【In altre parole】Il vertice SCO nel mondo che cambia

2022-09-17 11:45:44

Non poteva esserci posto più iconico di Samarcanda, per tenere il vertice SCO. L’antica capitale di Tamerlano sulla Via della Seta ha fatto da cornice ad un vertice che, nel quadro politico attuale, ha una forte valenza strategica.  Anche per il suo metodo inclusivo, che disegna un’infrastruttura politica capace di risolvere i problemi dei paesi coinvolti e mettere in sicurezza il quadrante eurasiatico dagli sconvolgimenti del mondo contemporaneo.

 

Si è chiuso ieri il XXII summit dei capi di stato e di governo della Shanghai Cooperation Organization (Sco) tenutosi a Samarcanda, in Uzbekistan, alla presenza di tutti i leader della Sco e quelli dei paesi osservatori, più: Dovrebbe essere  Arabia Saudita, Egitto, Quatar e Turchia Bahrain e Maldive.

In un quadro globale caratterizzato da profonde turbolenze geopolitiche ed instabilità, a causa di emergenze e crisi che mettono in pericolo la sicurezza e l’ambiente e pongono una seria ipoteca al benessere energetico, alimentare e climatico del mondo intero, il vertice ha avuto una valenza tutta peculiare, che è interessante indagare.

Facciamolo, volgendo lo sguardo alla genesi di questa importante alleanza regionale che oggi vanta un peso politico ed economico di rilievo: alla SCO aderiscono paesi che, assieme, rappresentano quasi metà della popolazione mondiale ed un quarto del Pil globale. Percentuale che sale dal 25 al 40% se si calcola il Pil a parità di potere d’acquisto. Questa organizzazione è l’erede dello Shanghai Five, siglato da Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Russia e Tajikistan nel 1996 ed evoluto nel tempo fino alla firma della Dichiarazione (nel 2001) e della Carta della SCO (nel 2002). Una crescita avvenuta sempre all’insegna di un metodo inclusivo e capace di garantire la pace nella regione, scegliendo una concordata riduzione delle forze militari nelle aree di confine ed un meccanismo di consultazione permanente. Nel tempo, le attività si sono concentrate in politiche in grado di garantire la sicurezza contro “i tre mali” (estremismo, terrorismo e separatismo) e poi, soprattutto, a sviluppare cooperazione economica e culturale.

Pertanto, in una fase segnata fortemente dalle ripercussioni del conflitto ucraino e dalle continue pressioni all’ordine internazionale, questo vertice acquisisce una valenza strategica.

Ed è certamente carica di fo valenza politica la scelta cinese di presenziare al massimo livello a questo vertice. È il primo viaggio all’estero di Xi Jinping dallo scoppio della pandemia da Covid-19, ed è un viaggio di stato che precede l’imminente XX Congresso Nazionale  del PCC. La partecipazione del leader cinese al vertice Sco ed agli incontri bilaterali con i suoi omologhi dell’Asia Centrale, aggiunge valore ad una diplomazia alla quale Pechino lavora da tempo per contribuire positivamente alla soluzione dei problemi che affliggono il mondo. Un anno fa, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, la Cina ha proposto una Iniziativa di Sviluppo Globale che mira a sostenere i Paesi in via di sviluppo nella riduzione della povertà, nella sanità pubblica e in altri ambiti, mostrando così l’impegno cinese nelle azioni per lo sviluppo globale. Ad aprile scorso, invece, durante il Forum asiatico di Boao, il presidente cinese ha avanzato una proposta per una Iniziativa per la sicurezza globale, mettendo in campo un’architettura della sicurezza capace di salvaguardare l’ordine internazionale e superare una logica da guerra fredda e contrapposizione tra blocchi. È con questo background che la Cina si propone di sviluppare una politica di cooperazione che superi la logica dei club esclusivi ed elitari nella diplomazia internazionale. La dimostrazione è proprio nel vertice Sco che si è tenuto nell’iconica Samarcanda, l’antica capitale di Tamerlano sulla Via della Seta, dove si è riunito un pezzo importante di quel mondo escluso dal G7 e dalle regole del sistema geopolitico occidentale. E da quel vertice non è giunta una sfida all’ordine globale, quanto un contributo alla soluzione di alcuni suoi problemi, rafforzando un meccanismo di cooperazione e consultazione permanente tra diversi.

Qui risiede un punto chiave della forza di coinvolgimento di questa proposta politica. In occidente siamo spesso abituali ad osservare la nascita di organizzazioni internazionali che pretendono un certo grado di omogeneità, quando non di omologazione, tra diversi paesi. Spesso, tali organizzazioni sono caratterizzati da una forte egemonia di un paese leader, che come un potente magnete riorienta il campo attorno a sé. O, ancora, siamo abituati ad una politica caratterizzata dal conflitto con sistemi e modelli diversi dal proprio.

L’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, ha seguito invece un’altra strada, coinvolgendo paesi che hanno sistemi (se non valori) diversi e che, in alcuni casi, hanno anche avuto in passato dispute territoriali o di confine. Ma tali divergenze non hanno impedito lo sviluppo di relazioni che ha dato vita ad una infrastruttura politica ed interstatuale che, in prospettiva ed attraverso la consultazione ed il dialogo, potrà sanare tali problemi. E così emerge un modo di lavorare che, di per sé, si configura come uno smacco a quei settori oltranzisti che nell’élite occidentali vorrebbero invece trascinare il mondo in un confronto continuo tra sistemi e modelli diversi, esacerbando le differenze in un conflitto permanente tra “West and the rest”. Da Samarcanda, invece, giunge un messaggio diverso, dimostrando come lo sviluppo di interconnessioni (politiche, culturali, infrastrutturali, commerciali e tecnologiche) e non il decoupling o il clima da guerra fredda, aiutino a preservare la pace e la stabilità nel mondo.

 Ecco perché quel vertice interroga tutti. Soprattutto noi europei, la cui continuità territoriale con l’Asia ci permette di immaginare una politica strategica per l’intero continente eurasiatico. Ci riuscirono i nostri antenati, secoli fa, sviluppando le rotte carovaniere della Via della Seta. Non dovremmo mai dimenticare la lezione della storia: quando quelle rotte andarono in disuso, arrivarono anni di violenti guerre e sofferenze.

(L'autore è Francesco Maringiò, il presidente dell'Associazione della Nuova Via della Seta Italia-Cina)

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