Cooperazione fra il Politecnico di Torino e l'Università Qinghua per la sostenibilità soft dell'architettura urbana
  2013-07-25 10:44:03  cri

Ora passiamo a un altro tema. Come tutti sanno, l'Italia ha un patrimonio architettonico eccezionale. C'è conflitto fra protezione e sostenibilità? Ecco cosa pensa Michele Bonino, del Politecnico di Torino: "Conosco bene il problema, per cui fra gli otto progetti della rivista dedicata a Torino, ne abbiamo scelti sette sulla preservazione del patrimonio industriale per capire la possibilità di conflitti. La città di Torino ha molti siti industriali, che ispirano molto in Europa per la quantità della ristrutturazione operata. Per cui abbiamo cercato di fare una scelta di edifici con questa idea. Questi edifici esistenti, sono molto utili per presentare la flessibilità, la capacità di raccogliere molta gente, dove il sociale è più importante della tecnologia. Quindi la sostenibilità soft va bene con le cose storiche, e questo è uno dei messaggi più importanti della pubblicazione, non solo per Torino, ma anche per altre città".

L'Italia è sempre stata la culla di straordinari architetti che hanno creato dei capolavori. Qual è la situazione attuale degli architetti in Italia? Ecco il commento di Alain Croset: "C'è una grossa crisi in Italia degli architetti, ossia ci sono molti progetti ma poche realizzazioni. Esiste una grande tradizione in Italia di grandi architetti, negli anni '60 il meglio del mondo era a Milano e non a Chicago, pensiamo a Luigi Nervi, oggi invece ci sono architetti attenti, ma poco lavoro. Quindi è molto utile lo scambio con la Cina. Sono nato in Svizzera, ma poi ho deciso per l'Italia, che intellettualmente è molto stimolante, l'alta tecnologia della Ferrari, la ricchezza dell'Italia è la sua cultura, ma i politici non lo capiscono e spesso distruggono il patrimonio".

Ora passiamo a un tema molto sentito dagli italiani, il riconoscere gli spazi dell'infanzia, del passato. Cosa pensano i cinesi in merito? Sentiamo il parere del direttore di "World Architecture", Brian Zhang Li:

"E' legato al concetto di modernità. Negli ultimi trent'anni il concetto di modernità è stato adottato in Cina senza distinguere, e l'idea di progresso è vista come separazione dal passato, un errore che colpisce la società cinese attuale nei vari processi. Esiste una continua separazione fra l'uomo e un ambiente particolare, non voglio essere nostalgico, ma ho nostalgia del posto dove sono nato nel centro di Beijing, con gli alberi più alti delle case, ma ora è difficile trovare un posto così. Mio figlio non ha nessuna associazione personale, memoria o amore per un posto specifico. E' un enorme problema questa cieca fiducia nella modernità".

Zhang Li ha ragione! Pare che la Cina si voglia disfare della sua tradizione! Ho appena letto su un giornale cinese che nelle università scientifiche più importanti, come Qinghua, Tongji e Wuhan, non ci sono più facoltà di costruzione di strutture in legno, che sono alla base dell'architettura tradizionale cinese. Il sistema era già maturo in epoca Song, mille anni fa, però adesso in Cina non si fa più attenzione alle strutture a incastro, ai tenoni e alle mortase delle spettacolari mensole che adornano i palazzi e i templi di tutta la Cina!

Ora ascoltiamo un altro parere autorevole, quello dell'architetto Wang Hui, dello studio Urbanus, che mette a nudo diversi problemi: "E' strano, sono nato a Beijing, ma l'unico posto che riconosco è l'area dove ci troviamo adesso, che non è molto cambiata. E' affascinante che anni fa ero negli Usa a visitare i miei studenti, e ho realizzato che solo laggiù nulla cambiava. Adesso in Cina è impossibile ritornare alle radici, è una realtà da riconoscere, tutti in Cina adesso sono dei migranti, quindi non si può tornare indietro. In secondo luogo, però, con questo passo di cambiamento, non è detto che la Cina debba perdere tutta la propria tradizione, perché col cambiamento siamo costretti a ripensare ai nostri standard e a studiare la nostra cultura. Io sono cresciuto in questo ambiente cinese, ma nel sistema educativo di prima non ho mai studiato molto la nostra filosofia, e anche se sono laureato a Qinghua, ho scarse nozioni sul tema, ma molte sulla mia specializzazione. Però alla TV e alle conferenze si impara molto, per dire che c'è una domanda interiore di apprendere la propria cultura".

Ecco una domanda curiosa, ma che ha delle forti implicazioni: nella nostra epoca si può parlare di architetti-eroi, che lasciano un segno unico? L'architetto Zhuang Weimin, rettore dell'Istituto di Architettura dell'Università Qinghua di Beijing, non è d'accordo: "Cosa significano l'alto livello e la qualità della vita, che è legata all'ambiente umano? Chi disegna un ambiente di alta qualità, è un eroe? Non penso. Cosa vogliono dire alto livello e alta qualità? Sono molto preoccupato per questo. Gente diversa si focalizza su livelli diversi, da un lato l'eredità culturale e dall'altro far soldi e avere high-tech, ma questo cosa vale per la gente comune? Molti disegnano edifici ottimi per la qualità della vita, ma io preferisco la qualità dello spirito".

Ora sentiamo il parere di Michele Bonino, del Politecnico di Torino: "Non ci sono eroi nell'architettura. E' importante il processo di creazione di nuovi modelli di sostenibilità, per questo è stato detto prima che Torino ha perso delle opportunità, forse perché certi architetti hanno voluto lavorare da soli, come maestri, eroi, e non con gli altri, non per sentire le esigenze locali, ma per loro ambizione".

Zhang Li, direttore della rivista "World Architecture", ha osservato con umorismo: "E' un crimine non avere degli eroi nella vita! Io credo che trovare un architetto sosia dell'eroe mondiale sia una forma di paragone della professione. Il concetto di eroe è di qualcuno che dice al mondo: mi allontano dalla massa. Io credo che dimostri l'ego della professione, il tentativo di diventare un eroe individuale, ma la nostra è un'epoca anti eroi. Credo che l'architetto possa essere visionario e grande come essere umano, ma non un eroe".

Il 27 giugno, alla presentazione del numereo dedicato alle strategie sostenibili di Torino del mensile "World Architecture", pubblicato dall'Istituto di Architettura dell'Università Qinhua, è anche stato toccato il tema della sostenibilità nella tutela del patrimonio culturale: in Italia gli edifici sono in pietra, ma in Cina hanno una notevole componente in legno, quindi come fare per la preservazione?

In realtà nei vicoli di Beijing le case non sono del tutto in legno, eppure sono state distrutte lo stesso, come pure le vecchie mura di cinta della città, quindi è un problema di atteggiamento. Le tecniche di conservazione ci sono, ma se si sceglie l'edificio high-tech, è diverso. In Italia questo sarebbe impossibile. In Norvegia esistono ancora delle chiese in legno di 500 anni fa. Fra l'altro, anche le nanotecnologie aiutano nella conservazione, che non costa molto in generale.

Secondo un giovane architetto italiano che lavora in Cina da un anno, la realtà del lavoro qui è che il mercato cinese non è pronto alla conservazione.

I cinesi vogliono davvero degli edifici low-tech? Gli italiani preferiscono il vecchio al nuovo, ma i cinesi no...Ecco la risposta dell'architetto cinese Zhuang Weimin: "Low-tech non vuol dire bassa qualità, ecco un esempio: per le scuole elementari, se si vuole della luce, si possono disegnare delle grandi finestre, questo è low-tech, ma è sufficiente".

Ora passiamo al parere di Wang Hui, dello studio Urbanus: "Negli edifici dobbiamo mettere condizionatori d'aria e altro secondo le richieste del committente, anche se non sono necessari, ossia l'architetto affronta le richieste istituzionali e commerciali, non per la sostenibilità, allora deve sacrificare le cose basilari della costruzione, i mattoni, le travi... Nulla è più basilare, tutto è diventato commerciale".

Ecco il parere del direttore del mensile "World Architecture", Zhang Li: "Il ricordo dei 200 anni di umiliazione e povertà è ancora fresco nella mente collettiva dei cinesi, quindi l'amore per l'high-tech è facile da capire, ma è una curva naturale, e ci sarà presto un ripensamento".

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