[In altre parole] Gli Stati Uniti stanno danneggiando l'economia mondiale?

2022-11-29 14:48:50

Il quadro di agevolazioni fiscali per le aziende statunitensi previsto dall'ultimo Inflaction Reduction Act (IRA), convertito in legge dal presidente Biden lo scorso 16 agosto, rischia di mettere le imprese europee in una posizione di svantaggio competitivo sul mercato. È questo il giudizio emerso lo scorso 22 novembre, durante una conferenza stampa congiunta, dalle parole dei ministri dell'Economia francese, Bruno Le Maire, e tedesco, Robert Habeck.

"Se guardiamo all'IRA, lo status quo è inconcepibile, una guerra commerciale sarebbe irresponsabile", ha osservato Le Maire, annunciando l'ipotesi che l'Europa possa creare un "Buy European Act" in risposta alla mossa statunitense, confermata anche da Habeck: " Se i negoziati con l'Amministrazione Biden si rivelassero infruttuosi, si dovrebbero studiare delle misure per rafforzare l'industria europea".

Quelle tra le due sponde dell'Atlantico non sono certo tensioni nuove. Il protezionismo messo in campo negli ultimi quindici anni da Washington, già sotto l'Amministrazione Obama, si è semplicemente rafforzato con l'ascesa al potere di Trump, per poi essere confermato o addirittura inasprito da Biden, come nel caso delle misure introdotte nel 2021, che hanno vietato a qualsiasi operatore statunitense di investire in aziende cinesi ritenute collegate al PCC o all'Esercito, e nel 2022, ampliando le restrizioni alle spedizioni statunitensi di semiconduttori utilizzati per l'intelligenza artificiale e strumenti per la produzione di chip.

Dopo quest'ultima decisione, anche la Cina aveva reagito affermando, attraverso la portavoce del Ministero degli Esteri Mao Ning, che le misure entrate in vigore ad ottobre sono "inique", "danneggeranno anche gli interessi delle aziende statunitensi" ed "infliggeranno un colpo alle catene globali industriali e logistiche, oltre che alla ripresa economica mondiale". Più in generale, la strategia di Washington sembra ormai sempre più caratterizzata da uno spiccato unilateralismo di fatto, anche quando il suo atteggiamento dovesse apparentemente vestire i panni del multilateralismo, semplicemente per favorire il raggiungimento di un consenso condiviso con gli alleati attorno ad istanze e proposte provenienti dalla stessa Casa Bianca.

La guerra in Ucraina ne è la dimostrazione plastica: l'Unione Europea, sotto la forte pressione statunitense, ha rinunciato al suo tradizionale ruolo di mediazione nelle relazioni tra l'Occidente e Mosca, adottando ben otto pacchetti di sanzioni contro la Russia ed inviando armamenti, anche letali, per miliardi di euro. Il Parlamento Europeo, purtroppo trasformatosi in una macchina ideologica senza precedenti nella storia della Comunità Europea, spinge addirittura sull'acceleratore tanto da proporre atti e risoluzioni che gettano soltanto benzina sul fuoco, come la recente votazione per dichiarare la Russia "Stato sponsor del terrorismo".

La frattura tra le esigenze economiche e sociali del Vecchio Continente e l'approccio ideologico di gran parte della classe politica europea è sempre più evidente. Nel mezzo restano i leader dei singoli Paesi membri, che devono comunque preservare un consenso elettorale e rispondere delle loro decisioni di fronte ad imprese e famiglie sempre più in difficoltà a causa del caro energia, pesantemente aggravato dalle conseguenze della guerra, in primis l'improvvisa e dissennata riduzione delle forniture di gas dalla Russia.

Lo sconvolgimento delle catene di approvvigionamento energetico ha costretto alcuni Paesi, come Italia e Germania, a pianificare l'installazione di nuovi rigassificatori per GNL o addirittura riattivare centrali a carbone, dismesse del tutto o parzialmente, in zone geografiche già altamente inquinate, come ad esempio Portovesme, nel sud della Sardegna, aumentando i costi di importazione della materia prima e compromettendo i risultati raggiunti fin'ora da Roma e Berlino in termini di riduzione delle emissioni di CO2.

Le manovre degli Stati Uniti in Ucraina stanno così ridisegnando buona parte della geografia politica dell'Europa, relegando nazioni fondatrici della CEE/UE, come Italia, Germania e Francia, ad un ruolo di gregari e rafforzando al contempo lo status della Polonia e dei Paesi baltici. Nella sua cecità strategica, Biden non riesce ancora a comprendere che, proseguendo su questa strada, dalla guerra uscirà forse una Russia più debole (ed è ancora tutto da dimostrare...) ma sicuramente un'Europa a pezzi, vittima di una stagflazione di lunga durata, con gravi ripercussioni per le stesse aziende statunitensi.

L'autore Fabio Massimo Parenti è professore associato di studi internazionali e Ph.D. in Geopolitica e Geoeconomia

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