[In altre parole] Le strategie Usa affamano l’Europa

2022-08-22 14:29:18

Come mostrato negli ultimi mesi dalla crisi seguita alla guerra in Ucraina, ad aggravare i rischi legati alla sicurezza alimentare c'è anche la geopolitica. L'intransigenza strategica dell'Amministrazione Biden, più volte rifiutatasi di partecipare al confronto per la ridefinizione della sicurezza in Europa richiesto dai russi tra la fine del 2021 e l'inizio del 2022, ha gettato alle ortiche circa otto anni di negoziati tra Mosca, Kiev e le principali cancellerie europee per raggiungere un soddisfacente compromesso nel quadro degli Accordi di Minsk II.

I sette pacchetti di sanzioni fin qui approvati da Bruxelles e le contromisure adottate da Mosca, oltre a compromettere le forniture energetiche di molti Paesi UE, a partire da Germania e Italia, hanno bloccato anche l'import di fertilizzanti essenziali per l'agricoltura. La Russia è infatti un vero e proprio gigante in questo settore in virtù delle enormi riserve minerarie presenti nel suo vastissimo territorio. Nel 2021, la Federazione russa si è infatti confermata primo esportatore mondiale di fertilizzanti azotati, seconda (dietro la Cina) di fertilizzanti fosforici e seconda (dietro il Canada) di fertilizzanti potassici, tipologia - quest'ultima - che vede al terzo posto la Bielorussia, anch'essa colpita dalle sanzioni UE poiché ritenuta cobelligerante.

Se a questo si aggiunge il blocco all'esportazione deciso a marzo dal governo ucraino, il conto è presto fatto. Secondo Coldiretti, già al 14 marzo scorso, l'Italia registrava un deficit di 378 milioni di kg di fertilizzanti in vista delle semine dei mesi successivi. Prima della guerra, infatti, il Belpaese ne importava 171 milioni di kg dalla Russia, 136 milioni di kg dall'Ucraina e 71 milioni di kg dalla Bielorussia, per un totale pari ad oltre il 15% dell'import complessivo di settore.

Tra aprile e luglio, così, il rincaro improvviso dei materiali sul mercato interno UE e l'aumento dei costi di trasporto per effetto del caro gasolio hanno messo pesantemente in crisi il comparto agroalimentare italiano, addirittura costringendo molti agricoltori alla distruzione dei raccolti per evitare il fallimento. Questo è ciò che succede all’Europa seguendo acriticamente i diktat di Washington.

Capitolo a parte merita la questione delle forniture cerealicole. Per mesi le ormai famigerate navi cariche del prezioso carico - principalmente grano ma non solo - erano rimaste ferme nei principali porti ucraini, in particolare quello di Odessa. La lunga e complessa mediazione della Turchia ha permesso, sebbene a fatica, di giungere ad un accordo tra Mosca e Kiev, siglato lo scorso 30 luglio, per dare il via libera a 36 cargo bloccati: 21 in uscita dall'Ucraina e 15 in ingresso. Dallo scorso primo agosto sono state fin qui esportate 500.000 tonnellate di grano.

In Italia, per ora, sono arrivate tre navi: la prima ad attraccare nelle acque della Penisola è stata la Rojen, lo scorso 12 agosto, con 15.000 tonnellate di semi di mais, stoccati al Porto di Ravenna. Tuttavia si stima che in Ucraina siano ancora immagazzinati oltre 20 milioni di tonnellate di cereali [rsi.ch, Ibidem]. Si tratta in buona parte di carichi fermi dalla fine di febbraio o comunque dalla primavera, in attesa di raggiungere le rispettive destinazioni in tutto il mondo.

 

Se i Paesi avanzati hanno fin'ora potuto sopperire in qualche modo, grazie a scorte e produzioni interne, per non poche realtà del Medio Oriente e dell'Africa il blocco ha significato mettere in ulteriore crisi situazioni già enormemente precarie, a causa di estreme condizioni di siccità, arretratezza infrastrutturale e malnutrizione. Il successo diplomatico della Turchia, cioè dell'attore NATO meno allineato alle direttive di Washington e Bruxelles, ha mostrato che in un mondo sempre più orientato al multipolarismo e sempre più interconnesso da complesse e delicate catene di produzione e fornitura, l'unilateralismo non è più praticabile.

Gli Stati Uniti devono abbandonare per sempre la loro abituale sovrapposizione tra politica interna e politica estera, messa in campo dopo la fine della Guerra Fredda. Non soltanto perché le economie emergenti saranno logicamente portate a percepirla come una nuova forma, pur sofisticata ed edulcorata, di imperialismo, ma anche perché questo atteggiamento di aperta sfida e provocazione nei confronti di Cina e Russia, portato alle sue conseguenze più estreme, condurrebbe l'umanità verso un nuovo, devastante conflitto e quasi certi scenari di iper-inflazione e carestia su scala globale.

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