La lunga attesa dell'angelo (Melania Mazzucco)
  2011-10-05 21:18:25  cri
La lunga attesa dell'angelo

Melania Mazzucco

Tre giorni dopo la peste venne a prendersi la mia scintilla. Aveva ventidue anni. Era nel fiore della vita. Il suo futuro un frutto succoso e maturo che doveva solo cogliere. Era la fine di settembre. L'arrivo dell'autunno non aveva stroncato il contagio che, anzi, infuriava. Sull'altana, Marietta ritirava i panni stesi ad asciugare perchè il cielo si era annuvolato, già tuonava sopra Murano e la pioggia era imminente. All'improvviso impalidì, si appoggiò alla balaustra e svenne. Dominico corse a chiamarmi. Ci abbracciammo, affranti.

Eravamo rimasti in città troppo a lungo, e la colpa di questo ritardo era mia. Li avevo sacrificati sull'altare di una dea gelosa e spietata – che forse era Venezia, o forse invece la pittura. Ora non ci restava che ammalarci uno dopo l'altro. Soffrire dolori atroci nel corpo e nello spirito , essere ispezionati, palpati e marchiati da falsi medici brutali e incapaci di salvarci – la nostra carne incisa coi coltelli, le nostre ferite cauterizzate col ferro infuocato e col verderame. Essere isolati, sequestrati, umiliati. Divenire oggetto di terrore ed esecrazione – la pietà era scomparsa da mesi. Essere oltraggiati dalle ingiurie dei monatti e perfino dai loro corpi

, e languire in quattro per letto sui lerci materassi del lazzaretto, tra le grida degli ammalati che nessuno veniva a curare e le bestemmie delle prostitute costrette ad assisterli, per l'iniqua disposizione delle autorità. E poi assassinarci l'uno con l'altro, finché all'ultimo sopravvissuto – come al magnifico Tiziano – non gli toccasse di morire solo in una casa già morta.

Marietta si rialzò e per impedire a me e a Dominico di avvicinarla si arrampicò sulle travi dell'altanha. Gridò di starle lontani, minacciando altrimenti di buttarsi giù e di sfracellarsi sulla riva sottostante. È terribile la consapevolezza di poter essere l'assassino di coloro che amiamo. Gridava di chiamare la barca bianca – voleva essere portata subito al lazzaretto. La sua voce acuta valicava la corte, di8lagava oltre il rio, raggiungeva orecchie estranee. Sta' zitta, urlavo, sta' zitta in nome di Dio. L'afferrai per un piede, lasciò la presa e davvero voleva saltare nel vuoto, ma io fui più veloce, la tirai giù, l'abbrancai per la vita e cercai di chiuderle la bocca con la mano. Marietta si divincolava come una gatta. Avrebbe voluto mordermi, ma non lo fece, per timore di ammalarmi. Lasciami andare, Jacomo, gridava, lasciami!

Ma io non l'avrei mai lasciata, Signore. Sarei morto con lei, piuttosto. La trascinai giù per le scale, fino al magazzino e poi nel deposito della legna, e lì la rinchiusi, sbarrando la porta con una trave che i ragazzi non avrebbero potuto rimuover. Le diedi da masticare foglie di rosa e di melissa e cercando di mostrarmi sereno le dissi di non preoccuparsi: mi sarei subito procurato un rimedio. Non puoi uscire, papà, mormorò lei, siamo sequestrati. C'è la pena di morte per chi viola il sequestro. Pensi che una croce bianca possa fermare Jacomo Robusti, unica stella mia?

Corsi da piero alla Gatta, lo speziere più vicino, dietro l'angolo – ma la bottega era chiusa. Attraversai il rio agli ormesini, ma anche lo speziere di San Marcilian aveva lasciato Venezia. Però c'era sempre mio cognato Piero. Dovevo solo raggiungere casa sua, dietro la chiesa di San Vio. Per quasi cento anni – finché gli Episcopi erano ascesi nella gerarchia sociale della Repubblica ed erano stati cooptati nella classe notarile – la famiglia di mia moglie aveva tenuto una farmacia. Conoscevano tutti gli spezieri di Venezia, gli avevano certo fornito un antidoto.

Quando sbucai sul Canal Grande mi fermarono le guardie. Il sestiere di Cannaregio era sotto sequestro – come del resto Castello se San Marco. Non lo sapevo? Vattene, incosciente, mi gridarono, invitandomi con le spade a tornare indietro. Devo passare, gridai. Nessuno può passare, risposero. Se ti muovi ti arresto.

Cento passi più avanti, nel rio di San Felice un pistore scaricava la barca. Era stato autorizzato a rifornire di pane i forni di Cannaregio. Aveva libertà di movimento. Portami a San Vio, ordinai. Mi rispose che non potevo violare l'ordine di sequestro delle autorità. Lo violerei pure se me l'avesse ordinato il Padreterno, gli dissi. Come pensi di arrivarci, volando? mi schernì. Gli voltai le spalle, mi tolsi le scarpe e le calze e scesi i primi gradini della riva. L'acqua era verde, vischiosa come mucillagine, e butterata di bolle. Odorava di liquami. Non ho mai imparato a nuotare – però so come nuotano i pezzi di legno. M'impadronii di una cassetta sulla barca del pistore e scesi un altro gradino. Davvero sei così pazzo che tenteresti di arrivarci a nuoto?mi chiese. Nemmeno mi voltai. Allora mi propose di trovare un accordo. Il denaro mi serviva per le medicine di Marietta: gli diedi la croce d'oro che portavo al collo. Mi rimisi le scarpe, mi fece stendere sul fondo della barca.

Il Canal Grande era liscio come uno stagno: nemmeno un traghetto congiungeva le rive; né una nave da carico né una barca ormeggiate davanti ai magazzini, tutte le gondole ferme tra i pali, le bitte malinconicamente solitarie, l'approdo delle pescherie deserto. Dissi al pistore di aspettarmi davanti a Palazzo Loredan, sarei tornato in pochi minuti. Ma la casa di mio cognato era vuota. Il signor Piero Episcopi è partito tre settimane fa! gridò la vicina, lo trovate in campagna, a Zelarino. Il pistore volle tutti i bottoni della mia giacca per sbarcarmi alla Riva del Vino.

Nelle calli sempre brulicanti dietro Rialto, le botteghe erano sbarrate: alla Stella, ai Tre Stendardi, alla Navicella, ai Tre Monti nessuno rispose. Cominciò a piovere. Non avevo niente per ripararmi. Vagai per la città deserta, incrociando solo pattuglie di pizzicamorti con le barelle, e ladri provvisti di scale che scardinavano le imposte e le finestre e s'introducevano impunemente nelle case abbandonate. Camminavo sopra uno scricchiolante tappeto di vetri rotti. Le calli divennero acquitrini, la fanghiglia mi faceva scivolare – caddi tre volte. Vagai da San Cassan a San Stae, da San Boldo a San Polo, da San Pantalon a San Trovaso, fino ai Carmini: le insegne penzolavano sui battenti chiusi, fra muri neri di pioggia, tutte le farmacie erano sbarrate. Le poche aperte non avevano niente da vendere, i vasi delle polveri per gli antidoti vuoti da settimane: erano stati letteralmente assaltati. Bussai alle imposte di tutte le spezierie che incrociavo, gridavo: aprite per l'amore di Dio! Non c'era nessuno – come se fossereo partiti tutti, o tutti morti. A un tratto, con un senso di panico, mi resi conto di essere solo. Che da tempo non incrociavo anima viva. Che la mia città era vuota. Che nel silenzio assurdo riuscivo a sentire lo zampettio di un passero sul tetto del palazzo di fronte. Alla fine, stremato, fradicio di pioggia, scosso dai brividi, arrivai a San Nicolò.

La contrada era abitata, i pescatori nicolotti troppo poveri per scappare. C'erano mobili scalcagnati sui ponti e sulle rive, casupole di legno marcio sbarrate con travi di legno altrettanto marcio, croci di gesso sulle porte, facce smunte ditro le finestre, barche bianche in tutti i canali. All'Insegna della Luna si affacciò una donna. Il marito era morto, lei rifiutò di aprire la porta. La supplicai di aiutarmi a curare mia figlia. Che cosa dovevo fare? Mi gridò di darle il vitriolo col brodo caldo, l'avrebbe fatta vomitare e cacare così tanto che alla fine si sarebbe sgravata anche dei vermi della peste. Fu così avida e volgare che rifiutai di credere nel suo rimedio. Corsi via. Non sapevo dove andare, mi attirò un solco di luce fra alte muraglie brune. Era un rio. Un pizzicamorto che caricava sulla barca un cadavere carbonizzato – qualcuno aveva maldestramente tentato di cauterizzargli i bubboni – mi indirizzò da uno speziere all'Angelo Raffaele. Potta dell'anticristo luterano, il vecchio sbutengoso aveva fatto soldi a palate – e siccome tutta la contrada era impiagata e quel diavolo fottuto non si era contagiato, probabilmente conosceva davvero l'antidoto buono.

Il vecchio non mi aprì la porta. Io rimasi sul campo, sotto la pioggia battente, lui nella sua bottega. Vedevo solo la sua ombra che strisciava sulle pareti sugli scaffali e sui vasi di ceramica, oscurandoli. Per un attimo pensai che fosse davvero un demone. Ma che importava? Se il diavolo avesse voluto comprarmi l'anima gliel'avrei regalata, pur di salvare Marietta. Socchiuse uno spiraglio e gli tirai dentro le monete. Mi scrisse la ricetta su un foglio e mi gettò i sacchetti con le erbe dalla finestra.

Passai il Canal Grande a San Simeone con la barca dei pizzicamorti – a differenza del pistore, non vollero nessun obolo. Tornai a casa con l'aiuto della notte. Ai quattro angoli del deposito accesi delle torce aromatiche che bruciavano resina di pino, legno di aloe, carlofonia e mirra. Il profumo era così dolce, così buono, che non posso sentirlo ancora senza che qualcosa si schianti dentro di me. Marietta era distesa sul pagliericcio, pallidissima. Le ordinai di spogliarsi, e poiché non si muoveva le sganciai il corpetto – denudandola. Jacomo!? Esclamò, confusa. Ma doveva fidarsi di me, e io avevo bisogno delle sue viscere – e del suo cuore.

Sono trascorsi tanti anni, e adesso non ricordo più quali erbe avessi pestato macerato e bollito in cucina per preparare la pappa di semi di lino che doveva farla sudare, e che le applicavo sullo stomaco, e l'unguento che le spalmavo sul cuore. Mi ricordo che sapeva di limone e zafferano e che era fresco al contatto con le dita. Marietta, invece, era calda. La sua pelle bruciava. E io massaggiavo e spalmavo la regione del cuore finché i pori assorbivano ogni goccia di unguento. Il suo cuore batteva all'impazzata – e anche il mio. Poi – sul seno, proprio dove sentivo più forte il battito – adagiavo un'ostia di arsenico cristallino avvolta in un fazzoletto e le dicevo di non muoversi finché non tornavo. Mi chiedeva: perché fai questo per me, Jacomo?

Ogni tre, quattro ore entravo nel deposito della legna, le portavo una brocca d'acqua e la esortavo a bere anche se non aveva sete. Se Marietta cercava di tenermi lontano, le dicevo: non ho paura di te, vita della mia vita, anima mia. Poi mi chinavo su di lei per rinnovare il massaggio e seguire i progressi del morbo. La aiutavo a sfilarsi la camicia. La esaminavo, cercando l'ombra dei lividi che denunciavano la peste. Ma a ventidue anni la pelle bianca di mia figlia era punteggiata solo di efelidi. Le rimboccavo il vestito. Sapevo bene dove sbocciano i bubboni. Nell'incavo delle ascelle, nelle ghiandole alla base del collo, sull'inguine. Le mie mani non conoscevano l.a timidezza né la vergogna. Ero suo padre e il suo medico, il suo giudice e ogni altra cosa. Non c'era più nient'altro che il deposito della legna, il fruscio della pioggia sul tetto di assi, il silenzio spettrale della mia casa e della mia città assassinata. A volte mi pareva di essere rimasti soli al mondo – dopo una catastrofe che ci aveva, chissà perché, risparmiati. Non so quanti giorni è durato, quante ore – o attimi. È stato un sogno. A volte mi pare di aver sognato anche Marietta. Che non sia mai stata con me, né in questa stanza, dove ancora la aspetto, né nel deposito della legna, né altrove.

Marietta voleva ascoltare la sentenza dalla mia voce. Neanche quando la ispezionavo ha mai evitato il mio sguardo. Ha sempre vissuto con coraggio, e questo almeno sono fiero di averglielo insegnato. Il suo alito sapeva di melissa e di rosa, il deposito di resina e aloe. Il profumo mi stordiva, il vapore che si levava dalle braci mi ubriacava, mi strappava a me stesso mentre con un fazzoletto intriso di aceto, canfora, arsenico e tiriaca le rinfrescavo le tempie, i polsi e le labbra. Oggi, se ripenso a quei momenti tremendi nella penombra del deposito della legna, in cui non sapevo se eravanmo ancora vivi, o già morti, sospesi in un tempo che non era più di questo mondo, disperatissimi e però infinitamente liberi, vi ritrovo una dolcezza che non ho mai più conosciuto – e perdonami per questo, Signore.

La mattina del terzo giorno – o fu il quarto, non ricordo – nella piega della pelle, alla radice della coscia, proprio deove cominciava la peluria della sua natura, ebbi l'impressione di sentire sotto le dita un rigonfiamento – non più grande di una lenticchia. Marietta dovette leggere il terrore nei miei occhi perché mi disse, serenamente: si vede che era il mio destino, Jacomo. Però non lasciarmi morire sola, ho paura di andare in un posto dove tu non ci sei. Un attimo dopo aggiunse, col sorriso malizioso che era la sua caratteristica a me più cara: ma se devo dirti la verità, papà, preferirei non morire. Sono troppo giovane. Devo fare ancora tante cose. Non ho ancora dipinto un'opera che mi darà la gloria, non ho mai visto nessun'altra città, non ho mai fatto l'amore.

No? esclamai. No, Jacomo, l'amore non so cos'è, bisbigliò. Lo farai, scintilla, te lo prometto. Continuavo a tastare la pelle e a premere la lenticchia fra le dita. Mi dissi: non vedrò la malattia insultare la sua bellezza. Non permetterò a un lercio pizzicamorto di abusare di lei nella barca che la portava via. La ucciderà, piuttosto. E l'avrei fatto, Signore. Tenevo il pugnale nella cinta dei calzoni. Se la lenticchia fosse diventata una pustola sul suo corpo diletto, le avrei tagliato la gola.

Quel giorno, accovacciato davanti al camino – mentre Faustina pregava sottovoce per le sue figlie, delle quali non aveva notizie – esaminai le possibilità che mi restavano. I rimedi dei medici e degli spezieri non erano serviti. Rimanevano solo le formule dei ciarlatani e le strigherie delle comari. Immergere Marietta nell'acqua salsa del mare per dodici ore, nel fango per sedici. Seppellirla fino al collo, nuda, e tenerla là sotto per ventiquattro ore, confidando negli umori benefici della terra – che ci è madre, grembo e nutrice. Procurarmi l'olio dello scorpione, mescolarlo col bolo armeno, polvere di corno di cervo, mucillagine di radici, mela cotogna rasura d'avorio, zenzero e carne di vipera, e farglielo bere col suo sangue mestruale. Oppure procurarmi fiele di talpa e sebo di bove, e farglielo bere con bava di porco e polvere di diamante grattugiato – facendo attenzione alle quantità perché una misura eccesiva le avrebbe lacerato e forato le viscere, mentre la dose cauta le avrebbe fatto uscire il male dagli intestini. Oppure al mattino farle bere due dita diella sua urina, e alla sera d'acqua d'orzo, con un boccone di pane intriso d'aceto e sette cime di ruta; infilare un ago incandescente nella postiema e disinfettarla col pepe finché non cicatrizza.

Valutai concretamente la possibilit° di procurarmi quegli impiastri, di pagarli ogni prezzo. Mi sarei venduto i gioielli di mia moglie, la mia ammirata collezione – i calchi di Michelangelo, il quadro di Tiziano, le statette di Giambologna, gli abbozzi di Vittoria e Sansovino, il mio angelo volante, le armature dei tempi di Marco Polo, le icone greche, i quadri di Bassano, Veronese, Schiavone, i miei quadri, la proprietà in campagna, la mia stessa casa. So che oggi questi rimedi apparirebbero fallaci o perfino criminali, ma io non avevo più nient'altro. Quando la sapienza è fallita, la scienza impotente, quando tutto e vano, cos'altro resta? Non ricordo perché rinunciai. Forse non c'era più tempo per tentare.

Disperato, cercai rifugio alla Madonna dell'Orto. Mentre andavo verso la chiesa non incontrai nessuno – né sul rio né sul campo né sul ponte. Dove di solito si affollavano donne, ragazzi, nobili, popolani e forestieri l'unica cosa che si muoveva sui muri e sul selciato era la mia ombra. L'unico rumore che mi seguì fu quello dei miei stessi passi. Non si sentiva una voce. Le barche dondolavano immote sull'acqua del canale, picchiettata da una pioggia impalpabile. Mi sembrava di attraversare un sogno illogico e angoscioso, e non sapevo più se ero io stesso un fantasma. Un branco di famelici cani randagi sopravvissuti allo sterminio dell'estate contendeva furiosamente una mela marcia a un maiale sfuiggito a qualche porcile ormai abbandonato. Scheletrici, non avevano la forza nemmeno di ulllare. Digrignavano i denti, ansimando. Anche i merli e i gabbiani erano volati via. La mia Venezia sembrava disabitata. E in un certo senso lo era. Stava perdendo i suoi abitanti. Quel giorno, forse, ne mancavano all'appello già cinquantamila. Ma io non pensavo a quell'esercito di vittime che avrebbero potuto popolare una città intera. Pensavo alla mia privatissima città. Io volevo salvare otto vite. E, se non ott, almeno una.

In chiesa mi inginocchiai ai piedi del grande organo. Non lo suonava nessuno, anche l'organista della Madonna dell'Orto era caduto. Cantemplavo il mio telero. Erano passati più di vent'anni da quando lo avevo dipinto. In quei giorni lontani non potevo immaginarlo, ma ormai sapevo che rispecchiava il mio momento più felice – era l'alba delle mie speranze, l'annuncio di un miracolo che avevo sognato, e che adesso doveva compiersi. Allora ti chiamai.

Fino a quel giorno non sono stato un buon cristiano. O lo sono stato come tanti altri, Signore. Avevo frequentato i tuoi templi, ascoltato le omelie dei tuoi pastori, ripetuto le preghiere, partecipato alle processioni, pregato per i morti, elargito la carità ai poveri e ai bisognosi. Ma andavo a messa sempre meno, e tranne a Pasqua e Natale solo quando mi avanzava tempo, e non ricordavo l'ultima volta che mi ero confessato. Avevo obbedito ai tuoi precetti. Ma quelli che mi costavano poca fatica. Chinavo la testa al passaggio dell'effigie di un santo. Digiunavo il venerdì e la quaresima, santificavo le feste e la domenica lavoravo poco – perché non mi riusciva di non lavorare mai. Gli altri li avevo ignorati. Ma anche trasgrediti. Di nessuno dei peccati ero innocente. La mia fede era un abito, che indossavo senza averlo veramente scelto. Nasci in un luogo e in un tempo, assorbi le idee e le sconsuetudini con l'aria che respiri. Non le discuti. In un certo senso, le subisci, comunque le accetti.

Mi ero fatto la reputazione di saper dipingere meglio di tutti i miracoli e i misteri. Eppure avevano ragione anche i miei critici: ciò che contava per me non era il miracolo né il mistero, ma il suo racconto – inventare il modo di rappresentarlo. E l'idea che un santo arrivasse volando o fluttuando nell'aria mi interessava più dell'azione che veniva a compiere o scongiurare – cui forse nemmeno credevo. Ma tu non mi avevi mai parlato. Io non ti avevo mai parlato. Ti promisi che se tu l'avessi salvata, io avrei rinunciato a lei. L'avrei allontanata da me – per sempre.

Ti promisi che se avessi risparmiato la mia famiglia – tutta la mia famiglia – d'ora in posi io avrei dipinto per te. Rimettevo la mia carriera ai tuoi piedi. Potevo diventare finalmente il primo pittore di Venezia? Era stato, fin da bambino, il mio desiderio più grande. Non me ne importava più niente. Nella dimora veneziana di San Rocco – un uomo qualunque che tu hai elevato dalla sua condizione perché intercedesse per noi – in quella stessa Scuola dalle pareti spoglie che da decenni avevo intuito come mio traguardo e mio destino io avrei innalzato un monunmento che nessuno ha mai osato concepire. Non avrei voluto denaro, in cambio. Solo di che vivere per poterlo fare. Avrei dipinto uno, dieci, venti quadri per celebrare il tuo potere, la tua verità e la tua clemenza. Non avrei dipinto né per denaro né per la gloria né per l'amore della pittura – le ragioni per le quali un uomo si fa artista. Lo avrei fatto per riconoscenza. Gratitudine per essere nato, per avere amato, per essere stato amato, per avere creato, per avere goduto delle cose che danno piacere e per aver sopportato quelle che danno dolore – per avere vissuto. Quel giorno io ti ho consacrato il mio mestiere, il mio talento, la mia vita. Non avevo nient'altro da offrirti. Io ho mantenuto il nostro patto.

天使的漫长等待

——梅拉妮娅•玛祖科

三天之后,瘟疫前来造访,要夺走我的小星星。她当时22岁,正值青春花季。她的未来如同一只熟透多汁,只待采撷的果实。时值九月末。秋天的到来并没有遏制疾病的蔓延,反而令它更加猖狂。在屋顶的平台上,玛莉亚塔正在收拾放在这里晾晒的衣物,因为天空变得乌云密布,穆里诺岛的方向已经开始打起雷来,就要下雨了。突然,她面色惨白,身体靠在栏杆上,失去了知觉。多米尼克跑来叫我。我们气喘吁吁地抱在一起。

我们在城里呆的太久了,推迟行程是我的错。我把他们献到了一个嫉妒而又无情的女神的祭台上:她或许是威尼斯,又或者是绘画。如今,留给我们的就只有一个接一个地病倒,忍受身体和精神上剧烈的痛苦,被粗暴而且没有能力拯救我们的冒牌医生检查、触摸和做上记号。我们的肉体会被刀子割开,我们的伤口会被烧红和带着铜绿的铁烧灼。我们将被隔离、监禁、侮辱。我们将成为恐惧和厌恶的对象,因为几个月以来怜悯已经不复存在。我们会受到脚夫的辱骂甚至是他们身体的凌辱。我们会四个人一排躺在隔离病院肮脏的床铺上呻吟,听着没有人治疗的那些病人的叫喊,以及由于当局不正确的安排而被迫陪伴他们的那些妓女的辱骂,然后再彼此残杀,直到只剩下最后一个幸存者,就像杰出的画家提香一样,只能死在一所已经死亡的房子里。

玛莉亚塔又站了起来。为了阻止我和多米尼克靠近她,玛莉亚塔爬上了平台的横梁。她叫喊着要我们离她远一点,威胁说否则她就要跳下去,摔死在下面的海岸上。意识到自己可能成为杀害我们热爱的人的凶手是件可怕的事。她大喊着要我们把白色的船叫来,希望立刻被送到隔离医院去。她尖利的声音越过庭院,传到了运河的另一边,传到了陌生人的耳朵里。"安静点"我叫喊着,"安静点,看在上帝的份上。"我抓住她的一只脚,她松开了抓着栏杆的手,真的要跳下去。不过我更加敏捷,把她拽了上来,搂住她的腰,试图用手捂住她的嘴。玛莉亚塔如同一只猫一样挣脱了。她想咬我,不过没有这么做,因为怕伤到我。"放开我,贾科莫,"她大声叫着,"放开我!"

不过,我永远也不会抛弃她,我的主。我宁愿和她一起死。我把她拖下楼梯,先是进了仓库,然后把她放在存放柴草的房间里,关上门,又用横梁把门栓上,这样的横梁孩子们是无法移动的。我让她咀嚼玫瑰花和蜂蜜花,试着装出安详的表情,告诉她不要担心:"我会立刻找到解决的办法。""你不能出去,爸爸,"她小声说,"我们被隔离了。违背隔离令的人是会被判死刑的。"你认为一个白色的十字架能够拦住贾科莫•罗布斯提吗,我唯一的星星?

我跑去找皮埃罗•阿拉•嘉塔,他就在小巷的拐角处,是距离这里最近的药商。可是,他的铺子关着门。我在奥尔梅希尼穿过了运河,可是,就连圣马尔齐连的药商也离开了威尼斯。不过,我妻子的兄弟皮埃罗总归会在的。我只需要赶到圣威奥后面他的家里去。从埃匹斯科皮家进入共和国的上流社会并且被增选进公证人阶层开始,我妻子的家族开药房已经有将近100年了,认识威尼斯所有的药商,他们肯定为药店提供过解毒药。

当我来到大运河上时,警卫们拦住了我。卡纳莱焦区已经戒严了,圣马可城堡也是。这个难道我不知道吗?"滚开,没脑子的人,"他们对我大声喊叫着,用剑逼着我退回去。"我要过去,"我大声喊。"谁也不能过去",他回答说,"要是你动一动,我就逮捕你。"

在百步之外的圣菲力切区,有一个面包商正在卸船,他得到许可向卡纳雷焦面包房提供面包。他可以自由活动。"带我去圣威奥,"我命令说。他回答说我不能违法当局的戒严令。"即使这个命令是上帝下的,我也要违背,"我向他叫喊着。"你想怎么去,飞吗?"他嘲笑我说。我转过身背对着他,脱下了鞋,然后是袜子,接着就走下岸边的头几级台阶。河水是绿色的,如同粘液一样粘稠,冒着泡泡,散发着污水的臭味。我从来没有学过游泳,不过我知道如何撑木排。我从面包商的船上拿了一箱木头,又走下一级台阶。"你当真疯到要尝试游过去?"他问我。我甚至没有回头。就这样,他建议我们谈笔交易。我需要用钱为玛莉亚塔买药,因此就把脖子上带的金十字架给了他。我重新穿上鞋,他让我躺在船的甲板上。

运河如同池塘一样平静,甚至没有一条渡船靠岸;既没有一条船等待装载,也没有船停泊在商店门口;所有的贡多拉都拴在木桩上:忧伤而孤单的木桩,空荡荡的渔港。我叫面包商在罗莱丹宫门前等我,跟他说我几分钟后就回来。不过,我妻子兄弟的家里空无一人。"皮埃罗•埃匹斯科皮先生三个星期前就走了"!女邻居大声叫着,"您在泽拉力诺的乡下可以找到他。"面包商要我把上衣的所有扣子都给他,才肯带我去葡萄酒海岸。

利阿尔托后面的小巷里总是人头攒动,如今,那里的店铺却关着门。在名叫斯泰拉、三个斯坦达尔弟人、小船、三山的那些小巷里,没有任何人搭腔。天开始下起雨来,我没有任何东西可以用来遮雨。我在空旷的城市里游荡,遇到的就只有抬着担架,负责运送死人的掘墓人的巡逻队,以及带着梯子,卸下门板和窗户,不受惩罚地钻进废弃的房子的那些小偷。我走在像地毯一样铺满了地面,而且发出吱嘎声的破玻璃上。小巷变成了沼泽,淤泥非常湿滑,我在上面摔倒了三次。我从圣卡桑街走到圣斯塔埃街,从圣波勒多走到圣保罗,从圣潘塔龙走到圣特洛瓦所,直至来到卡尔米尼。店铺的招牌悬挂在关闭的门板上,墙壁因为下雨而变得黑乎乎的,所有的药店都关着门。很少的几家仍然营业的药店也没有什么可以出售,盛解毒药的罐子几个星期之前就空了,它们遭到了抢劫。我敲打着遇到的所有药店的门板,大叫着:"看在上帝的份上,打开门!"没有一个人,好像他们都离开了,或者都死掉了。突然,我感到一种恐惧,发觉自己是独自一人。一段时间以来,我没有遇到一个人活着的灵魂。我的城市空了。在荒唐的寂静中,我能够听到对面大楼上一只麻雀细碎的脚步声。最后,我筋疲力尽,被雨淋得湿漉漉的,颤抖着来到圣尼可洛街。

这个街区居住的渔民太穷了,没有必要逃跑。破旧的家具摆在桥上和岸边,木头已经腐烂的破房子,用同样破烂的横梁拴着,门上用粉笔画着十字,窗户里面是消瘦的面孔,所有的运河上都停泊着白色的船。从挂着月亮形状招牌的商店里,有一个女人探出头来。她的丈夫已经死了,所以拒绝给我开门。我求她救救我的女儿。"我该做什么?"她大声叫喊着,要我给她喝加了硫酸的热汤,这些东西会使她呕吐和腹泻得非常厉害,甚至会把瘟疫的寄生虫也泻出来。她是如此贪婪和庸俗,我无法相信她的药方,因此跑开了。我不知道该到哪里去。高大的棕色围墙上如同镰刀一样的光亮吸引了我。那里是运河。一个正在把一具碳化的尸体装上船的掘墓人——有人笨拙地试图把他的炎症烧掉——给了我圣拉斐尔街一个药商的地址。那个可恶的反基督的路德教徒,那个恶心至极的老头赚了很多钱。既然整个街区都被传染了,那个魔鬼却没有染上病,或许他真的知道好的解毒药。

老头不给我开门。我站在广场上,雨水拍打着我,他却站在铺子里。我只能看到他的影子映在墙壁上、架子上、陶瓷的花瓶上。有那么一刻,我认为他真的是一个鬼魂。这有什么?假如魔鬼想买我的灵魂,我就会把灵魂送给他,只要能够救玛莉亚塔。他把窗户打开了一道小缝,我把钱塞了进去。他把药方给我写在一张纸上,又把装着草药的小袋子从窗户扔出来。

我坐着掘墓人——他们与面包商不同,不要钱——的船,从圣西梅翁内穿过了大运河,在夜晚的掩护下回到了家。我在仓库的四个角落里燃起了用松香、芦荟木和没药制成的芳香的火把。那种气味非常温和,非常好闻。闻着这种气味,我心里的某种东西不由得碎了。玛莉亚塔躺在稻草上,非常苍白。我叫她脱了衣服,她一动不动,我只好解开她的上衣,脱掉了她的衣服。"贾科莫!?"她惊叫着,有些慌乱。不过,她应该信任我,我需要她的内脏,还有她的心。

很多年过去了,如今我已经不记得当时在厨房里是把哪些草捣碎、浸泡、煮熟,用来准备亚麻籽糊,以便让她出汗,又把它们敷在她的胃上,还把药膏涂在了她心脏的位置。我记得那东西有柠檬和藏红花的味道,手指触摸起来非常凉爽。不过,玛莉亚塔身上很热。她的皮肤滚烫。我在她心脏的位置按摩,并且涂上药膏,直到毛孔把每一滴药都吸收进去。她的心脏疯狂地跳动,我的也是。接着,在乳房上,正是我感到跳动最强烈的地方,我放了裹在手绢里的薄薄的一片晶体状砷,然后告诉她在我回来之前不要动。她问我:"你为什么要为我做这些,贾科莫?"

每三、四个小时,我就回到储存柴草的房间,给她带一壶水,劝她喝下去,尽管她不渴。假如玛莉亚塔试图让我离她远一点,我就对她说:"我不害怕你,你是我生命的生命,灵魂的灵魂。"然后,我俯下身去,重新开始给她按摩,观察她病情的发展。我帮助她穿上衬衣。我观察着她,寻找表明瘟疫位置的那些青黑色的阴影。不过,我女儿22岁,她洁白的皮肤上只是出现了一些雀斑。我把她的衣服卷起来。我非常清楚她的病症在哪里:在腋窝,脖颈底部的腺体,以及腹股沟。我的手不知腼腆,也不知羞耻。我是她的父亲和医生,她的法官和所有其他东西。世界上只剩下这个存放柴草的仓库,木板屋顶上雨水的窸窣声,我的家,还有被杀害的我的城市幽灵般的寂静。有的时候,我感觉到在发生了一个灾难,而且我们不知为何得以幸免于难之后,世界上只剩下我们。我不知道它持续了多少天,多少小时,或者多少时刻。那是一个梦。有的时候,我觉得玛莉亚塔也在做梦。我觉得她从来都没有和我在一起,没有在这个房间里——我还在那里等她——没有在存放柴草的仓库里,也不在别处。

玛莉亚塔希望从我的声音中听到对她的审判。即使是在我检查她的时候,她也不会回避我的目光。她从来都勇敢地生活,至少我可以为了教会她这一点感到骄傲。她的衣服上有蜜蜂花和玫瑰的味道,残留着树脂和芦荟。香气令我眩晕,木炭上升起的蒸汽令我陶醉。当我用一条浸泡了醋、樟脑、砷和解毒剂的手绢为她擦拭太阳穴、手腕和嘴唇的时候,我的思想开了小差。如今,假如我回想在昏暗的存放柴草的仓库里度过的那些颤抖的时刻,那些不知道我们是否仍然活着还是已经死了,停留在一个不再属于这个世界的时间里,非常绝望而又无限自由的时刻,我会感觉到一种不曾体验过的温柔。主啊,请为此原谅我吧。

第三天早上——或者是第四天,我不记得了——在皮肤的皱褶里,在大腿的根部,正是在她天然的绒毛开始生长的地方,我感觉手指下面有一个凸起,和一粒宾豆差不多大。玛莉亚塔应该是从我的眼睛里读出了恐惧,安详地对我说:"看得出这是我的命,贾科莫。不过,不要让我孤单地死去,我害怕到一个没有你的地方去。"过了一会儿,她又带着一丝狡黠的微笑——这是她性格中我最喜欢的东西——说:"要是必须跟你实话,爸爸,我还是希望不要死。我太年轻了。我还要做很多事。我还没有画出一幅为我带来荣誉的作品,还没有见识过任何一座城市,从来没有做过爱。"

"没有吗?"我惊叫道。"没有,贾科莫。我不知道什么是爱情。"她轻声说。"你会去做的,小星星,我向你保证。"我不断地触摸着她的皮肤,用手指挤压着那粒宾豆。我心里想:我不要看到疾病侮辱她的美丽。我不允许一个肮脏的掘墓人在把她带走的船上侮辱她。我宁愿杀了她。我会那样做的,我的主。我的手握着皮带上的匕首。假如宾豆变成她所钟爱的身体上的一个脓包,我会割断她的喉咙。

那天,当法乌斯提娜小声为她没有音信的女儿们祈祷的时候,我蜷缩在壁炉前,思考着剩下的机会。医生和药商们的药方都不起作用,只剩下庸医的方子和邻居们的巫术:要把玛莉亚塔浸在盐水里12小时,再埋进淤泥里16小时,要把她赤裸地埋进去,一直埋到脖子,让她在那下面呆上24个小时,把她交给友善的大地,因为她是母亲、怀抱和营养;我必须找到蝎子油,把它与亚美尼亚大丸药、鹿角粉、根部的粘液、榅桲苹果、象牙粉、姜和蟒蛇肉掺在一起,让她和着经血一起喝下;或者找到欧鼹的胆汁和牛的皮脂,把它们与猪的唾液,磨碎的钻石粉——小心数量,因为过量会导致她的内脏发生撕裂和穿孔,而适合的剂量则会让病从她的肠子排出——搅拌在一起吃下去;或者在早上让她喝两个手指那么高的她自己的尿液,晚上喝大麦水,同时吃一口浸了醋的面包和七个芸香尖;又或者把一根烧热的针插入脓包里面,用胡椒消毒,直到留下疤痕。

我具体掂量着找到那些膏药,和支付每一样东西费用的可能性。我必须卖掉我妻子的首饰,我最欣赏的收藏——米开朗基罗油画的复制品,提香的画,姜博洛尼亚的小塑像,维多利亚和桑索维诺的草图,我的飞行天使,马可•波罗时期的盔甲,希腊神像,巴萨诺、委罗内塞、斯基亚维诺的画,我的画,乡下的田产,和我自己的房子。我知道,这些药方如今看来具有欺骗性,甚至是有罪的,可是当时我什么也没有了。当智慧遭到失败,当科学变得无能,当一切都变得枉然,还剩下什么了呢?我不记得为什么放弃了。或许因为没有时间尝试。

我绝望了,于是躲进了奥尔托的圣母院。向教堂走去的时候,我没有碰到任何人,无论运河、广场,还是桥上都没有人。这里通常总是挤满了女人、孩子、贵族、平民和外国人,现在,墙壁和石子铺成的路面上移动的却只有我的影子,唯一的声响是我自己的脚步声,此外听不到一个人的声音。船只一动不动地在运河的水上摇晃,极细的雨拍打在它们身上。我仿佛是在穿越一个没有逻辑而且焦虑的梦,不知道我是否还是我自己,或者是一个幽灵。一群在夏天的大屠杀中幸免于难的饥饿的流浪狗,和一只逃到如今已经被抛弃的猪舍里的猪,在疯狂地争夺一个烂苹果。一些甚至没有力气叫喊的骷髅:他们咬着牙,喘着气。就连乌鸫鸟和海鸥也飞走了。我的威尼斯好像没有了居民。从某种意义上讲是这样的。她正在失去她的居民。那一天,或许已经有5万人死去了。我没有去想完全可以构成整整一座城市的那个受害者的人群。我想着我自己的城市。我想拯救8个生命。假如不是8个,那么至少是一个。

在教堂里,我在巨大的管风琴前跪下来。没有人演奏它,就连奥尔托圣母院的管风琴手也倒下了。我注视着我的那幅画。从画这幅画到现在已经过去20多年了。在那些遥远的日子里,我无法想象这一点,不过如今我明白了,它反射出了我最幸福的时刻:那是我希望的黎明,预示着我梦想的一个奇迹。现在,这个梦想已经实现了。于是,我呼唤着你。

直到那一天为止,我并不是一个好的基督徒。或者说我是一个和其他人一样的基督徒,主啊。我光顾过你的神庙,倾听你的牧师的布道,重复着祈祷词,参加宗教仪式,为死者祈祷,为穷人和有需要的人捐赠善款。不过,我越来越少去望弥撒,除非是复活节和圣诞节时间有富余的时候。我已经不记得最后一次忏悔是什么时候。我遵守了你的戒律,不过是那些不太辛苦的戒律:经过一位圣人塑像的时候,我会低头致意。星期五和斋戒月我会禁食,我庆祝节日,星期日我减少工作,因为我不可能完全不工作。其他的事情我已经忘记了。不过,我也违反过戒律。没有一个罪行我没有犯过。我的忠诚是一件衣服,我穿上它,但是从来没有真正地选择它。我在一个地点和一个时间出生,我随着呼吸的空气一起吸收思想和习俗。我不对它们进行辩论。从某种意义上讲,我忍受它们,无论如何都接受它们。

人们说我的画比任何借助奇迹和神秘创作出的画都好。尽管如此,我的评论家们说的对:对我来说,有用的不是奇迹,也不是神秘,而是它所讲述的东西,是创造表现它们的方式。一个圣人会在空气中飞行或者流动,然后来到我们面前,这样的想法比完成或者避免某个行为更加令我感兴趣,那些事情或许我根本不相信。不过,你从来没有对我说过话。我从来没有对你说过话。我向你保证,假如你救了她,我就会放弃她。我会让她远离我,永远。

我向你保证,假如你放过我的家庭——我整个家庭——从此以后,我会为你作画。我会把我的事业置于你的脚下。我能够最终成为威尼斯第一画家吗?从孩提时候开始,那就是我最大的愿望。一切对我都不重要了。在威尼斯圣洛克的家里——随便一个被你从他的境况中挑选出来,以便他能够替我们说情的人——就在那所墙壁光秃秃的学校里,几十年前我就凭借直觉猜到了我的目标和命运,我要开始创作一个从来没有人敢于构想的不朽作品。我不想用金钱作为交换。只要能够活下来以便画画。我会画一幅,十幅,二十幅画来颂扬你的威力,你的真实,你的宽宏。我既不会画金钱,也不会画荣誉,或者是对绘画的热爱,后者是一个人成为画家的那些理由。我要为了感激这样去做。为了自己的诞生,为了自己曾经爱过,为了曾经被爱,曾经创造,曾经享受那些给人愉快,忍受过那些给人痛苦的东西,为了曾经生活过,我会心存感激。那天,我把我的手艺献给你,还有我的才能,我的生命。我再没有什么可以献给你了。我遵守了我们的协议。

(魏怡 译)

 Forum  Stampa  Email  Suggerisci
Messaggi
Dossier
• Concorso a premi sul tema "Amo studiare la lingua cinese"
Cari amici, con il continuo crescere della febbre per lo studio della lingua cinese, ora nel mondo coloro che tramite vari canali studiano la nostra lingua superano ormai i 40 milioni, ivi compresi molti italiani. La sezione italiana di RCI sta esplorando nuovi canali per aiutarvi ad apprendere e migliorare il vostro cinese in modo più facile e comodo...
Angolo dei corrispondenti
Foto
Eventi
• 60 anni della Nuova Cina
• Primo convegno letterario italo-cinese
• Amo il cinese
© China Radio International.CRI. All Rights Reserved.
16A Shijingshan Road, Beijing, China. 100040