La mia terza visita nel Xinjiang
  2012-11-21 14:30:13  cri

La sola idea del Xinjiang, a Beijing, è fantastica, perché nell'immaginario collettivo di cinesi e stranieri questa regione così lontana ricorda i deserti e le oasi dell'antica Via della Seta, percorsa per millenni da carovane di mercanti persiani, indiani, arabi e cinesi, che riposavano nei molti caravanserragli e monasteri buddisti che la costellavano.

Una di queste carovane proveniva dalla lontana Venezia, quella della famiglia Polo, formata dal giovane Marco, dal padre e dallo zio, che nel 13° secolo raggiunsero la Cina, allora dominata dalla dinastia mongola Yuan, in cui Marco visse per 17 anni, occupando anche un incarico di funzionario a Hangzhou. Grande ammiratore della Cina, Marco Polo la descrisse nei dettagli nel suo "Milione", che fece scoprire l'Asia e la Cina all'Occidente.

La Via della Seta fu anche percorsa da molti monaci buddisti, in gruppo o isolati, come il famoso Xuan Zang, che in epoca Tang, all'inizio del 7° secolo, raggiunse l'India e riportò a Chang'an, la capitale del tempo, un gran numero di scritture sacre, che poi provvide a tradurre in cinese dal sanscrito.

Più di mille anni fa, lungo la Via della Seta, occorrevano anni per superare le grandi distanze che separavano l'antica Chang'an, capitale dell'impero cinese Tang, dalle oasi dell'Asia centrale e dall'India. L'antica Via della Seta era un percorso faticoso in cui solo i più arditi osavano cimentarsi, e il Grande Ovest era considerato una terra misteriosa e pericolosa, abitata da gente meno civile, e quindi da evitare. Adesso, invece, sta comparendo una nuova Via della Seta, il ponte transcontinentale che collega le coste del Mar Giallo all'Asia centrale e all'Europa, fatto di modernissimi sistemi di comunicazione. Dal canto suo, la regione autonoma del Xinjiang, che ho visitato da poco, è considerata in tutte le sue valenze: di bellissima zona dal punto paesaggistico, ricchissima fonte di materie prime (petrolio, carbone, gas naturale, minerali vari), importantissima area di frontiera, e porta dell'Asia centrale.

Per dare un'idea della rapidità delle comunicazioni, adesso da Beijing bastano 4 ore e 15 minuti per raggiungere Urumqi, capoluogo della regione autonoma del Xinjiang-Uygur, a più di 3.100 km di distanza, su un Boeing 777, in grado di portare 470 passeggeri. L'aereo era zeppo, una prova che la regione non è più isolata, ma del tutto integrata nella realtà economica e sociale della Cina attuale. Sotto di noi, intanto, scorrevano gli straordinari paesaggi del nord della Cina: l'arido altopiano del Loess, terrazzato e coltivato nel tempo dai locali, e recentemente afforestato su larghe estensioni, con le caratteristiche case-grotte scavate nelle pareti di tufo dei monti, culla di una cultura particolare, ricca e colorata; e poi deserti infiniti, di roccia e di sabbia, punteggiati di oasi. All'improvviso, come un miraggio, è comparsa una catena di monti innevati che si stagliava nel cielo blu: il massiccio del Bogedafeng, alto 5445 metri. L'aereo volava a bassa quota, quindi ho potuto ammirarne i ghiacciai da vicino, in tutta la loro bellezza. Visto il picco Bogodafeng, ho capito che Urumqi non era più lontana. Infatti questa non era la mia prima visita nel Xinjiang, ma la terza.

La prima risale all'estate del lontano 1987, poco dopo il mio arrivo in Cina per continuare gli studi di lingua cinese, quando ho percorso l'antica Via della Seta, il sogno di tutti gli amanti della Cina, come me.

Sono partita da Xi'an in treno, percorrendo il Gansu e il Xinjiang, un viaggio avventuroso in cui ho visto la realtà locale tradizionale e conosciuto delle persone straordinarie. Dopo aver visitato le magnifiche Grotte di Dunhuang (allora si potevano ancora ammirare quelle originali con una modica spesa, mentre adesso sono accessibili solo le riproduzioni, e il prezzo dei biglietti di ingresso è cresciuto in modo stratosferico), ho raggiunto Hami in autobus, e poi Turpan, allora delle piccole cittadine dove la vita scorreva tranquilla. A Turpan ho passeggiato sotto i pergolati della Valle dell'Uva, irrigata da un antico sistema di cisterne e condotte, e i resti dell'antica città di Gaochang.

Da Urumqi ho raggiunto la città di frontiera di Yili, separata dal fiume omonimo dalla Russia, insieme ad un giovane ricercatore dell'Accademia delle Scienze di Beijing conosciuto durante il viaggio, che aveva dei parenti che lavoravano nella grande conceria locale. Infatti la zona è ricca di praterie e di greggi di pecore, di cui si occupano dei pastori di etnia mongola. Per acquistare una pecora (che sarebbe finita allo spiedo!) siamo andati sui monti, dove, cosa straordinaria, in una tenda ho conosciuto un veterinario mongolo con cui ho scambiato qualche parola in latino, che lui aveva studiato all'università al corso di medicina. Un incontro che ricorderò per tutta la vita!

Lasciata Yili, ho preso l'autobus per Kasghar, in realtà una vecchia corriera in cui, per mancanza di posti, sono rimasta seduta per un giorno intero sulla cassetta degli attrezzi, accanto all'autista. Ma lo spettacolo dei magnifici paesaggi dei Monti Tianshan mi ha ampiamente ripagata! A Kasghar ho passeggiato per la città vecchia, con le sue stradine strette e le case di tufo degli Uygur, coi balconi di legno dipinti di azzurro e i cortili pieni di fiori colorati, e all'interno tappeti, tavolini bassi ricolmi di frutta, e negli angoli le culle a dondolo di legno per i bambini, dipinte di azzurro. E cosa dire del bazar presso la grande e antica moschea Aitika, con le sue botteghe e la gente dai costumi e tratti somatici dell'Asia centrale? Usciti dal bazar, le strade sterrate erano percorse da carretti trainati da asinelli, il principale mezzo di trasporto del tempo. Quindi la mia prima visita nel Xinjiang nel 1987 mi ha permesso di ammirare le bellezze naturali e l'aspetto tradizionale del Xinjiang.

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