Dopo settimane di trattative e tensioni, lo scorso 26 luglio, i ministri dell'Energia dell'UE, riunitisi appositamente a Bruxelles, hanno trovato un accordo sulla riduzione coordinata dei consumi di gas durante il prossimo inverno. L'obiettivo principale è quello di ridurre i consumi nei Paesi UE per sostenere la Germania, la più esposta in questa fase di crisi con Mosca, specie da quando gli Stati Uniti hanno posto il loro veto sull'utilizzo del gasdotto Nord Stream-2, ormai completato, varando sanzioni contro la società responsabile del gasdotto. Ricordiamo che l’interferenza statunitense sui programmi di cooperazione energetica Russia-UE è stata costante, ben prima dell’intervento di Mosca in Ucraina. Oggi l’UE paga il suo allineamento a Washington in modo poco razionale e contro i propri interessi.
Dopo giorni di mediazione si è deciso di conferire decisionalità su eventuali obiettivi vincolanti al Consiglio UE e non alla Commissione qualora l'adesione volontaria non fosse sufficiente, e di adattare l'obiettivo di riduzione del 15% alla situazione particolare di ciascun Paese tramite una serie di deroghe.
Con lo scoppio della guerra su vasta scala in Ucraina, lo scontro politico ed economico tra Unione Europea e Russia ha toccato picchi inediti dopo la fine della Guerra Fredda. I sei pacchetti di sanzioni sin qui varati da Bruxelles hanno colpito numerosi settori, compreso quello energetico. Per ora, i divieti di importazione dal Paese dei cremlini riguarda petrolio e carbone. Nel primo caso, la misura coinvolge il 70-85% dell'import, cioè la quota di petrolio russo che arriva in UE tramite i porti, effettivamente già ridottasi del 20% nelle prime tre settimane di aprile rispetto al dato del bimestre gennaio-febbraio. Per quanto concerne il carbone, invece, il divieto di importazione previsto sarà totale, ma entrerà in vigore ad agosto, anche se non è stato ancora annunciato ufficialmente il giorno di stop.
Resta aperta la partita del gas naturale, dove l'Europa è di fatto spaccata tra chi brama per uno stop totale delle importazioni e chi teme ripercussioni catastrofiche per la propria economia, come Germania e Italia, particolarmente dipendenti dall'oro blu russo. Pur annunciando minacciosamente più volte di prepararsi al drastico scenario dello stop totale delle importazioni di gas da Mosca, la Commissione UE è consapevole di giocarsi una partita dalle conseguenze socio-economiche imprevedibili su molti Paesi membri.
In Europa, dubbi e timori restano fortissimi. Animata da un'indole bellicista mai vista prima in questi termini, la Commissione UE tira dritto verso lo scontro con Mosca, ma diversi singoli governi europei, al di là delle dichiarazioni di facciata, sembrano molto più cauti, a partire - logicamente - da quelli costretti a difficilissimi equilibrismi tra esigenze energetiche interne e richiami alla responsabilità nel quadro portato avanti dagli interessi geostrategici statunitensi sotto l’ombrello della NATO.
Tra i Paesi baltici, tendenzialmente ostili a Mosca, la Lettonia ha approvato una nuova legge per interrompere le forniture da gennaio 2023 ma, stando al dato dello scorso marzo, dipende dalla Russia per il 90% del suo fabbisogno di gas. Già lo scorso maggio, il governo della Lituania, invece, ha dichiarato di aver completato il piano di totale interruzione dell'import energetico (elettrico, petrolio e gas) dalla Russia. Da alcuni anni Vilinius sembra diventata un laboratorio politico atlantista nel cuore del Mar Baltico: la piccola nazione è infatti prima andata allo scontro con Pechino, per poi schierarsi in prima linea con l'Ucraina promuovendo la linea europea più dura e intransigente verso Mosca. La Polonia, altro grande rivale russo nel cuore dell'Europa centrale, ha elaborato per un ventennio una strategia di emancipazione energetica dalla Russia, da cui fino allo scorso marzo dipendeva per circa la metà del proprio fabbisogno di gas. L'interruzione decisa da Mosca ad aprile, dopo il rifiuto di Varsavia di pagare le forniture in rubli, ha dato il via ad un piano già stilato da tempo.
La Polonia e le nazioni baltiche, però, non possono dettare la linea all'intera Unione, così come non dovrebbero dettarla gli Usa. Nonostante i toni forti e l'invio di armi all'esercito ucraino deciso dai parlamenti, in Germania, Italia e Francia molti sondaggi d'opinione mostrano una forte contrarietà popolare allo scontro con Mosca. E’ sempre più radicata l’idea, nelle opinioni pubbliche dei grandi paesi europei, che gli interessi UE siano nei fatti divergenti da quelli statunitensi. Tuttavia, la tesi ricorrente tra i falchi atlantisti, soprattutto nei Baltici - sovradimensionati da una copertura radiotelevisiva sproporzionata - richiama l'esperienza di sudditanza verso Mosca vissuta dall'Est Europa durante la Guerra Fredda. E’ evidente che senza la forte spinta dell'Amministrazione Biden e il supporto logistico ed energetico degli Stati Uniti, nemmeno questi Paesi avrebbero avuto l'ardire di sfidare Mosca.
Un dato è certo: da quando è iniziata la guerra russo-ucraina, le compagnie esportatrici di GNL statunitensi stanno facendo affari d'oro. La domanda è andata alle stelle in Europa e in Giappone, dopo l'approvazione delle sanzioni contro la Russia. Secondo uno studio di GlobalData, riportato EnergiaOltre, gli Stati Uniti arriveranno a rappresentare il 57% di tutta la nuova capacità di liquefazione del gas che dovrebbe essere operativa a livello globale tra il 2022 e il 2026, per un dato che si aggirerebbe attorno ai 220,3 milioni di tonnellate all'anno.
Com'è noto, il GNL ha costi superiori rispetto al gas naturale, principalmente a causa del trasporto e della rigassificazione. Nel dettaglio, lo scorso dicembre, il GNL statunitense costava il 50% in più del gas naturale russo, ma la speculazione, dovuta anche all'intermediazione da parte di colossi privati, ha portato i rialzi anche a picchi del 500%. C’è da sottolineare, inoltre, che con questa scelta (comunque non risolutiva per i sistemi produttivi più dinamici ed energivori d’Europa) sta ribaltando letteralmente i principi del Green Deal europeo. Non solo il GNL americano costa di più, ma è anche più impattante al livello ecologico (estrazione, trasporto e conversione). Possiamo tranquillamente asserire che le preoccupazioni e le critiche delle opinioni pubbliche europee sia ben fondate e che continuare su questa strada l’UE non farà altro che annichilire le ambizioni di svolta green dei propri sistemi economico-produttivi.
Tutto questo si sta già traducendo in consumi dai costi maggiorati per famiglie e imprese in Europa, costrette a fare i conti con rincari spropositati. Tra le associazioni di categoria dei Paesi fondatori dell’UE prevale l'idea che, specie dopo due anni e mezzo di pandemia con annesso aumento dell'inflazione alla ripresa, il mercato e l'export non possano essere ulteriormente danneggiati da una guerra tra due Paesi estranei sia all'UE che alla NATO. Se nelle prime dieci settimane di conflitto non è mancata la solidarietà all'Ucraina, espressa attraverso cortei, manifestazioni e iniziative umanitarie, oggi Italia, Germania, Francia, Paesi Bassi e Belgio devono fare i conti con le prime proteste, come quelle di autotrasportatori e agricoltori, quasi a preannunciare un autunno ed un inverno molto critici, potenzialmente forieri di disordini ben più gravi, anche considerando l'ipotesi del razionamento energetico validata da Bruxelles.
L'autore è Fabio Massimo Parenti, Professore di Economia Politica Internazionale