Qualcosa da tenere per sé
  2009-10-01 15:28:21  cri
Margherita Oggero

1

Quantunque aveva vent'anni e la goccia al naso. Una goccia come quella che viene giù da un rubinetto con la guarnizione lasca, che si ingrossa piano piano, si fa oblunga e poi si stacca e cade. Tic...tic... si aspetta il prossimo tic e non si riesce a pensare ad altro. La goccia di Quantunque non faceva rumore, finiva sulla felpa scolorita e chiazzata di macchie o sulla mano che la spazzava con un gesto veloce, ma lo sguardo di chi gli stava vicino ne era come incatenato. Adesso mancava da qualche giorno e Liuba cominciò a preoccuparsi.

- Da quand'è che non lo vedi? – chiese all'Avvocato, che non era avvocato ma si era studiato i codici meglio di un principe del Foro.

- Boh. Mica gli sto a far da balia. Da quattro o cinque giorni, chi lo sa.

- Cinque forse no. Mi sembra che giovedì gli ho parlato – ribatté lei.

- E allora cosa chiedi a fare?

- Chiedo perché magari qualcuno l'ha visto dopo. Non è mai stato via più di due giorni.

- E invece stavolta sta cinque o sei. Perché cazzo ti preoccupi tanto, mi chiedo.

Invece Liuba era preoccupata. Non tanto, ma un po' sì, perché si sentiva responsabile da quando l'aveva adottato, come dicevano gli altri. Se l'era trovato di fianco a una manifestazione contro gli sfratti, l'aveva preso per mano, gli diceva salta o grida e lui lo faceva come se fosse contento di ubbidire. Poi, quando il corteo s'era sciolto, l'aveva seguita come un cane o un gatto sperduto che tiri a trovare qualcuno che lo tolga dalla strada, tre passi dietro a lei, senza parlare, senza chiedere niente. Sempre dietro a lei era salito prima sul 18 poi sul 57, senza biglietto, come lei e come tanti, e con lei era sceso a una fermata tra le borgate Barca e Bertolla. Quando erano arrivati davanti al portone scassato dello Schirrù, era stata lei a chiedergli:

- Embè?

- Quantunque... – aveva risposto lui.

- Quantunque cosa?

- Niente.

Però non si schiodava, solo bilanciava il peso del corpo ora su una gamba ora sull'altra, come un orso addomesticato.

- Da dove vieni?

- Dal paese. Sono partito stamattina.

- E adesso dove vai?

- Non lo so.

- Perché sei partito?

- Volevo sperdermi. Quantunque...

- Quantunque?

- Niente.

- Ho capito. Scommetto che non hai idea di dove andare a dormire.

- Sì.

- Sì vuol dire che ce l'hai o no?

- No.

Liuba si mise a ridere. Un ragazzo grande e grosso ma con il cervello da bambino. E con la goccia al naso come un bambino.

- Non poi soffiartelo sto naso?

- Sì, ma tanto ricomincia subito a perdere. È una malattia.

- Allora curala.

- Ci va un'operazione.

- Fattela fare.

- Ho paura.

- Perché volevi sperderti?

- Così. Se mi sperdo loro sono contenti. Quantunque...

- Loro sarebbero i tuoi?

- Sì.

- Puoi dormire qui, per stanotte.

- Qui dove?

- Allo Schirrù.

- Cosa vuol dire?

- Niente, lascia perdere. Vuoi sì o no?

- Sì.

Era cominciata così, e Quantunque era diventato un inquilino fisso dello Schirrù. Che era uno stanzone, una ex rimessa di carri agricoli, nel cortile di una specie di cascinotta che aveva conosciuto tempi migliori. Gli altri occupanti stanziali, cioè l'Avvocato, Nabil, Vanessa e il Gordo, l'avevano accettato senza entusiasmo e senza insofferenza; i saltuari non avevano mostrato alcun interesse o curiosità per lui e lo vedevano come un elemento trascurabile dell'ambiente, un pezzo di muro scrostato, una sedia spaiata, un pagliericcio. Liuba invece se l'era preso a cuore, gli parlava, e adesso era in pensiero per lui, perché forse si era sperduto di nuovo ed era ancora inverno.

L'inverno, se si ha un tetto sulla testa, è la stagione più bella di Torino. Quella in cui i colori hanno una nettezza nordica e gli spiazzi delle piazze diventano percepibili nella loro grandezza; quella in cui l'ombra fredda sotto i portici divide il selciato in parti che non comunicano tra loro, appartenenti a spaccati diversi di una scenografia monumentale e fantastica. L'estate invece è una stagione estranea che fa affondare la città in una mollezza orientale, in una spossatezza da hammam, con le strade quasi deserte e le serrande dei negozi abbassate come palpebre su occhi sonnacchiosi, come le vecchie alberate dei viali – tigli siliquastri ippocastani aceri platani – stremate dal peso delle foglie immobili nella calura. Il sole che picchia dura fa incassare le teste tra le spalle e nessuno alza lo sguardo per leggere lapidi e targhe di vecchi eroismi dimenticati.

Adesso era ancora inverno e Liuba era in pena per Quantunque. Che era andato a finire chissà dove. Che non sapeva badare a se stesso. Che chiunque poteva irretirlo e fargli del male. Ma guarda te se non sono stupida, pensò, sistemandosi le creste dei capelli, guarda te se non sembro una dama di carità, un'impicciona di quelle che ho sempre mandato a stendere perché con la scusa di fare del bene al prossimo ficcano il naso dove gli pare. Alzò le spalle davanti allo specchio, si passò un po' di gommina sulle creste e uscì. Fuori faceva un freddo cane.

A Torino Quantunque era capitato per caso, senza aver programmato la meta in nessun modo. Del resto, programmare era una parola che non aveva mai pensato, insieme a tante altre. Una mattina aveva detto che non stava bene, che aveva come una mano che gli stringeva lo stomaco, non si era alzato dal letto e aveva lasciato che i suoi se ne andassero. Padre madre e i due fratelli, Nando e Piero, tutti in fabbrica. La madre ci restava solo fino a mezzogiorno, poi tornava a casa, gli altri invece mangiavano un paio di panini o un piatto caldo al bar di fronte e dopo riprendevano a lavorare. La fabbrica era una fabbrichetta, sette in tutto a lavorarci, loro quattro più tre operai e la madre, che però non la contavano perché teneva solo in ordine e rispondeva al telefono. Quantunque lo contavano, ma il più delle volte era come se non ci fosse, come quella mattina che però non c'era davvero. Dopo che i suoi erano usciti, lui si era buttato giù dal letto, aveva messo nello zaino un po' di roba, era salito sulla bici nuova di Piero che guai se l'avesse saputo e aveva pedalato per dieci chilometri, fino a Vicenza. Aveva preso la decisione quella notte, dopo che la frenata di un camion sotto la finestra l'aveva svegliato di colpo e non era più riuscito a dormire. Di andarsene forse non gli sarebbe mai venuto in mente, se Nando, che dei due fratelli era quello sempre arrabbiato per qualcosa, una volta, più di un anno prima, non avesse detto che lui, Quantunque, era meglio perderlo che trovarlo e Piero e sua mamma, invece di difenderlo, avevano scosso la testa e borbottato "eh sì sì", e solo suo papà non aveva detto niente. Aveva cominciato a pensare, ma prima solo di rado, che sarebbe stato bello perdersi, anzi sperdersi, come gli era capitato da bambino quando era andato per funghi con suo papà e i fratelli e poi si era allontanato senza accorgersene e non aveva più trovato il sentiero per tornare vicino a loro oppure a casa. Ma non aveva avuto nessuna paura, solo fame quando era venuto buio e più tardi sonno, e si era addormentato sotto un castagno dove l'aveva trovato don Giacomo la mattina dopo, che era andato per funghi pure lui. Poi il pensiero gli era venuto in mente più spesso, ma era un pensiero solo di striscio, come se riguardasse qualcun altro che neanche conosceva, uno che si sperdeva in un film o telefilm, che cioè se ne andava via di casa e non lo trovavano più. Ma la notte che la frenata del camion l'aveva svegliato, il pensiero era diventato grosso e gli occupava per intero la testa. A Vicenza aveva ritirato alla posta tutti i soldi del libretto e quando era uscito dall'ufficio, dopo aver aspettato più di mezz'ora perché c'era la coda e gli impiegati si alzavano tutti i momenti e sparivano nel retro, la bicicletta di Piero non c'era più. Per un momento gli erano venuti i brividi, ma poi si era ricordato che andava a sperdersi e Piero non l'avrebbe più rivisto. Alla stazione era salito sul primo treno che passava, senza prendere il biglietto perché non avrebbe saputo dire per dove, e gli era andata bene che i vagoni era pieni zeppi di studenti in gita e il controllore non era passato. Era sceso alla Centrale di Milano, insieme con la comitiva, ma là per il chiasso e il viavai gli era venuto subito mal di testa, così era uscito, aveva camminato un po' e poi era salito su un pullman che davanti aveva la scritta TORINO e aveva pagato il biglietto all'autista che era partito subito dopo.

A Torino c'era una manifestazione contro qualcosa fatta da giovani vestiti male, e certi avevano dei cani grossi senza guinzaglio che però non facevano paura, sventolavano bandiere rosse e di altri colori, saltavano, gridavano delle frasi con i megafoni, si tenevano per mano e sembravano allegri, non arrabbiati. Quantunque si intrufolò nel corteo e quando una ragazza lo prese per mano pensò che era bello e che Torino gli piaceva.

- Morta da quando? – aveva chiesto il commissario Gaetano Berardi al medico legale.

- Difficile a dirsi con sto freddo. E nello stato in cui è. Da un bel po' comunque. Tre o anche quattro giorni. Strano che nessuno l'abbia notata prima.

Intorno c'era il solito crocchio di poliziotti della omicidi ed esperti della scientifica, c'era la piemme, c'era un gruppo di cronisti di nera e fotografi che lanciavano occhiate al cadavere con distacco professionale e battevano i piedi in terra per scaldarseli un po'.

- Una battona, tanto per cambiare – aveva osservato uno di "Repubblica".

- Già. Le fanno fuori ovunque come mosche.

- Rischi della globalizzazione. Ce ne sono troppe, c'è troppa concorrenza e poca prudenza.

- Non è detto che sia stato un cliente.

- Il suo garga dici? Tutto può darsi. Neanche i gargagnani sono più quelli di una volta.

- Il tempo è cambiato.

- Tutta colpa dell'atomica.

- O del buco nell'ozono. Che però quest'anno si deve essere chiuso, visto il freddo che fa.

- No, scherzi a parte, questa qui non sembra neanche tanto giovane.

- Come fai a dirlo? Poveraccia, non è che si capisca granché, da come è conciata.

- Le caviglie. Guardale le caviglie.

- Grosse, sì. Ma mica tutte ce l'hanno da gazzella.

- E una è più grossa dell'altra. Si doveva essere rotta il perone, oppure la tibia e il perone e non glieli hanno aggiustati bene.

- E allora?

- Allora è roba vecchia. Adesso le ossa le sistemano meglio. A meno di non capitare da un ortopedico rincoglionito.

- Magari non è una di qui. Metti che arrivi dalla Moldavia, dall'Ucraina o da un altro posto dell'Est dove negli ospedali non vanno tanto per il sottile...

- Difficile. Di là arriva merce giovane, se si tratta di battere. Quelle più ciospe fanno le badanti o le colf. E questa non è vestita da badante, questa è una puttana delle nostre.

Erano le dieci del mattino e il freddo continuava a essere feroce, meno sei o meno sette, in quel campo dalle parti di strada di Druento, tra un filare di platani e un'arruffata massa di cespugli stecchiti. Il cielo era grigio piombo, il terreno, sotto lo strato sottile di brina ghiacciata, di un nero cupo. L'unica chiazza di colore era raggrumata addosso alla morta: il suo giubbotto slacciato, rosso mattone. No, rosso sangue. Quel che restava di una donna non più giovane, probabilmente una puttana, era osservato e studiato e fotografato da una dozzina di persone, in attesa dell'ulteriore scempio che sarebbe avvenuto sul tavolo autoptico, perché la morte violenta è sempre soltanto l'inizio.

Il medico legale si allontanò di qualche passo e si accese una sigaretta.

- Danne una anche a me – gli disse il commissario raggiungendolo.

- Ma non avevi smesso?

- Avevo.

- Non ci si abitua mai, eh?

- A scene così, no.

- Gran bastardo chi l'ha uccisa. Anzi, ucciderla è stato il meno. Spero che lo becchiate.

- Lo spero anch'io. Però sarà dura. Tanto per cominciare, nessun documento, non è stata ammazzata qui e di tempo ne è passato troppo.

- Di buono, si fa per dire, c'è che nessuno ti metterà fretta. I morti non sono tutti uguali.

- E c'è anche, sempre si fa per dire, che le Olimpiadi non sono ancora cominciate. Nessun cadavere deve rovinare la festa.

- Disposizioni superiori?

- Diciamo raccomandazioni. Ma gli assassini se ne fregano. Delle raccomandazioni, della bella figura da fare di fronte al mondo e della tivù. Della vita di una disgraziata che le andava meglio a non nascere.

- Di' un po', cosa ti capita?

- Niente. Non mi capita niente.

- Non si direbbe. Te la prendi troppo. Pigliala più bassa, e smetti di fumare.

- Senti da che pulpito. Tu quando smetti?

- Mai. Credi che sia un bel lavoro frugare nelle budella, tagliare e ricucire?

- No.

- E allora...

Buio pesto e un freddo cane. Alla faccia dell'effetto serra e delle altre previsioni apocalittiche. Eccessivo anche per Torino, pensò Camilla. Eccessivo anche per lei, che pure amava il lungo inverno nella città. Forze aveva ragione Renzo e potevo risparmiarmi la visita – continuò a rimuginare tirando ancora più su la lampo del piumino -, e soprattutto dovevo mettermi un paio di pantaloni e non questa gonna da signora, che chissà perchè mi è sembrata più adatta alla circostanza. Bastava una telefonata, o un biglietto. Ma mia mamma ha insistito tanto. Tre settimane a Sorrento, a un prezzo stracciato da fuori stagione, e gite in pullman a Positano, a Pompei, a Caserta eccetera, pensione completa e alla sera trattenimenti danzanti o tornei di pinnacolo in albergo. Con sua cugina Rita, che non è una gran compagnia, ma così non c'è stato da pagare il sovrapprezzo per la camera singola. E tre giorni dopo che è partita scopre dai necrologi della "Stampa" che è morta Carmen Spairano vedova Benedicenti, sua compagna fissa di banco alle elementari e sporadica di cinema nella vedovanza, e mi supplica, cioè mi intima, di rappresentarla nella visita di condoglianze a figlia genero e nipoti che non ho mai visto prima. Veramente mi ha intimato di andare al rosario, dato che non posso andare al funerale di domani che cade in orario scolastico, ma il rosario lo dicono stasera alle nove, e anche l'obbedienza filiale ha dei limiti. Tanto più che la mia macchina è dal meccanico, Renzo arriva tardi e figurarsi se avrebbe avuto voglia di rimandare la cena per accompagnarmi. Niente funerale, niente rosario ma in compenso la visita l'ho fatta, con un bel mazzo di fiori, frasi di rammarico, strette di mano e anche un'occhiata alla morta, che aveva proprio l'espressione fissa e definitiva e lontana della morte, ma ho dovuto dire che sembrava dormisse. Sua figlia ha annuito: forse certe menzogne sono balsamo e miele quando si è colpiti dal lutto, e la verità è meglio non sentirsela dire.

Affrettò ancora il passo per sentire meno il freddo e svoltò l'angolo. La fermata dell'autobus era a un centinaio di metri. La strada era male illuminata. Nessuna macchina in transito. Nessun passante sui due marciapiedi. Un vago senso di insicurezza.

Poco più di mezz'ora dopo era a casa, al caldo e al sicuro. Ma mentre si versava un bicchiere d'acqua la mano le tremava forte.

Allo Schirrù Nabil stava dormento sotto uno strato multiplo di coperte, e Liuba rientrando – il corpo ancora percorso da scariche di adrenalina – imprecò ad alta voce contro lui e contro tutti. Sfaticati e lazzaroni sempre, i maschi. Quando non delinquenti. Fanno indigestione di belle parole, vomitano slogan di uguaglianza, farneticano di un mondo nuovo senza sfruttatori e senza sfruttati, ma a rompersi la schiena preferiscono che siano le donne. Questo qui, poi... l'ha succhiata col latte di mamma l'idea che il suo pendaglietto è roba sublime, e che le femmine lo devono riverire per il solo fatto che ce l'ha...

Gli sferrò un paio di calci con gli anfibi, una doppietta violenta e precisa sulle tibie, che le coperte attutirono ma non del tutto.

- Ma che, sei scema?

- Lo scemo sei tu. E anche stronzo, come ti ho già detto un sacco di volte.

- E perché?

- Perché le regole non ti entrano in testa, e se ti entrano te ne freghi.

- Che regole? Che cazzo dici?

- La regola che chi rientra per primo la sera accende le stufe. Adesso alzi il tuo culo mole e ti dai da fare.

- Molle sarà il tuo, il mio è di marmo. Non puoi accendere tu le stufe?

- No. Le regole devono essere rispettate.

- Anche in un circolo anarchico?

- Ma che circolo anarchico! Qui di anarchico c'è solo Vindice. Ti sbrighi o ricomincio coi calci?

Nabil tirò da un lato le coperte e si alzò, riflettendo per la millesima volta che è una situazione schifosa quella in cui sai che l'altro (altra) ha ragione, ma rimpiangi da matti il prima, quando la ragione, anche se eri in torto, ce l'avevi tu e nessun dubbio ti sfiorava.

Le due stufe si accesero una volta tanto senza mandare troppo tanfo di kerosene, Liuba trascinò una sedia accanto alla più grossa e si sedette a scaldarsi.

- Com'è che stasera hai voglia di guerra? – chiese lui.

- Fatti miei. Non ti riguardano.

- E come mai sei qui a quest'ora?

- È lunedì.

- E allora?

- Il lunedì non lavoro. Neanche questo ti entra in testa. Di' un po', hai mica visto Quantunque?

- No. Ti manca la sua conversazione, per caso?

- Sei proprio scemo fino in fondo.

- Si sarà trovato una ragazza. Oppure è tornato al suo paese.

- Difficile. Ha lasciato qui la sua roba.

- Anche i soldi?

- I soldi? Non ci avevo pensato.

- Sono sempre scemo fino in fondo?

- No, solo a tre quarti. Vado a chiedere a Vindice.

《留在心底的秘密》

(意)玛格丽特·奥杰罗

李婧敬 

 

 

 

1

 

"虽然"是一个常年拖着鼻涕的二十岁的小伙子。那鼻涕仿佛一颗水珠,摇摇欲坠地悬在在垫圈松动的水龙头口上,越来越大,越来越长,最后,啪嗒一声落下来。啪嗒……啪嗒……在等待下一滴水珠落下的过程中,思绪往往会凝滞。"虽然"的鼻涕是无声无息的,它顺着脏兮兮的褪色绒衫往下流,随后又流到迅速蹭过衣服的手上。尽管他的动作飞快,但却躲不过身边人惊诧的目光。最近,他已经有好些日子没露面了,柳芭开始为他担心起来。

"你有多久时间没见过他了?"柳芭问"律师"道。其实,"律师"并非律师,但他对法律的精通程度却不亚于任何一位知名的专业人士。

"不记得。我又不是他的保姆。可能四五天吧,谁知道。"

"应该不到五天。我记得星期四那天还跟他说过话。"柳芭辩驳道。

"那你还问我做什么?"

"因为也许有人在星期四之后还见过他。他从没离开这里超过两天时间。"

柳芭的确有些担心。虽说不到坐立不安的程度,但心里总觉得有点不对劲。就像其他人所说的那样,自从她收留"虽然"那天起,就认为自己应该对那个孩子负责。柳芭是在一次反对驱逐贫困人群的游行中认识"虽然"的:当时,他就在她身边。柳芭一把拽住了他的手,又是高呼又是跑跳。然而他却似乎乐于听从柳芭的指挥。当游行的队伍散去以后,他便像一只急于找到收留者的迷路的小猫或小狗一样,始终跟在柳芭的身后,什么也不说,什么也不问。他跟着柳芭上了18路汽车,后来又上了57路。他没有买票——就像柳芭及许多人那样。接着,他跟着柳芭在一个位于巴尔卡区和贝尔托拉区中间的车站下了车。最后,当他们到达"斯基路"的破铁门前时,还是柳芭先开的口。

"你想怎么样?"

"虽然……"小伙子回答说。

"虽然什么?"

"没什么。"

这孩子一直不肯老老实实站着。他的身体不停摇摆,重心在两腿之间晃来晃去,看上去就像一只马戏团里的狗熊。

"你是从哪儿来的?"

"我们镇上。我是今天早上出发的。"

"你要到哪儿去?"

"不知道。"

"那你为什么要离开家?"

"我就是想离家出走,虽然……"

"虽然什么?"

"没什么。"

"我明白了。你肯定没想好今天在哪里过夜。"

"是的。"

"是的是什么意思?想好了,还是没想好?"

"没想好。"

柳芭忍不住笑出了声。眼前的这个大男孩是个四肢发达,头脑简单的家伙,鼻子上还挂着亮晶晶的鼻涕,简直就是个毛孩子。

"你就不能把鼻涕擤干净吗?"

"可以。可过一会儿还是会流,这是一种病。"

"那就把它治好。"

"得开刀。"

"那就开呗。"

"我怕。"

"你为什么要出走?"

"就是想。而且如果我出走,他们会很高兴的。虽然……"

"他们是指你的父母?"

"是的。"

"你可以睡在这里,今天晚上。"

"这里是哪里?"

"斯基路。"

"什么意思?"

"没什么意思,别管了。你到底愿不愿意睡在这里?"

"愿意。"

一切就这样开始了。"虽然"就这样成为了斯基路的固定住户。斯基路其实是一间大屋子:从前是一个农用车车库,位于一座曾经兴盛一时的牛奶场大院里。这间大屋子里的其他房客,也就是"律师"、纳比尔、瓦内莎和戈尔多不冷不热地接纳了"虽然"。对于这个小伙子,他们没有表示出任何兴趣和好奇,几乎到了视而不见的程度,仿佛他只是一堵脱皮的墙、一把断腿的椅子或一张草席而已。只有柳芭把"虽然"放在心上,时常跟他说说话。此刻,她正为他担心,这孩子说不定是再次出走了,可这会儿正是严冬。

对于有地方可以栖身的人来说,冬天是都灵最美的时节。在这个季节里,所有的颜色都显得格外纯净,颇具北欧风格,广场也看上去也尤为空旷。拱廊投射出冷冷的影子,将石子路分割成一片片独立的区域,各自呈现出不同的景观和图案。相反,夏天则是一个奇异的季节,它会让整座城市沉浸在东方式的浮华和土耳其式的庸懒之中:街道上几乎空无一人,商店低悬的卷帘犹如因困倦而半闭的眼皮,还有路边的植物——椴树、长角果树、七叶树、枫树、梧桐树——似乎都被那些在酷暑中一动不动的树叶拖累得无精打采。在烈日的拷打之下,行人们纷纷把脑袋埋到肩膀之间,谁也不敢抬眼欣赏那些隽刻着古老荣耀的石碑和古迹。

现在还是冬天,柳芭为"虽然"感到十分不安。谁知道这孩子又跑到哪里去了呢?他根本不会照顾自己,任何人都有可能欺骗他、伤害他。"看看你,傻不傻啊"她一边想一边用手理了理发梢,"你这样子就像一个大发慈悲的贵妇,一个打着帮助别人的旗号爱管闲事的人,都是些我平时看不上眼的家伙。"柳芭对着镜子耸了耸肩,往头发上抹了点发胶,出了门。屋外依旧天寒地冻。

"虽然"是很偶然地来到都灵的,之前没有进行任何计划。再说,这孩子也根本想不到"计划"这个词,以及其他的很多词汇。一天早晨,他说不舒服,肚子像有只大手在揪一样难受。于是,他没有起床,而他的父母也丢下他,独自出门了。他的父亲和母亲,以及两个兄弟:南多和彼得都在自家的工厂里工作。母亲只工作半天,中午回家。而父亲和两个兄弟则在工厂对面的小酒吧里吃两个火腿面包或一盘面条解决午餐,然后接着干活。那是一家小工厂,总共七个人,父子四个外加三个工人。他母亲不算,因为她只负责打扫卫生和接听电话。"虽然"算是一个劳动力,但许多时候,大家都当他不存在——比如那天早晨。然而那一天,他的确是离开了。父母出门以后,他立刻跳下了床,往书包里塞了点东西,随后擅自冒险跨上彼得的新自行车,一路蹬了十来公里,来到了维琴察。他是在头一天半夜里下定决心要离家出走的。当时,他突然被一辆在楼下刹车的大货车惊醒,之后就再也没有睡着。其实,若不是发生那件事情,他是断然不会想到要出走的。一年多以前的一天,总是很爱发火的哥哥南多曾经评价他说与其让他留在家里,还不如让他走了算了。听了这话,彼得和妈妈不仅没有维护自己,反而一边摇头一边附和道"说的没错。"只有父亲什么也没说。于是,他开始偶尔幻想假如自己走失,甚至是出走,将会有多么美妙。就像小的时候,他曾经跟着爸爸和哥哥们去采蘑菇,走着走着就跟家人走散了,怎么也找不到回到亲人身边或通往家的小路。那时,他并不感到害怕,只是觉得天越来越黑,又饿又困。于是他就在一棵栗树下睡着了,直到第二天一早,才被也来采蘑菇的贾科莫发现。起初,出走的想法只是一个闪念,仿佛其中的主角是某个他并不认识的人,或者说一个在电影或电视剧里离开家并且再也没能回去的角色。可就在那个被货车的刹车声惊醒的夜里,离家出走的想法却突然膨胀起来,占据了他头脑的每一个角落。到了维琴察之后,他从邮局帐户里取出了所有的存款。这让他足足等了半个小时——因为队伍排得很长,而工作人员又总是起身忙于料理其他的事务。当他从邮局出来的时候,忽然发现彼得的那辆新车不见了。一开始,他吓得直打哆嗦,直到后来,他才猛然意识到自己已经离家出走,再也不会被彼得看见了。他来到火车站,登上了第一列出发的火车。他没有买票,因为他根本说不清自己要去哪里。还好,车厢被一群远足的学生挤得水泄不通,检票员也没有来查票。他随着人流在米兰的中央火车站下了车,但面对熙熙攘攘的人群,他立刻感到脑袋生疼。于是,他离开了火车站,走了一段路,又上了一辆长途客车。车窗上写着目的地是都灵。他向驾驶员买了一张票,客车随后就出发了。

"虽然"到达都灵的时候,一群衣衫褴褛的年轻人正在大街上游行。有的人还牵着没戴保护口罩的大型犬,好在那些狗并不凶恶。那些人摇晃着红色和其他颜色的旗帜,边走边跳,拿着高音喇叭边走边喊。他们手牵着手,看上去并不愤怒,反倒十分抖擞。于是,"虽然"混进了游行的队伍。当一个年轻女孩拉住他的手时,他感到很有趣,同时也喜欢上了都灵这座城市。

 

"她死了有多久?"加埃塔诺·贝拉蒂警长问法医道。

"天气这么冷,尸体又处于这样的状态,很难说。不过时间一定不短,三四天吧。居然一直都没有人发现。"

与平常一样,尸体周围照例围着一群刑警和鉴定专家。除此之外,现场还有检察官以及一帮负责报道黑色新闻的记者和摄影师。出于职业习惯,他们朝尸体投去漠然的目光。天气很冷,大家都在跺脚取暖。

"一个妓女,至少可以换一换话题嘛。"一名《共和国报》的记者说。

"没错。如今这种暴力事件简直多如牛毛。"

"全球化的结果。妓女太多,竞争激烈,谨慎不足。"

"凶手也不一定就是嫖客。"

"你的意思是拉皮条的干的?倒也没准儿。这年头,连拉皮条的人也跟过去不一样了。"

"变天了。"

"都是原子弹惹的祸。"

"也可能是臭氧空洞。不过今年这么冷,想必是空洞又合上了吧。"

"好了,先别开玩笑。我说这个女人看上去年纪可不轻。"

"你怎么知道的?从她发型倒看不出来,这可怜的女人!"

"脚踝。你们看她的脚踝。"

"很粗。不过并不是所有人的脚踝都跟羚羊一样纤细的。"

"她的脚踝一个粗一个细,说明她曾经腓骨骨折,或者说她腓骨和胫骨的位置调整得不对。"

"所以说?"

"所以说她应该有些年纪。现在正骨的技术要好多了,除非给她治疗的是一个二把刀的矫形医生。"

"不过她可能不是本地人。也许她来自摩尔多瓦、乌克兰或是东边的其他国家。那里的医疗技术可没有意大利这么精细……"

"不太可能。从那里来的都是年轻货色,如果干的是这一行。至于那些年老色衰的,都去做保姆或护工了。这个女人穿的不像是护工,所以应该是本地妓女。"

上午十点,杜兰托街区,严寒依旧,大约只有零下六到七度。道路两侧种着梧桐和凌乱的灌木丛。铅灰色的天空下,覆盖着薄薄冰面的道路呈现出浓重的黑色。只有死者身上凝聚着一点亮色:她身上披着的那件外套,砖红色。不,是血红色。这个已经不再是青春妙龄的女子很可能是一名妓女,此刻,她是现场十几个人研究、分析及拍摄的对象,过一会儿,她可能还要被搬上解剖台开膛破肚——惨死,往往只是一个开始。

法医后撤了几步,点燃一支香烟。

"给我也来一根。"警长走到法医身边说。

"你不是戒了吗?"

"我是戒了。"

"还是离不开吧?"

"面对这种情况,的确离不开。"

"凶手是个恶棍。他的罪行还不止是谋杀。但愿你们能严惩凶手。"

"我也这么希望。不过要抓到他谈何容易。一点线索都没有,谋杀地点不在这里,时间也过得太久了。"

"好在没有人催你。毕竟,不是每桩命案都那么要紧的。"

"不过也有人说,冬奥会还没有开始,不能让任何一具尸体破坏节日气氛。"

"这是上头的命令?"

"应该说是上头的嘱咐。但杀人犯哪里会管这些?他们才不会在乎什么忠告,什么国家在全世界和电视镜头前的形象,也不会在乎一个生不如死的可怜女子的生命。"

"你遇到什么事了?说说。"

"没有,我什么事也没遇到。"

"看着可不像,别太在意了。行了,别抽了。"

"什么时候轮到你劝我了!你自己打算什么时候戒?"

"我可不戒。难道戒了抽,抽了戒是件好事?"

"不是。"

"就是说嘛!"

天色很黑,气温很低。这与所谓的温室效应及其他气候变暖预测形成了强烈的反差。"对于都灵来说,今年冬天可太冷了"卡米拉心想。即使是对于她这个喜欢都灵的悠长冬季的人来说,这个冬天也的确冷得有些过分。"也许伦佐说得对,我就不用去吊唁了,"卡米拉一边犹豫着,一边把羽绒服拉链使劲儿往上拉,"而且我应该穿一条长裤,而不是这条看起来很优雅的裙子,鬼知道我怎么偏偏就认定这条裙子比较适合那个场合呢?其实只要打个电话就够了,或者写封吊唁信也行。可妈妈她一定坚持让我去。之前,她非要参加那趟在这个季节里难得赶上的三周苏莲托超值之旅:乘坐大巴游览波西塔诺、庞贝、卡塞尔塔等城市;包食宿;晚上还在酒店组织舞会或桥牌比赛。她和她的表姐丽塔一块儿去的,虽说丽塔阿姨并不是最佳玩伴,但这样至少可以节省下一个人住单人房间的差价。结果妈妈刚出发三天,就在《新闻报》的黑色专栏里看到了卡门·斯派拉诺太太去世的消息。斯派拉诺太太是本内迪琴蒂先生的遗孀,从小就一直是妈妈的同桌,丈夫过世以后,她也时常陪妈妈看看电影。所以妈妈恳求我,甚至是命令我代表她前去吊唁斯派拉诺太太,并看望她的儿媳和孙子——尽管我之前从没见过他们。妈妈还严肃地派我去参加玫瑰经祷告式,因为我明天在学校有课,无法参加葬礼,而玫瑰经祷告式却是在今晚九点举行。然而,子女的顺从也是有限度的。再说我的车也坏了,正在修理。当伦佐到我家的时候,时间已经晚了,更何况他是特意推掉饭局来陪我的。于是,我没去参加葬礼,也没有参加玫瑰经祷告式。不过我倒是探访了斯派拉诺太太家。一束鲜花、几句表示悲痛的话语、几次握手、最后再瞻仰一下逝者的遗容:斯派拉诺太太的脸上流露出死人特有的僵硬、沉静和遥远。但我还是说她看上去更像是在安睡。她的儿媳点了点头:对于沉浸在悲伤之中的人来说,善意的谎言也算是良药和蜜糖。这种时候,还是不要实话实说为妙。"

为了驱散寒冷,她不由加快了步伐,转过了拐角。公交车站还在一百米之外。这是一条灯光昏暗的街道。没有一辆车开过,两侧的人行道上也见不到任何行人,给人一种隐约的不安全感。

大约半个多小时之后,她到家了,感到温暖而踏实。然而,当她往杯子里倒水时,手还是在剧烈地颤抖。

在斯基路,纳比尔正蜷在一床好几层的被子下酣睡,柳芭推门进了屋——身上弥漫着一股肾上腺素的味道——她开始高声责骂纳比尔和其他所有人。懒汉和无赖,男人都这样!当他们不犯混时,满嘴都是仁义道德,呼吁什么自由平等,没有剥削与被剥削的新世界。然而一到真正要出力的时候,却希望女人们来操持。比如面前的这个家伙……打从吃奶的时候就认为自己的小鸡鸡是至高无上的宝贝,就因为这个,女人们就必须对她必恭必敬……

柳芭用自己的雨靴踹了纳比尔两脚,又狠又准地踢到了他的小腿,就算是厚厚的被子也无法完全消除其疼痛。

"干嘛呢,白痴啊你?"

"你才是白痴,而且还是狗屎。我向来这么骂你!"

"凭什么?"

"因为你从来都听不进去规矩。假如你听进去了,就不会忘记。"

"什么规矩,你他妈的说什么呢?"

"规矩就是晚上第一个回来的人要把炉子点着。现在把你的软屁股抬起来,干活去!"

"你的屁股才软呢,我的可像大理石那么硬。怎么你就不能生一下炉子呢?"

"不行。既然有规矩,就要遵守。"

"这里可是无政府主义的地盘!"

"什么无政府主义的地盘!这里只有文蒂齐是无政府主义者。你赶紧给我起来,不然我再踹你两脚?"

纳比尔从一侧掀开被子,站起身来。开始第无数次反思目前的这种荒谬情形:有时,你明知对方有理,可你却宁愿疯狂地坚信真理在自己这边。

两只炉子都一次性生起来了,没有散发出太多的煤油味。柳芭拉过一把椅子,在较大的那只炉子旁坐下取暖。

"你今晚火气怎么这么大?"纳比尔问。

"我的事用不着你管。"

"那你怎么会这时候回来?"

"今天是星期一。"

"星期一怎么了?"

"星期一我不上班。你连这个也不记得吗?对了,你见过'虽然'没有?"

"没有。难不成你想跟他聊天了?"

"你真是个彻头彻尾的笨蛋。"

"兴许他找了个女朋友,也有可能是回家了。"

"不太可能。他的东西还在这里。"

"钱也在吗?"

"钱?这我倒没想过。"

"我还是个彻头彻尾的笨蛋吗?"

"不算,四分之三个吧。我去问问文迪齐。"

 

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