Appena entrate nell'Ambasciata d'Italia a Pechino, abbiamo incontrato un uomo e una donna che stavano chiacchierando. Ci siamo salutati e io e la mia collega Giulia siamo entrate direttamente dentro. Quell'uomo mi sembrava un po' familiare. La signora ci ha fermato e dopo aver chiarito l'intento della nostra visita, abbiamo saputo che il signore accanto a noi era proprio il nostro intervistato.
—— il musicista Marco Cappelli.
Gli artisti non si pongono vincoli, e hanno un carattere spontaneo, quindi la nostra intervista è risultata molto naturale. Lui non sembrava volere accettare un'intervista condotta in modo serio o formale. Si impegnava nell'accordare gli strumenti musicali, che mi sono sembrati strani, in quanto non erano strumenti normali. Perciò, ho dovuto condurre l'intervista sottoforma di chiacchierata informale. Ovviamente, non ho potuto leggere le domande l'una dopo l'altra. Di fronte a un artista, è impossibile giocare le carte in ordine! Ma lui è stato molto accomodante, e anche se a causa della macanza d'esperienza, a volte abbiamo fatto delle domande di cattiva qualità, lui le ha risposte tutte in modo dettagliato.
Marco Cappelli è da anni protagonista di un singolare percorso artistico, che lo vede passare con disinvoltura dall'esecuzione della scrittura musicale più rigorosa alla pratica dell'improvvisazione. Con un'attività concertistica dal respiro internazionale e trasversale che comprendono la musica classica e contemporanea e i festival di jazz e d'improvvisazione.
L'intervista
Lei preferisce più la musica classica o d'improvvisazione?
Non ho preferenze. Ho una formazione classica, non jazziztica. Ma a New York, dove vivo da dieci anni, e anche in italia ho sempre suonato molta musica contemporanea, perciò ho perso l'abitudine di fare una differenza tra musica classica e d'improvvisazione.
Secondo Lei, quali sono gli ingredienti più importanti per fare musica d'improvvisazione?
L'ascolto, una qualità che a molti musicisti di musica classica, a molti studenti di conservatorio manca parecchio: sono spesso troppo presi dal tecnicismo per ascoltare.
Lei è di Napoli, come Le sembra il folk napoletano, che è così famoso nel mondo?
Dipende. Esiste una tradizione molto nobile del folk, che però è stata resa oleografica, turistica: cioè Napoli, la pizza, il mandolino... E' come l'Opera di Pechino, è una cosa bellissima, ma che essendo diventata poi una cosa per turisti, viene sminuita un po'; però è una cosa con una grandissima dignità di tradizione. Per cui diciamo che quella parte non mi interessa molto. Però ho lavorato molto sulla musica della tradizione popolare, e li c'è un forte legame con l'improvvisazione, cioè la musica che si suona nelle feste è sostanzialmente una musica da trans. Infatti anni fa ho fatto un disco don un gruppo newyorkese tutto basato su quest'idea, ispirato al free jazz nero della fine degli anni '60.
Dunque nella musica tradizionale popolare vi è un collegamento tra la musica classica e di sperimentazione?
Si, ma in fondo la musica di sperimentazione non è una cosa così innovativa, in fondo l'hanno fatto tutti nella storia, anche quello che oggi viene considerata musica classica, nel momento in cui nasceva veniva considerata un'opera sperimentale, basti pensare a Beethoven, che magari non piaceva molto ai suoi contemporanei; specialmente quando diventò sordo scrisse infatti della musica molto ostica per il pubblico a lui contemporaneo , come la Fuga del Quartetto Opera 131, la Sonata Opera 111 per il pianoforte: insomma delle pagine che oggi si chiamano di musica classica ma che quando sono nate erano musica cosiddetta sperimentale.
Ho visto su internet un video in cui lei ha suonato un brano di un artista giapponese, Otomo Yoshihide.
Quello fa parte di un ciclo di commissioni che feci appena arrivato a New York; chiesi a una serie di musicisti legato con questa scena newyorkese molto interessante, che poi i critici hanno chiamato downtown music. Contattai 10 artisti legati a quest ambiente e chiesi loro di scrivere dieci pezzi per chitara dedicati a me, che poi ho inciso in un disco. Il disco che presento oggi è edito da una casa discografica che è stata fondata a New York, da un musicista molto importante che ha lavorato molto fra Giappone e Stati Uniti, John Zorn, e che è dedita a produrre la musica di sperimentazione, diventando per questo un caso mondiale. Lo stesso Otomo Yoshihide faceva parte di un gruppo di artisti che gravitava intorno a questa casa discografica.
Come le sembra la musica orientale?
Guarda, non vedo l'ora di capirne di più perché mi attira moltissimo. Sarei felice di poter rimanere a Pechino più tempo, qualche mese, perché mi sembra una scena molto viva artisticamente, sotto tutti i punti di vista.
Ha ascoltato l'Opera di Pechino?
Si, ieri, in un teatro che si trovava dentro a un albergo. E' la prima volta che l ho vista ed era molto bello, ma ho l'impressione che fosse un po' per turisti e sarei molto curioso di vedere l'Opera vera.
Perché ha scelto di suonare la chitarra?
Perché sono un cretino, se avessi scelto qualcos'altro sarei molto più ricco, dato che la chitarra è uno strumento che suona tantissima gente! No, in realtà è stato un caso: ho iniziato tardi a fare il musicista, e dunque ho scelto la chitarra perché l'avevo già suonata da piccolo. La chitarra è bellissima, solo che è uno strumento un po' difficile dal punto di vista professionale: c'è una competizione "sanguinosa" perché ci sono troppi chitarristi! E allora è meglio scegliere gli strumenti meno suonati La chitarra mi incuriosisce perchè, essendo uno strumento con molta tradizione, in parte un po' noiosa, c'è molta tendenza a sperimentare, mentre con altri strumenti succede meno perché la tradizione è in sè più interessante, e questo mi piace molto: la chitarra si presta molto a cercare sonorità nuove a strane. Comunque, suono la chitarra perché mi è capitato, ma avrei potato suonare anche un altro strumento: quello che mi interessa è la musica.
E' anche difficile trovare una denominazione per la musica contemporanea: musica composta oggi da compositori che riflettono sul linguaggio musicale.
E lo strumento che suonerà stasera è una chitarra particolare?
Si, è un modello di chitarra che esiste solo in due copie al mondo. E' stata creata dal direttore musicale del famoso gruppo Paul Simon & Garfunkel.
Cosa ne pensa dell'evento di stasera, in cui Lei accompagnerà con la musica la lettura di alcuni brani tratti dai libri gialli di Maurizio de Giovanni?
La musica che suonerò stasera non è descrittiva, non sto descrivendo gli anni '30 ( periodo in cui sono ambientati i romanzi da cui sono stati tratti i brani letti) o Napoli, ma è una musica ispirata alla psicologia dei personaggi sei brani. Io e altri due musicisti, che ho incontrato solo pochi giorni fa qui a Pechino e con cui non ho mai suonato insieme prima, improvviseremo dei brani , accompagnando così la lettura. La temperatura emozionale dei gialli è molto alta, per cui i gialli si prestano moltissimo all'improvvisazione musicale. C'è infatti tutto un filone interessantissimo del cinema, che è quello della musica dei thriller, ed è una musica con caratteristiche molto specifiche, perché si basano proprio sull'idea di creare delle pitture sonore che dipingono l'ansia o la paura. Per cui penso che l'idea di suonare pensando alle letture di Maurizio sia molto stimolante: c'è infatti un forte legame tra il giallo e il jazz, si pensi infatti ai film di Hitchcock, alla suspense di certi intrecci che lui scriveva. Se Maurizio fosse stato un autore di un altro genere letterario forse non ci sarebbe venuta l'idea di suonare con una lettura.