Rossoamaro
  2009-10-01 15:27:01  cri
Bruno Morchio

26

Due donne

Il giovane medico mi tallonò fino al capezzale di Jasmìne, trattandomi come se fossi un fragile vaso di porcellana. Sentivo la punta delle sue dita sfiorarmi il braccio con una delicatezza che finì per irritarmi. Mi guidava e insieme mi teneva incollato, dandomi la sensazione di avere un insetto vischioso che mi camminava addosso. Non dissi niente, sperando che una volta nella stanza ci avrebbe lasciati soli.

«Può parlare?» domandai.

«Certo che può parlare», rispose.

Spalancò la porta e mi introdusse nella camera. Rimase sulla soglia e guardandomi di traverso disse: «Le concedo dieci minuti. La paziente non deve stancarsi.» Al mio cenno di assenso richiuse la porta e sparì. Avvertii il forte odore di medicinali che impregnava l'aria, del quale nelle visite precedenti non mi ero accorto.

Jasmìne, investita dal tripudio di luce che irrompeva dall'ampia vetrata della finestra, teneva gli occhi aperti e mi guardava, le braccia immobili distese lungo il corpo. Il candore del lenzuolo, ravvivato dal riverbero del sole di mezzogiorno, faceva le lunghe braccia magre ancora più scure. Dietro la schiena le avevano sistemato due cuscini che la tenevano leggermente sollevata. Taceva e continuava a fissarmi, quasi volesse strapparmi un segreto.

Afferrai una sedia di metallo e mi sistemai al suo fianco.

«Ciao, Jasmìne», sussurrai.

Rispose sbattendo le palpebre e accennando un sorriso. Mi aveva riconosciuto.

«È tutto finito», aggiunsi. «I medici dicono che tornerai quella di prima.»

Sorrise ancora, socchiudendo le labbra e lasciando trasparire i denti, regolari e bianchi come neve. Il suo viso esprimeva perplessità e felicità, come quello di un bambino che, dopo una brutta avventura, si ritrovi in braccio ai genitori. Lei era orfana, non aveva un padre e una madre che potessero consolarla, ma in un colpo solo aveva fatto rinculare la morte e riguadagnato l'integrità delle proprie funzioni.

«Ho appena concluso una strana indagine», aggiunsi. «In tasca mi è rimasto un assegno di quarantamila euro con cui potrai cominciare da capo. Adesso non devi più avere paura.»

Sorrise per la terza volta, ma continuava a tacere. Temetti che parlare le riuscisse difficile.

Allungai la mano la posai leggera sopra la sua, emulo del tocco da pianista del giovane medico che mi aveva accompagnato. Jasmìne lasciò correre lo sguardo verso il basso, sulle nostre mani, poi lo sollevò fino a incontrare i miei occhi. I suoi, adombrati dalle lunghe ciglia nere, brillavano, rivelando un confuso tumulto di sentimenti. Forse esprimevano gratitudine, o affetto, o piuttosto solo incredulità.

«È stata davvero un'indagine strana», continuai. «Vuoi che ti racconti?»

Annuì sbattendo le palpebre e muovendo appena la testa, costretta dal bendaggio che avvolgeva il capo e il collo.

«Un tedesco mi ha affidato l'incarico di ritrovare suo fratello», dissi. «Il padre era un ufficiale della Wermacht e fu ucciso durante la guerra. Ebbe una relazione con una giovane italiana che rimase incinta e, dopo avere partorito, abbandonò il figlio. Il mio cliente è cresciuto a Colonia, nella casa degli zii paterni. Dopo la liberazione dell'Italia sua madre si è sposata con il fidanzato, un partigiano molto coraggioso, e dal matrimonio è nato un secondo figlio. Il tedesco mi ha dato quarantamila euro per scoprire chi fosse.»

«E tu?» riuscì a chiedere con uno sforzo.

«Ho fatto il mio lavoro e l'ho trovato», risposi.

«Come sempre», disse sorridendo ancora, con una punta di ironia.

La voce usciva con fatica, leggermente strascicata e rauca. Pareva avere difficoltà ad articolare i suoni, anche se la sua pronuncia francese restava inconfondibile.

Chiese da bere. Sul comodino c'erano una bottiglia di acqua minerale e un bicchiere vuoto. Versai l'acqua e le portai il bicchiere alle labbra, con delicatezza. Bevve qualche sorso e con la mano mi fece segno che bastava così. Mentre con il fazzoletto le asciugavo la bocca e il mento chiese: «Perché lo cercava, dopo tanto tempo?»

«Voleva vendicarsi. È molto malato e, prima di morire, si è fatto un punto d'onore di ripagare il fratellastro del male che ha subito.» Rimasi in silenzio per qualche secondo, poi aggiunsi: «Anche se ho l'impressione che adesso veda le cose in un altro modo. Quando se n'è andato mi è sembrato pieno di confusione e, forse, alla rabbia si sono sostituiti rimorsi e rimpianti.»

Mi scrutò e la sua espressione si fece preoccupata. «E tu?» ripeté.

«Io cosa?»

«Come stai?»

«Sto bene», risposi poco convinto.

«Così hai scoperto di avere un fratello», disse a bruciapelo.

Quella frase mi lasciò senza parole. «Come…?»

Prese fiato e si sforzò di spiegare: «Sei stato tu a parlare di indagine strana. E poi quarantamila euro sono troppi. Noi puttane siamo pratiche di tariffe.»

«Davvero era così facile?» chiesi tra sorpreso e divertito.

«Basci», concluse con un sorriso dolce, caldo, dove palpitava una smisurata tenerezza. «Dovresti vederti che faccia hai.»

Chiuse gli occhi e tirò un respiro profondo. Il medico aveva ragione, parlare la stancava. Rimanemmo così per qualche tempo, vicini, tranquilli, senza dire una parola.

A un certo punto ruppe il silenzio e domandò: «Come si chiamava?»

«Il tedesco?»

«Tua madre.»

«Tilde», mi uscì detto senza pensare. Quella risposta mi sorprese. Per me lei era sempre stata Anna.

«Anche lei era una…» non trovava la parola.

«Prostituta?»

Ebbe quasi un sussulto e la bocca si piegò in una smorfia, un misto di stupore e sorriso. «No», si affrettò a dire. «Una come tuo padre.»

«Partigiana?»

Annuì sbattendo le ciglia e, tendendo la mano, mi invitò a intrecciare la mia nella sua. La accontentai e risposi: «Sì, teneva i collegamenti tra i gruppi armati della Resistenza. Fu catturata dai tedeschi e in quell'occasione conobbe l'ufficiale.»

«Non conosco la vostra storia», riprese. «So soltanto chi erano i nazisti e immagino che i partigiani erano i loro nemici.»

Confermai, ma non capivo dove volesse arrivare.

«Anche da noi c'è la guerra, ma è differente», continuò cominciando a respirare a fatica. Volevo interromperla, ma non me ne dette il tempo. «È difficile capire chi combatte dalla parte giusta.»

«Loro non avevano dubbi», affermai. «Combattevano per liberare l'Italia.»

«Allora non l'ha fatto solo per sopravvivere», disse.

«Credo di no», replicai, per quanto sapessi che una risposta ultimativa non l'avrei mai trovata. «Perché dici questo?»

«Così», rispose con un sorriso amaro. Poi si scosse, avverti la stretta della sua mano farsi più forte e, cambiando tono, aggiunse: «Basci, non dovresti fare quella faccia. Tu sei un uomo fortunato, loro ti hanno lasciato qualcosa.»

In quel momento la porta si aprì e sull'uscio comparve il giovane medico. Il nostro tempo era finito, ma ora potevamo separarci senza disperazione perché sapevamo che la vita avrebbe ripreso il suo corso e non sarebbero mancate le occasioni per rabberciare le nostre ferite. A modo nostro, come saremmo stati capaci e fino al punto in cui questo sarebbe stato possibile.

 

《血色残酷》

(意)布鲁诺·莫尔齐奥

李婧敬 

 

 

26   

两个女人

 

那个年轻医生一直寸步不离地紧跟着我,就像看护一只易碎的瓷瓶一般把我送到杰丝敏的病床前。我感到他的指尖若有若无地触碰到我的手臂,令我浑身难受。他一路领着我,紧贴着我的身体,那感觉就好比一条黏糊糊的虫子在身上爬来爬去。我什么也没说,暗自希望他能同意让我俩在病房里单独待上一会儿。

"她可以说话吗?"我问。

"当然可以。"

医生推开房门,把我引入病房。随后,他站在门口,瞥了我一眼说:"我给您十分钟时间。病人不能太劳累。"看到我点头同意之后,他关上房门,消失了。我突然闻到空气中弥漫着浓郁的消毒水味儿——在之前几次探视时,我对这种气味完全没有察觉。

阳光透过大幅的玻璃窗涌入房间,照射在杰丝敏身上。她睁开眼睛看着我,胳膊一动不动地搁在身体两侧。在正午阳光的映衬下,床单显得愈发洁白,而她那瘦长的胳膊则显得更加黝黑。她的背后垫着两个枕头,这使她能够微微坐起。杰丝敏一言不发,继续盯着我,仿佛要从我这儿揪出什么秘密。

我拿过一把金属椅子,在她身边坐了下来。

"你好,杰丝敏。"我小声说。

她眨了眨眼皮,露出一个微笑,算是回应。她认出我了。

"一切都结束了,"我继续说,"医生们说你会恢复得跟以前一样。"

杰丝敏再次微笑起来,半开的嘴唇间露出一排雪白整齐的牙齿。她的脸上写着疑惑而幸福的神情,就像一个孩子在历经危险之后又一次回到父母的怀抱里。杰丝敏是个孤儿,无法享受父母的呵护,但她却在一瞬间击退了死亡,保存了自己的生命。

"我刚刚结束一奇怪的案子,"我告诉她,"我口袋里有一张四万欧元的支票。有了它,你完全可以重新开始生活。从现在开始,你不用再害怕了。"

杰丝敏第三次露出微笑,却还是一句话也不说。我猜想一定是她目前的身体状况导致她说话有困难。

我伸出手,轻轻地搭在她的手上,动作如钢琴师抚琴般柔缓,让我想起刚才陪我进病房的那个年轻医生触碰我身体的感觉。杰丝敏的目光迅速下移,落在我们交错的手上。随后她又抬起头,我俩四目相对。她的双眼在细长黑亮的睫毛下闪动,流露出一股错综复杂的情感:也许是感激,也许是亲近,但更多的却是一种怀疑。

"那个案子的确非常奇怪,"我继续向她解释道,"想听我跟你说说吗?"

她眨了眨眼,微微动了动脑袋,表示同意。紧紧缠绕在头部和颈部的绷带限制了她身体运动的幅度。

"有一个德国人,委托我寻找他的弟弟,"我说,"他父亲是德意志国防军军官,死于二战。他父亲生前曾与一个意大利女人有过一段感情,并且有了他。但当他生下来之后,他母亲就撇下他,独自离开了。他,也就是我的这个客户,在德国科隆的叔叔家长大。据说意大利解放之后,他母亲与一个十分英勇的意大利反抗运动游击队战士结了婚,并生下了第二个儿子。这个德国人给我四万欧元就是为了找到他的这个弟弟。"

"那你呢?"杰丝敏吃力地问我道。

"我完成了我的工作,把人找到了。"

"收人钱财,与人消灾。"杰丝敏的嘴角依然挂着微笑,却多了一丝嘲讽。

她说话很费劲,断断续续,嗓音也有些嘶哑。看样子她控制声音还很吃力,但她那浓重的法语口音依然很明显。

她想喝水。床头柜上摆着一瓶矿泉水和一只空杯子。我往杯子里倒了点水,轻轻送到她的唇边。她稍微抿了几口,抬手示意我喝够了。当我用纸巾擦拭她的嘴唇和下巴时,她问我道:"事情过了这么久,他为什么要找那个人呢?"

"他想报复。这个德国人已经病入膏肓了,他想在临死之前完成一件大事——报复他那个同母异父的弟弟,以平息他曾经遭受的痛苦。"我停了几秒,继续说,"不过我觉得他现在的想法可能已经有所改变了。当他离开的时候,我感到他内心很困惑,也许他的愤怒已经变成了愧疚和遗憾。"

杰丝敏看着我,脸上浮现出一丝担忧。"那你呢?"她再次问道。

"我什么?"

"你怎么样?"

"还好。"我的语气并不是那么肯定。

"突然多了个哥哥,有什么感觉?"杰丝敏直击要害。

我无言以对。"你怎么会……?"

杰丝敏深吸一口气,努力解释道:"是你自己告诉我这个案子很奇怪的。而且四万欧元的确是太多了。我们做皮肉生意的,懂行情。"

"真的这么容易猜到?"我有点惊讶,又有点半开玩笑地问她道。

"巴希,"她甜美地笑了笑,展露出无限柔情。"看看你的表情就知道了!"杰丝敏闭上眼睛,长长地舒了一口气。医生说得没错,说话是会让她疲劳的。我们就这样待了好一会儿,紧挨着,静静地,一句话也没有说。

忽然,她打破了沉默,问我道:"她叫什么名字?"

"那个德国人?"

"你妈。"

"蒂尔德,"我不假思索地说出了母亲的名字。这个回答让我自己也吃了一惊。在我看来,她始终还是安娜。

"她也是……"杰丝敏一时找不到合适的词语。

"妓女?"

她几乎打了个激灵,撇了撇嘴角,露出一个介于惊讶与微笑之间的复杂表情。"不,"她连忙纠正道,"一个像你爸那样的人。"

"游击队员?"

她眨眼称是,并示意让我握紧她的手。我照做了,然后回答她说:"是的,她负责好几个武装抵抗组织之间的联系。后来,她被德国人俘虏,并在那时认识了那个德国军官。"

"我不清楚你们的故事,"杰丝敏继续说,"我只知道他们是纳粹分子,而那些游击队员应该是跟他们对着干的。"

我告诉她说得没错,但我却不明白她究竟想跟我说什么。

"在我们国家也发生过战争,不过不一样,"杰丝敏说着,再次开始费力地呼吸。我本想打断她,可她却没有给我时间:"很难弄清楚到底哪方才是正义的。"

"那些游击队员很清楚,"我向她证实道,"他们知道自己是为了解放意大利而战。"

"这么说他们并不只是为了活命才打仗的。"

"我想是的。"我知道自己永远也找不到一个绝对明确的答案,只是问她道:"为什么要说这个?"

"原来是这样。"杰丝敏说着苦笑了一下。随后,她忽然激动起来。我发觉我们的双手握得越来越紧。她换了种声调,鼓励我说:"巴希,你不该这么哭丧着脸。你很幸运,他们给你留下了的很多。"

就在这时,病房门打开了,那个年轻医生出现在门口。我和杰丝敏独处的时间结束了。但此刻,我们再也不用绝望地彼此分离,因为我们都清楚地知道生活之路依然会继续下去,我们有的是机会来医治自己的创伤:用我们自己的方式,就像我们以前曾经做到的那样,一直到痊愈的那一天。

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