Via Gemito (Domenico Starnone)
  2011-10-05 21:21:17  cri

Domenico Starnone

Via Gemito

 

…Ma mia madre a casa non ci voleva stare, specialmente in quell'occasione. Aveva trentaquattro anni, quattro figli, erano sposati da tredici anni. Orfana di padre, aveva fatto la guantaia fin da bambina ("Sai fare la guantaia? E fa' la guantaia! Che capisci di pittura?") A cinque anni il suo lavoro era pescare i fili di cotone che le rivettature decorative lasciavano nella parte interna dei guanti e arrotolarli in modo da tenere la cucitura esterna ben bloccata, cosa che le spezzava le unghie e le scorticava i polpastrelli. Con lui, malgrado le chiacchiere, le cose non erano cambiate molto. Ma pazienza: c'erano lati suoi brutti e altri che continuavano ad attrarla. Fantasioso, sfottente, pazzo com'era, le era piaciuto subito, già nel tiepido pomeriggio del '38 in cui la fermò per strada. Permette, signorina. Era diverso da tutti, nei gesti, nei toni della voce. Non assomigliava a suo fratello Peppino, agli amici di suo fratello, agli uomini delle sorelle di sua madre; non assomigliava a nessuno.

Lui l'aveva adocchiata mentre parlava del più e del meno con certi amici, operai del Deposito. Uno sguardo si sente. L'aveva vista dall'alto, dal ponte dello Smistamento, mentre lei avanzava per lo stradone polveroso e alle spalle aveva il riverbero celeste della Marina. Non si era potuto trattenere, le era piombato addosso come un falco, lui stesso nel rievocare l'incontro con toni nostalgici si paragonava a quel volatile. Era bella, forse meno bella di adesso, a trentaquattro annni: allora ne aveva diciassette, i capelli neri sciolti, un viso da orientale, la gonna rosa tutta a pieghe oscillanti sulle caviglie ben fatte e una camicetta chiara sotto un bolerino.

Signorina, permette signorina. Lui rideva, si vantava, smaniava. Lei zitta, camminava spedita guardando diritto davanti a sé, salvo qualche occhiata in tralice, ironica, per valutare quello sconosciuto. Era tutto vestito di nero, la fronte troppo alta, portava i baffi, sembrava vecchio. A un certo punto gliel'aveva pure detto per scoraggiarlo: "Voi siete troppo vecchio per me". Ma lui aveva chiarito, un po' urtato, un po' avvilito, che aveva ventun anni: era l'abito che lo faceva vecchio, forse la fatica, forse i baffi.

Solo allora si era accorta che le piaceva. Chissà perché ne era stata attratta, sono cose misteriose che non si possono spiegare. Forse perché lui si comportava come se fosse il figlio di un re che per ragioni sue segrete si era travestito da operaio aggiustatore elettricista. Forse perché tirava fuori un foglio, una matita e la rifaceva identica, bocca socchiusa per lo stupore. Ad ogni modo ci si era fidanzata in casa, contenta per la fortura che le era toccata, un uomo che la sapeva tenere allegra, parlava e parlava, mai un silenzio. Senza contare che aveva uno stipendio fisso. Obiettivamente cosa poteva sperare di più?

Ma ora, nel giugno del 1955, ecco che lui all'improvviso pareva prossimo a diventare proprio quello che da quindici anni giurava che sarebbe diventato, un artista di fama; e lei non voleva perdere l'occasione di essere in pubblico, al meglio, la moglie di un artista di fama. Perciò, mentre mio padre bestemmiava tutti i santi e tutte le madonne, smise gli abiti della madre di famiglia e tirò fuori dall'armadio le vesti che s'era cucita ora per il matrimonio di una cugina, ora per la cresima di una conoscente. Ne scelse una e in quattro e quattr'otto come sapeva fare lei, senza trucchi se non la crema nivea (lei pronunciava nivèa) e il rossetto, diventò di una bellezza che toglieva il respiro.

Lui bestemmiò ancora più forte. Sospetto, adesso, che odiasse quella bellezza speciale di sua moglie, perché appena ne avvertiva la potenza dietro i modi e le forme a cui era abituato sentiva la morsa dell'ansia. Era un'indefinibile caratteristica dell'organismo, una specie di segreto dei segreti che nessuno riesce a svelare e che perciò appassiona. Lei sola ne conosceva veramente la formula e la usava a sua discrezione. Rusinè sapeva ingrigire per mesi e poi guizzare all'improvviso come una saetta. In quell'occasione la rifinì, quella sua bellezza, con due pettini per fermare i capelli, pettini di elegante disegno a volute che mio padre le aveva regalato, e quindi gli annunciò in dialetto, parlavamo tutti soltanto in dialetto: "Sono pronta, Federì".

Pronta per cosa? 'A sfaccimm'e chi t'è muórt, Rusinè. Suo marito innanzitutto la umiliò definendola troppo impernacchiata, vocabolo che usava per le parenti neoricche di mia nonna quando mettevano cappellini piumati, tinta sulle guance, troppi ori: femmine sguaiate che si vestivano da pernacchie, credo che intendesse, donne volgari, scoregge della bocca. E poiché lei resistette e non cambiò niente del suo abbigliamento, volle per ripicca che anche mio fratello e io andassimo a goderci i suoi trionfi artistici. E si sarebbe tirato dietro anche gli altri due bambini se uno non fosse stato troppo vivace e l'altro non avesse avuto solo due anni. Ma cazzo, gli sarebbe piaciuto che venissero anche loro, e pure la nonna, tutti, una libera uscita generale, in modo da non farle dimenticare che il suo ruolo era di madre di figli e non di sciantosa come lei voleva sembrare per fargli fare figure di merda con gente che già lo considerava un intruso e ora, sera dietro sera, cercava in tutti i modi di fargli le scarpe. Che aveva fatto di male per meritarsi una donna così?

Non ricordo quasi niente di quella nostra visita alla mostra. Probabilmente calammo giù con la funicolare centrale, attraversammo via Toledo e andammo sotto i portici della Galleria Umberto, mio padre cinque passi avanti, truce, e noi tre dietro.

Rusinè non ha mai raccontato niente di quella volta e Federì, nel rievocare quel periodo, ha insistito sempre e soltanto sui torti che gli facevano, sui quadri che tuttavia vendeva, sulle recensioni buone e su quelle malvagie. La moglie, dalle sue memorie di quei giorni di giugno, era rigorosamente espulsa. Noi figli pure.

Compariva invece il costruttore La Padula, che a un certo punto entrava nella galleria San Carlo vestito con grande eleganza, pressato da una corte ossequiosa e famelica, e si innamorava subito del quadro intitolato Cantiere '54, tanto da decidere di farne dono al figlio prossimo alla laurea in architettura. Firmava perciò un assegno di centoventimila lire, due stipendi e mezzo da ferroviere. Lo firmava sotto gli occhi di tutti, anche sotto quelli del critico d'arte comunista Paolo Ricci. Una cifra che non saprò mai quanto fosse il frutto delle esagerazioni di mio padre, quanto una mossa ambigua del danaro, che proveniente a fiumi dalla fatica vera, dal suono reale dei battipali e degli elevatori sotto le nostre finestre, dalle colate dei silos di cemento, ora serviva ad acquistare con munificenza l'immagine dipinta di quel lavorio e appenderla come un trofeo nello studio di un architetto. Lui, il ferroviere-artista o l'artista-ferroviere o l'artista soltanto, intascò quella somma con la fierezza di chi può dimostrare di saper fare soldi meglio e più degnamente dei macellai, dei salumieri, dei pasticcieri, di tutti quelli che allora cominciavano ad arricchirsi sotto i suoi occhi ansiosi. Intanto ecco che andava incontro all'ingegnere Isabella, assessore all'edilizia, meno munifico del costruttore, meno sensibile alle betoniere e alle casseforme malgrado il suo ruolo politico, o forse proprio a causa di quello. L'ingegnere fu più impressionato da una Natura morta con pesci, che pretendeva di portare a casa non per cinquantamila lire (uno stipendio delle ferrovie), ma per quaranta (poco meno di uno stipendio delle ferrovie). E la trattativa stava andando avanti – mio padre: cinquanta; l'ingegnere: quaranta – e si stava quasi per venire a un accordo – quaranta, pazienza -, quando gli bastò girare lo sguardo e c'era lì al centro della sala Rusinè.

Non era sola né badava ai figli aggirandosi a disagio per la galleria. Aveva intorno un fitto sciame di pittori di merda, poeti analfabeti, critici d'arte incompetenti, e chi le diceva una cosa e chi un'altra, e lei rispondeva con toni squillanti o scoccava risate dai denti bianchissimi, gli occhi mobili e vivi di taglio orientale che proprio in quel momento lo stesso costruttore La Padula pareva apprezzare; senza pontare un poeta di mezza età che buttava lì frasi cadenzate di complimenti, quasi endecasillabi, diceva, e prometteva di farle omaggio d'un suo libro di versi con dedica personalizzata concludendo: "Verrò io stesso a casa vostra domani, cara signora, per farvene omaggio"; tanto che mia madre rispondeva con una smorfia di compiacimento: "Grazie"; ed era così splendente che persino l'ingegnere Isabella disse qualcosa su quella signora tanto piacente rivolgendosi a mio padre; ma mio padre non ebbe il tempo di ribattere perché a quel punto arrivò Chiancone (o Cucurra o altri: Federì metteva nomi secondo l'estro del momento), professore dell'Istituto d'arte e pittore, un tipo allampanato, il viso dell'itterico, che subito mise bocca nella trattativa; e l'ingegnere Isabella volle chiedergli: "Chiancone, secondo voi questa Natura morta con pesci le vale cinquantamila lire?"; e quello stronzo cosa rispose? Rispose: "Signor ingegnere, i gusti sono gusti, e uno può spendere quello che vuole per una cosa che gli piace, ma non sempre quello che piace è opera d'arte"; come a dire che la Natura morta con pesci non era opera d'arte; cazzo, non era opera d'arte? e opere d'arte allora erano le opere di merda di Chiancone? che si purgasse e cacasse tutta la bile e vomitasse tutto il suo fiele e andasse affanculo insieme all'ingegnere Isabella.

Mio padre, furibondo, interruppe la trattativa.

Qui c'è un vuoto. Poi tutto ricomincia quando sto a letto. Mio fratello dorme da piedi o finge di dormire. Su un lettino proprio accanto al mio c'è mia nonna col mio terzo fratello che ha sette anni. L'ultimo dorme nel letto dei miei genitori, che però non dormono. Sento le urla di mio padre, le frasi singhiozzate di mia madre, uno scalpiccio come di inseguimento, cose che cadono e si rompono. Dico preghiere che mia nonna mi ha insegnato da piccolo, l'Ave Maria per esempio. Recito mentalmente ma faccio in modo che la voce mi risuoni forte nella testa, più forte delle urla di mio padre. Accorgimento inutile. Penso allora che, preghiere o no, la Madonna, se esiste da qualche parte e ha un qualche potere, farà di tutto per impedirgli di uccidere mia madre. Dico perciò a fior di labbro, in dialetto, l'unica lingua che conosco bene: "Madonna mia, fallo smettere". Lo dico decine di volte, con molta concentrazione, come se l'iterazione potesse risultare più persuasiva. La Madonna però non fa niente. Allora cerco di vincere il terrore, mi alzo piano piano dal letto, vado alla porta, la socchiudo. Non so cosa fare. Ho dodici anni ma ho paura di mio padre. Non è una paura fisica, o comunque la paura fisica è quella che percepisco di meno, che ricordo di meno. È una paura d'altro genere. Temo di ritrovarmi vuoto di fronte a lui, senza ragioni che giudichi degne di opporsi alle sue, pura cassa di risonanza degli insulti che sta gridando, delle bestemmie. Temo, di conseguenza, che mi costringa ad ammettere che ha il diritto sacrosanto di uccidere mia madre. Temo di acconsentire. Sicché la paura è insopportabile…

杰米托路

——多米尼科•斯塔诺内

……但是,我母亲不愿意呆在家里,尤其是在那种情况下。她34岁了, 有四个孩子,结婚已经十三个年头。她没有父亲,从还是小女孩的时候,她就开始作手套工("你会做手套?那就做手套吧!你懂什么绘画?")5岁的时候,她的工作是将表面装饰性图案留在手套内部的棉线挑出来,然后再把它们缠好,以便缝在手套外边的图案能够结实。这个工作使她指甲破裂,手指肚也磨破了皮。和他在一起,尽管可以和他聊天,事情并没有改变很多。怎么办呢?耐心点吧,他的某些方面不太好,不过另外一些方面依旧吸引着她。他富于幻想,喜欢开玩笑。尽管他疯狂,母亲还是立刻就喜欢上了他,就在1938年那个温和的下午,当他在街上拦住她的去路,对她说"打扰了,小姐"的时候。他的举止和声调都与众不同,不像她的兄弟佩皮诺,不像她兄弟的朋友,也不像她母亲的姐妹们的男人。他不像任何人。

他是在和一些朋友,也就是仓库里的那些工人们谈天说地的时候发现她的。她也注意到了那个眼神。他是从高处的斯密斯塔蒙托桥上看到她的,当时她正走在尘土飞扬的大道上,背后的大海反射着蓝色的光。他无法控制自己,像一只鹰一样扑到了她身上:在用怀旧的腔调回忆那次的相遇时,父亲把自己比作了那种飞禽。她很美,或许没有现在美,现在她34岁。当时她只有17岁,留着散开的黑发,有一张像东方人一样的面孔,身上穿着满是闪闪发光的褶皱,一直垂到漂亮的脚踝的玫瑰色长裙,上身是一件浅色的小衬衣,外面配一件短上衣。

"小姐,打扰了小姐。"他一边笑着,一边吹嘘着,而且焦躁不安。她却保持沉默,敏捷地向前走,眼睛直直地注视着前方,只是偶尔斜眼望望他,带着讽刺的表情,心里掂量着那个陌生人:他周身穿着黑色的衣服,额头非常高,蓄着胡子,显得很老。某一刻,她甚至对他说:"对我来说您太老了。"为的是让他灰心。他有点不悦,也有点泄气,辩解说他只有21岁,是那身衣服让他显老,或者是因为劳累,也可能是因为留了胡子。

到了这个时候,她才发现自己喜欢那个人。谁知道她为什么会被他吸引,这种神秘的事情永远无法解释。或许因为他的举止就像是一位出于一些秘密的原因化装成电器修理工的王子。又或者是因为他拿出了一张纸,一支铅笔,给她画了一张栩栩如生的肖像,令她吃惊地半张着嘴。无论如何,他们在家里订了婚。她为自己的运气感到高兴:一个能够让她快乐的男人,总是在说呀说呀,从来不会沉默。这还不算他有一份固定的工资。客观地讲,她还想要什么呢?

可是现在,1955年6月,他仿佛突然将变成十五年以来他始终发誓要变成的人,一个著名的艺术家,而她也不愿意失去在公众面前尽可能好地扮演一个著名艺术家妻子的机会。因此,当我父亲辱骂所有的圣人和所有的圣母的时候,她脱去作为孩子母亲的衣服,从柜子里拿出有时是为了一个表姐的婚礼,有时又是为了出席一个熟人的坚信礼而准备的衣服。她从其中选了一件,不施脂粉,只是涂一些妮维雅面霜和一点口红,就立马儿变成了一个令人屏息静气的美人。

他骂得更凶了。现在,我怀疑他仇恨他的妻子那种独特的美貌,因为一旦他意识到他习以为常的那种举止和形式背后的威力,就会觉得焦虑在噬食着他。那是机体的一种难以捉摸的特征,一种任何人都无法揭开的超级秘密,因此才会令人着迷。只有她真正了解其中的窍门,并且谨慎地运用它。露西娜知道如何在几个月里灰头土脸,然后出其不意地如同闪电一样闪闪发亮。为了那个场合,她用两个小梳子卡住头发,梳子上绘制着螺旋形,非常优雅,是我父亲送给她的,这令她显得非常美丽。随后,她用方言——我们之间只说方言——对丈夫宣布:"我准备好了,费德利。"

准备好干什么了?我操你祖宗!露西娜。他丈夫先是侮辱她,称她打扮得花枝招展。这个说法是他用在形容我姥姥那些新近发财的亲戚的,她们戴着有羽毛的小帽子,两腮涂着胭脂,全身金光闪闪。我想他要说的是穿着粗俗的女人,庸俗的女人,卖弄风骚的女人。由于她继续坚持着,而且对自己的着装不加任何修改,我父亲生气了,因此要把我和兄弟都带去享受他作为艺术家的胜利。而且,假如另外两个孩子不是一个过于活泼,另一个只有两岁,他还要把他们也带上。可是,他妈的,他甚至会愿意他们也跟着来,还有姥姥,所有人,大家一起出门,以便使她记起自己作为孩子们母亲的角色,而不是一个女歌手,就好像她希望表现的那样,使他在那些已经把他当作外人看待的人们面前丢脸。现在,一个又一个晚上,她试着用各种方式给他穿小鞋。他到底做了什么错事,要摊上这么个女人?

对于我们那次参观画展,我几乎什么也不记得了。可能我们是从中央缆车下去,然后经过托雷多街,再从翁贝托一世长廊的拱廊下走过。我父亲恶狠狠地走在前面五步远的地方,我们三个跟在他的身后。

对于那次的事情,露西娜从来没有说过什么,而费德利在讲到那个时期的时候,总是而且仅仅在重复那些人的错误,还有就是尽管评价有好有坏,他的画都在卖。在他对六月那些日子的记忆中,妻子完全被排除在外。我们这些孩子也是。

可是,拉帕卢德建筑师却在他的记忆中出现了。在某个时刻,他在一些尾随其后的恭敬而又贪婪的人敦促下,衣着非常优雅地走进圣卡尔洛画廊。他立刻喜欢上了叫做《1954年的工地》的那幅画,于是决定要把它买下来,当做礼物送给即将在建筑专业毕业的儿子。工程师于是签了一张120,000里拉的支票,那是一个铁路工人两个半月的工资。他在所有人的注视下签了支票,其中就包括共产党艺术评论家保罗•里奇。我永远不会知道这个数字中有多少是我父亲的夸张,又有多少是金钱走出的模棱两可的一步棋,这些钱源源不断地来自真正辛勤的工作,来自我家窗户下面打桩机和升降机真实的声音,来自水泥砌成的仓库,目前又被用来大方地购买为那项工作绘制的形象,并且如同战利品一样挂在一位工程师的书房里。他,一个铁路工人——艺术家,或者艺术家——铁路工人,或者只是艺术家,带着一个知道如何比屠夫、猪肉食品商、甜点商人,以及所有当时开始在他焦虑的目光中致富的人更知道如何赚钱的人的骄傲,把那笔钱放到了口袋里。与此同时,他向着伊莎贝拉工程师,建筑助理迎上去。后者没有建筑师那样慷慨,尽管由于他的政治角色,或许正是因为这个,他对于混凝土搅拌机或者模具没有那么敏感。那幅《带鱼的静物画》给他的印象更深。他希望把它买回家,不过不是花5万里拉(铁路工人一个月的工资),而是4万(比铁路工人一个月的工资稍微少一点)。讨价还价在进行着,我父亲说:"5万",工程师说:"4万"。他们几乎都达成了协议:4万。忍耐点吧。这时,他只需转动一下目光,就看到露西娜站在大厅的中间。

她不是单独一人,也不去照顾在画廊里不安地到处转的孩子们。她的身边有一大群讨厌的画家,文盲诗人,无能的艺术评论家。这个人对她说点这个,那个又对她说点那个,她则用尖利的声音回答,或者发出大笑。她的牙齿非常白,那双东方式的眼睛滴溜溜乱转。恰恰是在那个时候,拉帕卢德建筑师本人好像也在欣赏那双眼睛。一个中年诗人甚至抛出一些具有节奏感的恭维的句子,几乎是一首十一音节诗。他声称而且发誓要送给她一本书,上面会有写给她本人的献词。最后,他说:"明天我会亲自到您家里去,亲爱的夫人,并给您送去这个礼物"。我母亲因此得意地做了一个的鬼脸,回答说:"谢谢"。她是如此光彩照人,甚至连伊莎贝拉工程师也对我父亲说:"那位夫人多么可爱呀。"我父亲正要反驳,基扬科内却正好在那个时候走了过来(要么是库库拉,或者是别的什么人,费德利说一个名字都是按照当时的兴致),他是艺术与画家学院的教授,是一个瘦高的家伙,面孔像黄疸病人一样。他立刻加入了关于价格的讨论。亚莎贝拉工程师向他咨询说:"基扬科内,据您看,这幅《带鱼的静物画》值5万里拉吗?"那个狗屎,他怎么回答?他回答说:"工程师先生,品味就是品味。一个人可以为一个他喜欢的东西花钱,不过,喜欢的东西并不总是艺术品";就好像在说《带鱼的静物画》不是艺术品。他妈的,它不是艺术品吗?那么基扬科内的那些讨厌的作品就是艺术品?但愿他拉肚子,把胆汁都拉出来,把胆汁都吐出来。让他和那个工程师一起见鬼去吧。

我父亲勃然大怒,终止了洽谈。

这里出现了一个空白。然后,一切都从我躺在床上重新开始。我弟弟要么是站着睡着了,要么是在装睡。就在我的床铺旁边有一张小床,上面躺着我姥姥和我7岁的三弟。最小的弟弟睡在我父母的床上,不过他们并没有睡觉。我听见父亲的吼叫声,母亲抽抽嗒嗒的说话声,好像是追赶时发出的顿足声;一些东西掉在地上,然后摔碎了。我默念着小时候姥姥教的祈祷词,比如"圣母玛利亚"。我在脑子里朗诵着,以便让声音在我的脑袋里有力地回响,比我父亲的吼叫还要响亮。这个办法无效。于是,我想,不论是不是祈祷,假如某个地方真的有圣母,而且具有某种威力,她会尽一切努力不让父亲杀了我母亲。所以,我轻声地用方言说着唯一一种我理解的语言:"我的圣母,让他停下来。"我非常专心地说了几十遍,好像重复可以使它更加有说服力。不过,圣母什么也没有做。于是,我开始试着战胜恐惧。我慢慢从床上站起来,走到门边,把它打开一半。我不知道该怎么做。当时我12岁,不过我害怕我父亲。那不是一种身体上的恐惧,或者说对于身体上的恐惧我的感觉比较少,记忆也比较少。那是另外一种恐惧。我害怕自己大脑空荡荡地站在他面前,没有理由反对他那些亵渎神明的话,那些话与他的谩骂其实同出一辙。所以,我害怕他强迫我承认他有神圣的权利杀死我的母亲。我害怕同意他的说法。因此,这种恐惧变得无法承受……

(魏怡 译)

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