in Cina è lo stesso che in occidente. Inoltre, un recente studio basato sui dati finora raccolti e formulando modelli matematici, prevede che solo nello scenario peggiore la Cina raggiungerà un livello di morti da Covid in linea con altri paesi occidentali. Prendendo dovuti accorgimenti tale numero si potrà ridurre notevolmente. In maniera induttiva possiamo pertanto capire come la politica zero Covid, adottata fino alla diffusione della variante Omicron, ha protetto efficacemente la popolazione cinese che soltanto ora, a tre anni dalla propagazione del virus, si confronta con un livello di diffusione così elevato. Ma oggi il virus è meno pericoloso che in passato e le restrizioni, oltre a proteggere la vita umana hanno difeso l’economia cinese che sostanzialmente non si è mai fermata e che oggi, con le aperture e le misure fiscali in favore della crescita che stanno per essere adottate, può guardare al futuro con ottimismo.

Il punto quindi è tutto politico. Considerare il mondo una comunità di esseri umani i cui interessi e bisogni devono essere garantiti dal concorso internazionale di tutte le nazioni e da una accurata governance globale, oppure alimentare divisioni e conflitti. E politicizzare addirittura la più grande emergenza sanitaria degli ultimi anni per ragioni geopolitiche. Magari anche con campagne mediatiche basate su preconcetti e stereotipi. Proprio l’apertura della Cina, e presto il ritorno di miglia di stranieri che viaggeranno lungo il paese favorendo affari ed incrementando la reciproca conoscenza e fiducia, ha bisogno di un clima diverso: più genuino e senza distorsioni di natura geopolitica. Ne trarremmo enormi vantaggi tutti quanti.


L'autore Francesco Maringiò, presidente dell’Associazione italo-cinese per la promozione della Nuova Via della Seta

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