Sanità, Ucraina, Crisi energetica, Clima, Sport e Solidarietà sono le parole che hanno scandito gli eventi del 2022. Tensioni, conflitti e crisi regionali e globali hanno messo in luce le turbolenze del sistema politico-economico internazionale e le debolezze del mondo. In questa serie analizziamo una ad una le parole chiave del 2022 per disvelare i problemi ancora aperti e le criticità da risolvere, ma anche per suggerire possibili soluzioni secondo i principi guida della cooperazione e della coesistenza tra i popoli.
Le sanzioni decise da Bruxelles in risposta all'intervento militare russo in Ucraina hanno prodotto una crisi energetica senza precedenti dal secondo dopoguerra, che sta mettendo in ginocchio l'industria europea. Con la riduzione delle importazioni di gas naturale dalla Russia e la ricerca affannosa di GNL in giro per il mondo per cercare di sostituirlo, i costi dell'energia sono schizzati alle stelle e gli stabilimenti produttivi più energivori hanno ricevuto bollette altissime: cinque, sei, sette o anche otto volte più alte della fatturazione ricevuta nello stesso periodo di riferimento dell'anno precedente. I rincari hanno riguardato anche le attività commerciali, in particolare supermercati, bar, ristoranti e rivendite di carne o altri prodotti freschi, costretti ad utilizzare sistemi di refrigerazione. La ricaduta sul consumatore finale è evidente dalla forte inflazione nell'UE che, seppure in leggero calo a novembre (10%) rispetto ad ottobre (10,6%), resta comunque a doppia cifra.
Nell'ambito di questo forzato processo di diversificazione, altra fonte di immediato reperimento per l'Europa è stato il carbone, il combustibile più inquinante in assoluto, con gravi conseguenze sul processo di transizione energetica avviato alla fine del 2019 dalla Commissione Von der Leyen. Lo scorso 28 novembre, la Francia, malgrado la sua forte capacità nucleare, ha riattivato la centrale di Saint-Avold, nel Nord-est del Paese, chiusa a marzo, che affiancherà quella di Cordemais, nell'Ovest, già operativa. Destino ancor più pesante per la Germania, colpita dall'esplosione dei due gasdotti Nord Stream 1 e 2, dove a decidere la riattivazione delle centrali a carbone è stato - ironia della sorte - il ministro dell'Economia Robert Habeck, esponente del partito ambientalista Alleanza 90/I Verdi, premiato alle ultime elezioni politiche con uno storico 14,8%. Tra le centrali riattivate c'è Heyden 4, a Petershagen, in Renania Settentrionale-Vestfalia, che resterà operativa almeno fino ad aprile 2023.
Situazione altrettanto paradossale in Italia, terzo produttore UE di rinnovabili che, tra idroelettrico, solare, bioenergie, eolico e geotermico, garantiscono complessivamente oltre un terzo dell'energia elettrica prodotta. Nel primo semestre di quest'anno, la capacità installata fonti rinnovabili era aumentata del 168% rispetto ai primi sei mesi del 2021. Malgrado l'impegno, la ricerca e gli investimenti delle aziende di settore, il Piano Nazionale di Contenimento dei Consumi di Gas Naturale adottato ad agosto dal Ministero della Transizione Ecologica (MiTE), oggi Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE), prevede al paragrafo 3.1 la massimizzazione della produzione di energia elettrica con combustibili diversi dal gas, sottolineando: "In particolare, è stato stimato che la massimizzazione della produzione a carbone e olio delle centrali esistenti regolarmente in servizio contribuirebbe per il periodo 1° agosto 2022 - 31 marzo 2023 a una riduzione di circa 1,8 miliardi di Smc". Tra le centrali che stanno tornando a pieno regime ce ne sono sette in particolare: sei a carbone (Fusina - Venezia, Brindisi, Torrevaldaglia - Civitavecchia, Portovesme - Sud Sardegna, Fiume Santo - Sassari e Monfalcone - Gorizia) e una ad olio (San Filippo del Mela - Messina). Tutte in aree portuali/industriali ad elevato livello di inquinamento.
L'autore Fabio Massimo Parenti è professore associato di studi internazionali e Ph.D. in Geopolitica e Geoeconomia.