Tutto sul tè 2006
  2010-12-01 12:22:11  cri

Quale potrebbe essere la "pianta di civiltà" della Cina, un concetto introdotto dallo storico francese Braudel? I primi due nomi che si affacciano alla mente di chiunque sono il riso e il tè. L'importanza di queste due piante nella vita quotidiana dei cinesi è così forte e radicata da farci pensare che siano sempre state presenti in Cina, e che il loro uso sia stato costante nel tempo. In realtà in entrambi i casi la loro diffusione e quella dei prodotti ad essi legati non risale a tempi così remoti come si potrebbe pensare. Nel caso del tè, ad esempio, non possiamo parlare di una reale diffusione ad uso voluttuario, cioè non medicinale, della bevanda fino alla dinastia Tang (618-907). E man mano che l'abitudine di bere il tè si diffonde, si diversificano i modi di preparazione e le strategie di consumo, e anche la percezione stessa del gusto cambia.

Ciò che all'inizio ricordava il gusto di una cicoria amara, si trasforma in seguito in "dolce rugiada", quasi una manna e un'ambrosia. Il tè diventa bevanda popolare, un bene commerciabile, un oggetto di baratto (scambiato con cavalli mongoli), un passatempo per colti e raffinati, addirittura con vere e proprie gare di degustazione), ed una fonte di ispirazione letteraria. Nasce una letteratura del tè, i chashu, di cui il "Canone del tè" di Lu Yu (733-804) è il capostipite, e fioriscono luoghi dedicati al consumo pubblico e privato della bevanda. Nasce la teiera, un altro oggetto che siamo abituati ad associare alla tradizione cinese più remota, e che è invece un'invenzione abbastanza recente.

Queste considerazioni si devono al professor Marco Ceresa, presidente del Collegio didattico del Corso di laurea in Lingue e Culture dell'Asia Orientale dell'Università Ca' Foscari di Venezia, considerato uno dei massimi esperti italiani del tè e della cultura materiale della Cina. Autore dei "Trattati del tè" di epoca Tang (Tang Dinasty Monographs on Tea) e della traduzione italiana del "Canone del tè" di Li Yu, recentemente ha tenuto una conferenza a Pechino sulla cultura del tè.

Marco Ceresa avrebbe voluto parlare del tema nel modo piacevole e ozioso della conversazione che si fa mentre si beve il tè, ma poi ha fatto un giro casuale per Pechino per convincersi che la cultura del tè nella Cina contemporanea costituisce un esempio perfetto di quello che Hobston chiama l'"invenzione della tradizione", ossia una tradizione inventata per corrispondere a bisogni ideologici o politici o di altra natura. Le pratiche e le strategie di consumo che vediamo nella Cina contemporanea non corrispondono in realtà ad una tradizione, ma sono piuttosto un'invenzione. Infatti, tradizione e consuetudine sono cose diverse. La pratica di bere il tè in Cina è caratterizzata nei secoli dal berlo, ma la preparazione e coltivazione sono cambiate enormemente. Accomuna le fasi e le epoche l'idea di utilizzare le foglie di una pianta per fare una bevanda, passando dalla percezione di un gusto amaro e in certa misura sgradevole a quella di dolce e piacevole e addirittura associato alla dolce rugiada, di radice buddista. L'invenzione della tradizione si riallaccia a dei preconcetti sulla cultura alimentare cinese, comuni in occidente e ora anche in Cina, ossia: i cinesi hanno sempre bevuto tè, falso, e mangiato riso, falso, e mai bevuto latte e latticini, ugualmente falso, e le prime due tradizioni non sono neanche così antiche.

Origini della pratica di bere il tè: la frase della fine di un romanzo di Umberto Eco, ovvero "la rosa è antica quanto il nome, ma non abbiamo che il nome", vale anche per il tè, ma il carattere non è neanche antico, visto che compare per la prima volta in un commentario di epoca Han (206 a.C. - 220 d.C.), che si riferisce ad una bevanda col carattere tu, simile a quello di cha (tè), ma con due tratti orizzontali e non uno solo, citato in Erya, il primo dizionario della cultura cinese, e nel "Libro delle Odi", ma non si sa se indica il tè, la cicoria, o una canna palustre, quindi non sappiamo a cosa esattamente si riferisca nelle fonti antiche. Quindi non si sa se nell'antichità si consumasse la bevanda di tè, o si consumassero le foglie, infatti da certi testi corrotti emerge che queste foglie, sempre indicate come "amare", erano mangiate o usate come medicinale, e non come bevanda.

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Già in epoca Tang esistevano le diverse tecniche, come dice Lu Yu, la differenza era qual era la pratica prevalente, elitaria e popolare. La cultura del tè è rappresentata da una serie di testi che danno l'idea di un consumo elitario, perchè certe maniere di preparazione descritte nei canoni sono complesse ed onerose, con 17 strumenti diversi necessari secondo Lu Yu, quindi inaccessibili al pubblico. I pani di tè erano costosissimi, quindi riservati al re, il popolo lo consumava diversamente. Il punto di vista esatto è la considerazione dell'uso sociale: la rappresentazione dei modi di bere il tè dagli inizi alla dinastia Ming riguarda il consumo elitario e delle alte classi sociali. La rivoluzione nel tè è il passaggio dal tè in pani a quello in foglie, di epoca Ming, che lo rende accessibile a tutti, rendendolo più facile farlo e trasportarlo, e facendo quindi coincidere i modi di consumo.

Perchè il tè si diffonde in epoca Tang e non prima? Due sono i fattori: il Buddismo e la compilazione del Canone del tè. La diffusione col Buddismo è legata alla proprietà stimolante del tè, che aiutava i monaci a restare svegli durante la meditazione. I monaci portavano con sè il tè nei loro spostamenti, da cui la sua diffusione ovunque. L'uso del tè è canonizzato da Lu Yu mentre era già in atto. Il tè veniva barattato dagli Han con le minoranze del nord, e scambiato con cavalli. Nel 770 venne fondato un Ufficio per i tributi in tè, ma nessuno ne aveva messo per iscritto l'uso e la cultura. Fra il 758-760 lo fa Lu Yu, che usa volutamente il termine jing, canone, cardine di una tradizione, perchè sa che scrive un'opera importante che tratta la coltivazione, manifattura, consumo, e cataloga anche le zone di produzione.

Il testo è famoso, ma inutilizzabile per noi perchè la pratica di bere il tè è cambiata: secondo la sua ricetta sarebbe disgustoso! Ma dal libro emergono dei criteri che rimangono quelli fondamentali per la preparazione, ossia l'attenzione all'acqua, al fuoco e agli strumenti. È il primo dei chashu cinesi, con circa 108 titoli sulla preparazione generale o specifica, alcuni solo sulla scelta del tipo di acqua per la preparazione. Addirittura si pensa che la descrizione della bollitura dell'acqua in Lu Yu sia la prima al mondo che parla di trasferimento del calore, in termini precisi e poetici. Le fasi sono tre: nella prima ci sono bolle grandi come occhi di pesce, nella seconda bolle che circondano la pentola come un filo di perle, e nella terza l'acqua si muove col rumore del mare in tempesta, la quarta fase non bisogna raggiungerla perchè l'acqua sa di bollito. Questi aspetti li conserviamo, ma la preparazione con 17 strumenti e l'acqua di un certo tipo erano accessibili solo a una parte ridotta della popolazione. La tradizione dei chashu è quindi elitaria. Una idealizzazione del bere il tè è data dalla scelta dell'acqua, che secondo Lu Yu è quella che gocciola dalle stalattiti nelle grotte di montagna, legata alla medicina tradizionale, ma praticamente impossibile, oltre che troppo calcarea. Parla anche di acqua di pozzo e di fiume, ma lo standard di eccellenza è delle stalattiti. Altri tipi di testi trattano dell'acqua per la sua provenienza, di neve (da evitare), o dell'energumeno (che cade sulle foglie troppo violentemente), ecc. Ma tutti continuano a bere il tè con l'acqua che hanno a disposizione.

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La rivoluzione avviene in epoca Ming, perchè la mattonella di tè era così preziosa che quando l'imperatore la regalava, il funzionario non la consumava, ma la conservava. Poi nasce il tè in foglie, e la preparazione per infusione, che cambia i recipienti. La zuppa Tang era fatta nella pentola, o tripode, il tè frullato era preparato in tazze ampie per la frullatura, poi si passa alla tazza col coperchio per l'infusione. La teiera compare tardi, alla metà dell'epoca Ming, anche se la forma è antica, sui modelli dei contenitori per il vino e l'acqua.

La storia del tè non è più lunga, perchè la nascita del tè per infusione è già avvenuta. Mentre prima la letteratura tecnica presentava le regole d'oro per pochi, improvvisamente la maniera di fare il tè diventa facile e accessibile a tutti. Ma subentra il fenomeno della distinzione: come distinguere il tè fatto da me da quello fatto da te? Allora nascono i libri sul tè, i cataloghi, gli strumenti, e la letteratura degli oggetti superflui che caratterizza parte dell'epoca Ming, che consiglia chi vuole preparare il tè e distinguersi socialmente.

Sotto i Ming, la tazza è bianca e il tè verde. In seguito non capita più nulla di rilevante, ma emergono il Fujian come zona di produzione, e la tecnica di avvizzimento, ossia si lascia che le foglie secchino naturalmente, il che origina il tè Wulong a media fermentazione. La cultura del tè Wulong ha una cultura di preparazione, il gongfucha, con teiere piccolissime e tazze minime, perchè è forte. Ora è estesa per qualità estetiche ad altri tè, come si vede nelle case da tè, ma è una pratica non tradizionale e non molto antica.

Da quando è iniziata, la pratica del tè per infusione è diventata prevalente, quindi i cambiamenti successivi sono stati solo un raffinamento al seguito del miglioramento delle condizioni economiche delle diverse regioni, tuttavia in Cina in certi periodi non è stata possibile la degustazione come ora. Intanto il tè era arrivato in Giappone, che ha sviluppato la sua cultura del tè, ricca dal punto di vista materiale e piacevole da quello estetico. Permettendo che in un secondo tempo la cultura del tè in Giappone sia stata riportata in Cina, originando l'ondata di apertura di case da tè, data come tradizionale, ma che è il risultato di una ibridazione di consumo del tè tipicamente cinese con la forma data dalla cultura in Giappone. Il significato di questa ibridazione è la creazione di una tradizione, per rafforzare l'identità cinese e ricucire una cesura storica del XX secolo, con la ricreazione delle vecchie Pechino e Shanghai, inventando una tradizione che, come sempre, mira a rafforzare l'identità.

Quando si deve bere il tè? Ecco un elenco famoso di momenti in cui farlo, elencati in un trattato sul tè del 1597 di Xu Zishu. Infatti, fino alla dinastia Ming nei chashu, i libri sul tè, non si parlava delle circostanze e della compagnia con cui bere il tè, per motivi economici e sociali, ma in seguito questo elemento compare. Lo si beve: nell'ozio e nella spensieratezza, quando la poesia ci annoia, quando i pensieri sono confusi, seguendo il ritmo delle canzoni, quando la musica tace, in ritiro lontano dai problemi, suonando il qin (la cetra) e ammirando i dipinti, conversando a notte fonda, nello studio in una giornata di sole, nell'alcova o sotto una veranda, nell'intimità con gli amici, con ospiti illustri e con giovani signore, di ritorno da una visita a un amico, in una giornata di sole, con il cielo velato ed una pioggia sottile, osservando i battelli variopinti da un piccolo ponte, fra rigogliosi alberi e slanciati bambù, coltivando fiori e allevando uccellini, fuggendo la calura in un padiglione fra le ninfee, bruciando incenso nel cortile, quando il vino finisce e gli ospiti se ne vanno, quando i giovani sono a lezione, in templi e monasteri solitari e fra le sinuose rocce di una fonte famosa.

Per finire, qual' è il tè preferito dal professor Ceresa? Il tè Wulong Tieguanying, amaro prima e dolce dopo, perchè è più favorevole alla salute del caffè.

Un particolare interessante: il professore si è interessato al tè mentre scriveva una tesi di dottorato in biblioteconomia. Un amico l'ha invitato a bere il tè, allora ha abbandonato la biblioteconomia e si è dedicato al tè, senza più lasciarlo.

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