Cooperazione fra il Politecnico di Torino e l'Università Qinghua per la sostenibilità soft dell'architettura urbana
  2013-07-25 10:44:03  cri

 


 

Cari amici, oggi ci occuperemo di un tema che ci tocca tutti direttamente, l'ambiente urbano, insomma i quartieri e gli edifici dove viviamo, spesso avanzati tecnologicamente, ma non esattamente a misura d'uomo.

E' vero, specialmente in Cina ora l'architettura si riduce al trionfo della tecnologia e delle forme strane, ma chi ci vive all'interno soffre.

Pare che la nuova sede della CCTV a Beijing, disegnata dall'architetto olandese Koolhaas, abbia degli uffici così stretti che il personale che ci lavora ricorda con nostalgia la vecchia sede!

Per questo adesso in Cina si parla di "sostenibilità soft", nel senso che la sostenibilità nell'architettura non deve essere solo high-tech e risparmio energetico, ma anche e soprattutto attenzione per chi ci vive.

 

Oggi ci occuperemo di questo tema, prendendo spunto dalla cooperazione in atto fra il Politecnico di Torino e l'Istituto di Architettura dell'Università Qinghua di Beijing, culminata con la pubblicazione in maggio di un numero speciale sulle strategie sostenibili della città di Torino del mensile "World Architecture", edito dall'Istituto di Architettura di Qinghua.

Il nostro referente sarà Michele Bonino, professore di architettura e urban design al Politecnico di Torino e visiting professor a Qinghua, che abbiamo incontrato da poco a Beijing insieme ai suoi studenti.

Il Politecnico di Torino collabora da anni con Qinghua, con degli ottimi risultati. Il 27 giugno all'Istituto di Cultura dell'Ambasciata d'Italia a Beijing si è tenuta la presentazione del numero dedicato a Torino di "World Architecture". Il suo direttore, l'architetto e vice rettore dell'Istituto di Architettura di Qinghua, Brian Zhang Li, dà molta importanza alla sostenibilità soft dell'architettura: "Siamo molto onorati di pubblicare l'edizione speciale di 'World Architecture' su Torino, la mia città preferita, e sul progetto fra Torino e Beijing e fra Italia e Cina, che ci ispira molto. La sostenibilità è un tema molto sentito in Cina per via della sempre maggiore costruzione non solo nelle città ma anche nelle campagne. Ma ora in Cina il discorso sono numeri, tecnologie e idee scientifiche, mentre il pubblico chiede che la sostenibilità sia dimostrata in modo positivo. A Torino abbiamo scoperto la priorità data alle esigenze della dimensione umana e della continuità culturale. Da cui l'idea con Michele Bonino della pubblicazione speciale sulle strategie sostenibili a Torino, che non vuole trovare una soluzione, ma avanzare nuove domande, ossia: la continuità culturale può far parte dell'attenzione per la gente? Esiste una dimensione soft della sostenibilità?"

Ora diamo la parola a Michele Bonino: "Cominciando la pubblicazione su Torino, il nostro problema era come giustificare il forte accento sulla sostenibilità hard in atto oggi, con base sull'high-tech, sul risparmio delle risorse e sul recupero. In passato l'architettura era tutta sostenibile, adesso non lo è più. C'è retorica anche quando si parla di 'eco city' e di 'smart city'. Sono stato molto ispirato dal sociologo americano Richard Sennet, che dice che 'le vecchie smart cities sono quelle che ci danno problemi oggi', e che 'nessuno vuole una città troppo smart'. Per cui, dai progetti della rivista, si capisce che vogliamo riusare strutture esistenti e condividere locali con altri, è un modello nuovo di sostenibilità, ma soft, non con alte performances, ma basato su azioni quotidiane, ripetibili, durature".

Il professor Bonino ha ricordato che Torino, la sua città, e anche la mia, ha degli ottimi esempi di recupero, due in particolare: il Lingotto, la vecchia fabbrica FIAT, eretta negli anni '20, elogiata da Le Corbuisier come una nuova soluzione per la produzione di massa, chiusa agli inizi degli anni '80, e poi divisa in comparti con funzioni diverse della città. Il secondo è la sezione staccata dell'Università di Torino, la Città della Conciliazione, volta ad aiutare i cittadini a risolvere i problemi di vita per via dei rigidi orari di lavoro, la cura dei bambini, gli orari delle donne, ecc.

Cosa pensano gli architetti cinesi dell'architettura sostenibile in Cina? Ecco il parere di Zhuang Weimin, rettore dell'Istituto di Architettura di Qinghua: "Cinque-sei anni fa ho partecipato a una fantastica conferenza dell'Ue a Torino, che è una bellissima città, e ora voglio condividere alcune esperienze della Cina. Zhang Li e Michele Bonino si focalizzano sulla strategia dello sviluppo sostenibile, ma la Cina è ancora chiamata un paese in via di sviluppo, quindi la chiave è il problema finanziario, per cui non dobbiamo solo focalizzarci sull'high-tech ma anche sul low-tech, e fare una revisione della nostra metodologia di architettura tradizionale. Molti esempi si possono trarre dalla tradizione, che è molto importante. Sia l'Italia che la Cina sono antichi paesi, e l'eredità culturale è anche un'importante strategia. Certi progetti di riqualificazione a Shanghai e altrove in Cina privilegiano il moderno e non pensano al patrimonio locale e ai residenti, quindi dobbiamo focalizzarci su due cose: low-tech e patrimonio culturale".

Dall'affermazione di Zhuang Weimin, capiamo che gli architetti cinesi sentono la necessità del ritorno alle radici e all'uso di tecniche di costruzione tradizionali. L'architetto Wang Hui, dello studio Urbanus, gli dà ragione: "Zhuang Weimin parla di low-tech, ma io dico che si può operare anche senza tecnologia e...senza architettura! Questo sulla base della visione sociale, perché una cosa non cambia mai: la gente".

Wang Hui ha presentato al pubblico un fumetto alla base di un loro progetto, tratto da una storia del grande scrittore cinese Lu Xun: due fratelli giocano insieme, poi crescono, uno se ne va, studia e lavora, e poi ritorna, ma non riesce più a comunicare con l'altro.

Il progetto dello studio Urbanus verte su come 'riutilizzare' la gente che perde la sua terra. La storia comincia con due bimbi che giocano alla periferia di Beijing, uno studia e ha un buon lavoro come scienziato, e l'altro continua a fare il contadino. Il primo va in Italia o negli Usa a fare un master, poi torna a Beijing, che nel frattempo vuole sviluppare una città della scienza.

Il governo cinese cerca di usare i migliori scienziati e li paga bene, offre loro delle buone condizioni di vita, ma la città della scienza è costruita sulla terra dei contadini, che perdono la terra e la loro capacità di lavoro.

La proposta dello studio Urbanus di Wang Hui vuole integrare i contadini nella nuova realtà e mantenerli nella campagna al suo interno. Ossia, quando tutto cambia, chi ha basse capacità deve essere incorporato in strategie sostenibili, in modo da includere la maggior parte della gente. Di fronte ai cambiamenti sociali, la vita non è più sostenibile, quindi occorrono strategie per permettere la sostenibilità.

Molto interessante. Alla base di ogni intervento devono esserci l'uomo e le sue necessità, e non il puro interesse economico.

La città di Torino vanta degli ottimi esempi di riqualificazione del patrimonio industriale, ma la situazione potrebbe ancora migliorare. Questo è il commento di Alain Croset, della Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino, che abbiamo incontrato da poco a Beijing in occasione della presentazione del numero dedicato a Torino della rivista "World Architecture", pubblicata dall'Università Qinghua: "Come professore del Politecnico di Torino, sono un osservatore critico, un esterno, quindi vedo le cose diversamente. Come architetto e insegnante, sono dal 2002 a Torino, e in 11 anni Torino è cambiata del tutto, soprattutto in come considera il suo patrimonio industriale, con degli ottimi interventi che dimostrano l'alta sensibilità e la cultura architettonica tipica dei migliori architetti italiani. Come dice Zhang Li nella rivista, 'il piacere di giocare con l'esistente è infinito', è fondamentale per l'architettura italiana attuale ed è anche quello che vogliamo trasmettere agli studenti italiani e cinesi a Qinghua: gli interventi sull'esistente non sono di conservazione, ma di trasformazione e rigenerazione. A Torino però il lato negativo è che ci sono anche casi di industrie distrutte, per cui dico criticamente che è la 'capitale delle occasioni perdute', con pochi interventi positivi e centinaia di edifici distrutti. Sono molto critico: il progetto del Parco Dora ha vicino degli edifici nuovi, ma banali. Conclusione: sicuramente la cultura architettura italiana può cooperare con la migliore architettura in Cina per la sostenibilità, e per evitare gli errori commessi in Europa".

Il principio della sostenibilità soft è molto apprezzato anche da Amy Lelyveld, della Scuola di Architettura della Yale University, con particolare riferimento all'esempio di Torino: "Ho letto la rivista, purtroppo non sapevo nulla di Torino prima, e ne ho tratto conforto: di fronte alla sostenibilità, patisco molto perché si parla sempre di high-tech, di grandi progetti, di soluzioni definitive, ma questo non è sostenibile intellettualmente e storicamente. Penso che la conversazione sia ottima per dire cosa sia la sostenibilità soft, e non i monologhi con soluzioni preconfezionate. A Torino c'è un'energia riusata negli edifici rinnovati, non occorre generare energia da zero, e l'idea che la cultura materiale lasciata dal passato incarna intelligenza e che dobbiamo dialogare con lei. L'accessibilità al pubblico è la cosa più importante".

Cari amici, quindi low-tech per una vita migliore! So che è uscito da poco un documentario dal titolo "High Tech, Low Life", girato in Cina, che dovrebbe toccare l'argomento!

La tendenza è proprio questa. Lo slogan di Zhuang Weimin, di Qinghua, è "studiare dall'architettura tradizionale e dalla gente comune". Secondo lui, il Modernismo è noioso, allora si vogliono delle cose fantastiche, sul modello di Las Vegas. L'high-tech va bene, ma studiare dall'architettura tradizionale in vista della gente è ancora meglio.

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