《阿难》-ANANDA
  2010-09-29 14:13:40  cri
Hong Ying

ANANDA

Dedicato ad A.
Non potrò mai amarti, perciò fuggo in India lontano da te.
Non c'è amore più prezioso di quello non consumato.

Primo capitolo

Devo scrivere subito la mia lettera d'addio, altrimenti non ci sarà più tempo.

Sarà una nota semplice, non conterrà alcuna rivelazione finale di scomodi, inopportuni segreti: la mia morte non ha nulla a che vedere con gli altri, si tratta di una decisione personale. Non ci saranno esequie né rimembranze e le mie ceneri potete gettarle nella spazzatura, mi raccomando niente spargimenti sui monti, nei fiumi o via dicendo. Sarà sufficiente una fotocopia di questo messaggio spedita agli indirizzi della mia lista. Perché, per prima cosa, smettano di aspettare l'occasione propizia per consumare la loro vendetta e questo equivale per loro a una liberazione psicologica; e al tempo stesso gli servirà di avvertimento, non permetto che pubblichino frasi di cordoglio in memoria del "caro scomparso". Per il momento non c'è da preoccuparsi: nessun redattore intende stampare notizie su di me. È per evitare che nelle autobiografie che scriveranno – sono senz'altro tipi da autobiografia – loro pretendano di essere stati amici o nemici miei, in questa vita io non ho avuto compagni né rivali.

È una vergogna falsificare la Storia.

Questo è tutto. Fine.

Ora dedicherò quei pochi minuti che il destino mi concede a coloro che apriranno questa lettera: il mio cuore è immoto come l'acqua in un pozzo, non provo alcun dolore, anche se certo non potrei definirmi folle di eccitazione. In realtà sono in perfetta salute, sul mio corpo neppure il minimo segno di disfacimento, è sodo e liscio come un uovo, meriterebbe di essere protetto. Mi alzo presto ogni mattina, ogni sera dopo il bagno bevo mezzo bicchiere di vino rosso e un bicchiere di latte, in vita mia non ho mai avuto tanta tranquillità.

Ringrazio coloro che leggeranno fino in fondo questa mia lettera. Ho la certezza che un giorno mi comprenderete, anche se ora non siete in condizioni di farlo. Per evitare ripensamenti, la morte che mi darò sarà doppia. Oltre a prendere un'overdose di tranquillanti mi taglierò le vene dei polsi. Mentre all'ospedale saranno occupati a risolvere un problema ne tralasceranno un altro. Il medico legale potrebbe sospettare che non sia un suicidio, quindi scriverò qui il dosaggio che mi ha portato alla morte, non vorrei che nella confusione implicassero un innocente...

Ma no, non posso più, una figura in nero ha spinto la porta che era accostata e si avvicina in punta di piedi, sento crescere la mia tensione. Sento il sibilo della sua arma spietata. So che protesterai: avrei almeno dovuto fornirti una spiegazione. Oramai non c'è più tempo. Devo mettere giù la penna, poi mi volterò e l'accoglierò tra le mie braccia.

Secondo capitolo

Dopo aver sorvolato il Fiume Giallo, l'aereo continuò in direzione sudovest lasciandosi dietro il monotono giallo squallore del nord della Cina. Sopra le nuvole, per una o due ore il panorama era stato un identico caos. Seduta vicino al finestrino, sorseggiavo un caffè. Stavano trasmettendo un video comico, in cui qualcuno aveva spalmato uova marce sui tulipani e li faceva annusare ai passanti per strada, mentre una telecamera nascosta riprendeva le loro strane espressioni. Nelle mie orecchie tuonavano le risate, mentre l'abitacolo era immerso nel silenzio. Il mio vicino portava le cuffie, ma sentivo il suo russare ininterrotto. Io me le ero già tolte, avevo abbassato la tendina e mi stavo rilassando a occhi chiusi, lasciandomi sommergere dal sonno.

D'un tratto, una strana sensazione forzò aperte le mie palpebre, una lama di luce blu tagliò uno spiraglio nel finestrino. Spinsi la tendina verso l'alto, scoprendo una distesa di azzuro puro, infinita, incastonata tra i picchi innevati, candidi, come cosparsi di polvere di giada, un immenso universo di ghiacciai che sembrava appartenere a un altro pianeta. Il luccichio sfolgorante di bianchi puri e azzurri tersi squarciò con un fruscio la retina dei miei occhi, era di una bellezza da togliere il fiato.

In fretta mi tirai su a sedere e avidamente mi accostai al finestrino: "È il Pamir! Sì, il Pamir!" L'aereo volava sopra il tetto del mondo, come un enorme squalo silenzioso che striscia lentamente sul fondale marino tra quelle forme capricciose di roccia dall'aspra bellezza. Dall'alto, le montagne remote segnavano con mille sinuosità quell'ampiezza sconfinata, il Kunlun e l'Indukush, due pitoni giganti avvolti nelle proprie spire. Il mio sguardo scivolò lungo le ali dell'aereo, la catena dei monti Kunlun superava di gran lunga i duemila e cinquecento chilometri, come un'armata maestosa intenta a circondare in un agguato silenzioso l'intero pianeta. Volsi lo sguardo in basso verso i monti e le profonde vallate che li dividevano, il mio corpo prese a fluttuare evanescente, la mia coscienza divenne impalpabile poi scomparve del tutto. In un istante, fu come se avessi lasciato l'aereo e mi trovassi a galleggiare nell'aria.

Mi risvegliai di colpo e afferrai il bracciolo del sedile. Non c'era da meravigliarsi se in tutto il mondo tante persone, non importa se credenti o meno, siano desiderose di fare un "pellegrinaggio" in India. Superate le vette innevate di quel luogo al di fuori del mondo, non si può non conquistarsi la santità. Ecco perchè Sufei aveva voluto a tutti i costi mandarmi a fare quel viaggio, in quel momento rividi il suo viso dai lineamenti delicati, che lasciava trasparire un lieve sorriso compiacente: "Guarda, guarda, hai capito ora?"

Dovevo proprio ringraziarla per quell'esperienza di viaggio extra-corporale. Accesi il mio portatile ultrapiatto, aprii la mia pagina web e scrissi un lungo pezzo prima di ricordarmi che dall'aereo non si potevano mandare né ricevere messaggi, rinunciai anche se un po' a malincuore e memorizzai il testo nella posta in uscita – meglio affidare subito alla rete quelle sensazioni e quel panorama, chissà quando mi sarei trovata di nuovo in quell'umore elevato. Le nostre vite sono solitamente così concrete, stucchevoli come una tavoletta di cioccolata al caffè.

Sufei mi aveva telefonato la settimana prima, voleva che scrivessi un libro su un viaggio in India. I requisiti erano vaghi: poteva essere una biografia, o brevi impressioni di viaggio.

Le avevo detto: "Una biografia? Piuttosto un diario di viaggio!" Negli ultimi anni, nel mondo editoriale è nata la febbre della narrativa in cammino, tutti si sono messi a scrivere liriche sul Fiume Giallo, impressioni sulle tre province del Nord-Est, trekking in Tibet. Con quell'invito lei mi aveva mostrato il suo rispetto e io non potevo essere troppo presuntuosa. Tuttavia, scrivere per me è sempre stato un affare doloroso: non ho mai provato l'ebbrezza della creazione, l'esaltazione folgorante e la scrittura di getto sono una fortuna di altri. Io sono sempre stata come una partoriente due settimane dopo la data presunta: afflitta da mille sofferenze, dovevo controllarmi per non uscire pazza. Dopo un giorno intero avevo scritto soltanto poche righe e neanche una parola di cui essere soddisfatta. Seduta alla mia scrivania, speravo che arrivasse la fine del mondo e tutti, me compresa e quelle quattro pagine disgraziate, sprofondassimo nel fuoco dell'inferno che ci avrebbe ridotto in cenere.

Per una come me, perennemente affetta dal "blocco dello scrittore" mettersi a fare quel mestiere significava proprio essersela voluta. L'ispirazione è come un amante che si fa sempre attendere, se non getti il seme come può nascere il frutto? Andarsene in India a folleggiare equivaleva ad ammettere che la creatività si è prosciugata da tempo. Arrivare poi al punto di scrivere un libro a cottimo insieme a qualcuno che non conosci, mi sembrava di stare girando una di quelle comiche di fine d'anno, il pubblico non ride e a te sembra di aver esagerato con le chiacchiere inutili.

Sufei al telefono ascoltò in silenzio le mie elucubrazioni senza senso poi, senza scomporsi, mi disse: "Comunque tu vai in India, poi se non riesci a scrivere non fa niente." E senza attendere la mia risposta, aveva aggiunto: "È un posto che alla fine ti entra sotto la pelle, magico!"

Mai sentito parlare di un libro che se anche non lo scrivi non importa. Magico? Uno andava nella culla del buddismo a cercare la magia? Mi salì una risatina leggera.

Lei continuò: "Non ridere e basta, devi assolutamente aiutarmi. Te l'ho già detto una volta, smetti di pensare soltanto al grande romanzo che dona fama eterna, prova a scrivere una rubrica regolare e la tua scrittura scorrerà come un treno su una rotaia nuova. Devi sentirti sotto pressione per le scadenze. So che non mi credi, quindi facciamo un esperimento: tu scrivi mentre sei in cammino, il sito di Galassia ogni uno o due giorni presenta i tuoi articoli nuovi, che poi vengono pubblicati sulla rivista bisettimanale Ogni giorno di Hong Kong e alla fine andranno a formare un libro stampato edito dallo stesso gruppo."

Sufei era vice redattore capo della rivista Ogni giorno, amministratore delegato del portale Galassia e presidente del consiglio di amministrazione dell'agenzia di cinema e tv Totem, un personaggio di spicco nel circolo mediatico di Hong Kong e una famosa donna in carriera della nuova economia. Quando si mise a parlare degli aspetti pratici, io l'ascoltai attentamente, non tanto per amore del denaro è che sentire quelli dei media che parlano d'arte mi fa star male. Non per i discorsi da profani: loro sono scaltri e hanno un'intelligenza di gran lunga superiore a quella di noi artisti. Piuttosto è per l'impressione che siano mossi da altri fini, sono sinceri solo quando trattano le "condizioni".

Sufei mi disse seria: "Le case editrici in Cina pagano di solito trentamila, al massimo cinquemila yuan di anticipo; noi ti anticipiamo ventimila dollari americani per le spese di viaggio, poi riceverai il tuo compenso ogni volta che i pezzi sono pubblicati, un dollaro di Hong Kong a parola - cosa ne pensi?" Poi aggiunse: "Sei famosa, no?"

"Smettila con le sviolinate! Ci sono un mucchio di scrittori noti, perchè proprio io?" Le chiesi di rimando. Cominciavo a essere tentata, non solo dal denaro ma anche dall'insistenza di Sufei, un compenso così alto era decisamente un segno di rispetto. Non ero certo al di sopra di questioni materiali, mi offrivano un anticipo e un compenso per gli articoli, io dovevo pur pensare a mantenermi. Non mi sentivo moralmente superiore a queste cose e nessuno poi mi chiedeva di esserlo. In cuor mio sapevo di non poter resistere all'offerta, ma la mia bocca non riusciva a dire di sì.

La sua voce al telefono si fece gentile e carezzevole: "Se in India c'è Ananda, il tuo blocco non si dileguerà come nebbia al sole?"

Una volta nominato Ananda, il tono della conversazione cambiò completamente. Lei doveva avere veramente fretta, senza aspettare che io ribattessi mi aveva già mostrato l'asso nella manica. Una mossa improvvisa, che mi aveva lasciato interdetta.

Sufei indovinò i miei pensieri: "Tu sei il massimo della superbia, se qualcuno non si occupa di te allora sei tu interessarti a lui. Ananda poi è la personificazione dell'arroganza e si accorge soltanto di quelli che lo trattano dall'alto in basso. Voi due dovreste misurare le vostre forze, no?"

Io mi impappinai, il mio cuore fece un salto, ora capivo, la signora voleva che andassi a intervistare Ananda. Non c'era da stupirsi che avesse parlato di biografia, e io che lo avevo creduto un lapsus.

Quando avevo quindici o sedici anni Ananda era il mio idolo, io ero un'adolescente e lui una star del rock "il primo di una specie diversa". Poi all'apice della sua fama in Cina, lui aveva improvvisamente lasciato le scene per occuparsi di altro.

Non avevo mai incontrato quel tipo strano. Dopo essere diventata amica di Sufei, avevo sentito molte storie sul suo conto. Lei si definiva la sua prima fan, era stata la prima giornalista di Hong Kong ad andare in Cina a intervistarlo. Il che implicitamente significava: lei era la scopritrice del talento, se non addirittura l'artefice del mito Ananda.

Io le dissi: "Va bene, Sufei, non c'è bisogno di dire di più. Ho bisogno di controllare se posso posticipare gli altri lavori che ho tra le mani. Ti risponderò tra mezza giornata."

"Bene. Terrò la linea libera per te. Aspetto un tuo cenno."

Risultato, in meno di un'ora l'avevo richiamata, sarei andata in India ed ero pronta a partire il giorno dopo.

Dall'altro capo del filo sentii la sua risata soddisfatta.

"Lo sapevo che eri una donna schietta, come me." Disse che potevo ritirare il biglietto all'aeroporto prima di partire, la prenotazione a mio nome era stata fatta da tempo, prima classe con ritorno aperto.

Non solo lei era sicura che avrei accettato, ma anche che sarei partita all'istante mollando tutto! Ero ammirata e avrei interrotto subito la conversazione, per non darle la possibilità di indovinare qualcos'altro di me attraverso il sottile cavo del telefono. Ma mi premeva precisare ancora una cosa importante: durante il viaggio avremmo comunicato via computer, così i messaggi potevano essere utilizzati direttamente. Non avremmo usato il cellulare anche se tentate dalla comodità, per non perdere la caratteristica della letteratura in rete.

C'era un ovvio motivo per questa mia richiesta: speravo in una certa libertà di movimento, non volevo sentirmi le sue redini sul collo.

Sufei non si aspettava che qualcuno usasse le sue armi contro di lei. Lei era la "regina della Rete" ma io ero riuscita a stuzzicare il suo interesse: "Va bene, inventeremo un nuovo genere: l'intervista itinerante come letteratura on-line. Però ogni giorno dobbiamo sentirci come minimo una o due volte."

"Non vorrai mica far leggere al pubblico le nostre schermaglie amorose?" Scherzai io.

Anche lei rise: "Ovvio, i messaggi saranno editati prima di essere messi in rete."

"Bene." Dissi io. "Non pensavo che avresti avuto il coraggio di pubblicarli così com'erano. Ti saluto, vado a fare le valigie."

"Non c'è fretta." Sufei sembrava essersi tolta un peso e ora aveva voglia di parlare. "Non mettere giù il telefono, ora che sono di buon umore facciamoci due chiacchiere tra sorelle. I romanzi che parlano di storia non riescono mai a toccarmi nel profondo, perfino ai tuoi che non sono scritti male sembra sempre manchi qualcosa. Nelle tue storie possono anche agitarsi un migliaio di fantasmi, tanto con me non attacca. Mi fermo ad ascoltare il vento fuori casa, ma non riesco a vedere la crudeltà di chi è dentro."

"Che cosa fa Ananda in India?" La interruppi scortesemente. Ecco che la signora dei media si metteva a parlare d'arte, oltretutto in termini sferzanti e maligni; lo faceva di proposito a punzecchiare quelli che campavano con la scrittura, per ricordarmi che gli uomini di lettere avevano la vita più facile del mondo e che gli scrittori e i poeti non sono altro che degli indolenti a caccia di fama ingiustificata.

Ero riuscita a farle cambiare argomento: "Non è importante."

"Come fai a sapere che si trova lì?" Non mollavo.

"Pura supposizione." La sua voce non rivelava alcuna irritazione. "Non sarebbe splendido, un incontro casuale in terra straniera?"

Compresi che non aveva voglia di approfondire. Per il momento potevamo fermarci lì. Le chiesi: "Cosa vado a fare?"

"Lì i pavoni, sia maschi che femmine, ti aspettano con ansia strillando di gelosia, il loro strepito si sente fino a Hong Kong, una penna come la tua anche se finisse in un inferno senza fondo farebbe sbocciare trentasei fiori di loto."

Avevo compreso perfettamente l'ironia, bisognava essere esperti per apprezzare i virtuosismi della sua lama. Aveva toccato il mio punto debole. Ero stata con le mani in mano per mesi, no, quasi un anno. A volte mi sembrava di avere il cervello fossilizzato, come molti scrittori soprattutto scrittrici prima di me, il mio flusso creativo si era interrotto, anche se non ero ancora vicina alla menopausa.

Non che credessi sul serio di trovare l'ispirazione in terra straniera, ma forse sarebbe stata Sufei – quella donna determinata che non si fermava se non dopo aver raggiunto il suo scopo – a pungolarmi. Se non avessi scritto il libro che voleva, non sarei riuscita a fermare la sua lingua beffarda! Non avevo altre ragioni per rifiutare.

Perciò si può dire che sia stato un tiro della sorte a portarmi sul Pamir.

Anche se, come tutti i bambini, anche io avevo fantasticato un giorno che sarei andata in India. Facendo un calcolo sommario, il sogno risaliva a una decina di anni fa, andando più lontano saranno stati almeno venticinque anni. In un libro avevo letto la frase 'e la sua anima per la paura volò fino a Giava' e ne ero rimasta affascinata. Giava per me era il posto più lontano del mondo. Nelle Memorie di uno storico, l'India aveva un nome spaventoso: Yuandu 'veleno del corpo'. Per andare in India non bastava un viaggio extra-corporale, serviva una volontà tenace e determinata. Lì era arrivato il monaco Xuanzang. Venticinque anni fa, dopo aver letto Viaggio in Occidente io, una ragazzina di tredici anni, a scuola avevo cercato l'India sulla mappa del mondo. Non ero riuscita a trovarla, era il triangolo giallo cromo su cui poggiavo la mano e quando la sollevai, come su un tappeto magico lei mi volò dritta nel cuore.

Venivo da una famiglia povera e in quei giorni la mia preoccupazione era che presto sarebbe iniziato il nuovo semestre e io non sapevo dove trovare i soldi per le tasse scolastiche, sarebbe stato meglio piangere e disperarmi o raccomandarmi a Zao Jun, il protettore del focolare? Una mattina all'alba, saltai fuori dal letto e corsi a mettermi in fila per le verdure, si prendevano con i tagliandi, ma quello che io reggevo in mano fu soffiato via dal vento. In preda al panico io mi misi a cercarlo dappertutto, senza la verdura dovevi contentarti della salsa di soia sul riso. In quella vita dura fatta di giorni difficili, dimenticai il nome della terra lontana dal suono misterioso, e la mia anima smise di fare viaggi.

Poi un giorno me ne andai di casa, e le amarezze quotidiane furono tradotte in scrittura. Per sopravvivere, tradivo il mio cuore scrivendo di cose che non mi piacevano: scrivere era travaglio, noia e fatica. Spesso i miei testi erano insopportabili persino per me. A quel tempo, fu naturale che dimenticassi come si sogna. Poi d'un tratto mi tornavano alla mente le persone e i fatti della vita e mi accorgevo di aver perduto qualcosa di raro: che mi spettava di diritto e che io non avevo, ancora più prezioso proprio perché indistinto...

虹影

《阿难》

——献给A

我是永远无法爱你,所以我到印度来逃避你。

没有实现的爱才是最稀罕的爱。

第一章

我必须写下遗言,再晚就来不及了。

遗言本身倒是很简单,没有什么生前不宜说不便说的秘密:我的死与别人无关,绝对是我个人的选择。不要任何告别追思,留骨灰。只需按我开列的几个地址,把此信复印件寄过去。首先,让他们不必再等永远不晚的君子报仇机会,这对他们是个精神解放;同时警告他们,不允许在报刊上写纪念我这个"生前好友"的文字。目前我无此忧虑:没有编辑会刊登关于我的消息。我是要他们将来写自传时——这几个人肯定是写自传的人物——不许冒充我的朋友或敌人,我此生无敌无友。

伪造历史是可耻的。

如此而已。结束。

以下是利用命运多给我的几分钟,写给拆看此遗书的人:我现在心境坦然,如深井之水,没有一点悲伤,当然谈不上疯狂。事实上我非常健康,我的肌体没有丝毫朽败的痕迹,像一枚熟鸡蛋一样净洁,值得爱护。每天一早就起床,每晚洗澡后,半杯红酒一杯牛奶,我一生从未感到如此宁静。

看此信的人,谢谢你完成写后之读。你会理解我的,即使你这刻不能,今后总有一刻你能。为了保证死无回头,我会给自己一个双重死亡。例如过量安眠药加上割腕动脉。医院救了一个顾不了另一个。但法医会认为是谋杀伪装自杀。为避免无谓纷扰,我现在写下我的死亡剂量——

不,不能写了,黑衣人已经推开虚掩的门,蹑足朝我一步步而来,我感觉得到自己兴奋起来。我已经听见他的凶器在铮铮作声。我知道你会抱怨:我至少应当给一点解释。但是没时间了。我得放下笔,转身去拥抱他。

第二章

飞机过了黄河,继续朝西南方向飞,北方单调的衰黄消失了。但云层之上,常常整个小时全是一样无聊的景致,一成不变的混沌。我坐在靠窗的位子上,喝着咖啡。机舱正在放一部搞笑片,把臭鸭蛋汁涂在郁金香里,当街让路人闻,隐藏的摄像机拍下每个人的怪相。耳机里笑声大震,机舱里却静无一声。邻座戴着耳机却鼾声连连。我早就丢开耳机,拉下窗罩闭目养神,睡意淹上来。

突然,眼睛被一种奇异的感觉撑开,窗缝中透过一线蓝光。我推上窗罩,竟是无边无际一色净蓝,镶嵌在白如喷玉的雪岭间,莽莽苍苍的雪山世界,好像是另外一个星球。强烈的光芒涌上来,这纯蓝纯白,刷地一下撕开我的视网膜,美得叫人透不过气来。

我赶快坐直身体,贪婪地扑到玻璃窗边看:帕米尔!这就是帕米尔了!我想。飞机正正在越过世界屋顶,像一条沉默的大鲨鱼,擦靠着怪石嶙峋的海底慢慢巡游。从空中看,那远远的高峰弧线弧形,漫漫无垠,看来就是昆仑与兴都库什像两条巨蟒缠结。掠过机翼,昆仑山远远不止两千五百公里,如一个巨大的军团,悄无一声环绕着整个地球沉沉行进。我往下看,看山与山之间的幽幽深谷,我觉得身体轻轻浮起来,意识轻得干脆消失了。一刹那间,我觉得已经离开飞机,飘在空中。

我忽地猛醒,赶快抓住座位把手。难怪世界上那么多人,不管是不是信徒,热衷于到印度朝圣,翻过了这些人寰的雪峰,还有什么不是神圣的?难怪苏霏会生拉活扯地要我作此行,她精致的脸此时露出得意的浅笑,说你看你看,明白了吧!

为这一瞬间的灵魂出窍,我得好好感谢她。我打开超薄便携电脑,点开网页,写了一大篇。才想到飞机上不能上网,当然也不能接送电子信,只好悻悻作罢,放进待送件里。什么时候才能有这样抒情的兴致?我们的生活已经结实甜腻有如一块咖啡色的巧克力。

一个星期前苏霏从香港打来电话,要我写一本印度之行的书。她的要求很模糊:说是可以像传记,也可以采风片断。

我说什么"传记",是游记吧!这几年出版界弄出个行走文学热,邀请一批作家拿黄河抒情,去东北三省采风,西藏跋涉。给了面子请我,我不该把架子。但是,写书在我一直是很痛苦的事:我的写作生涯,从来没有什么创造兴奋,如痴如醉地狂书只是别人的福分。我经常像临盆半个月生不下孩子的孕妇:万般难受,还得控制自己,不要发疯。一整天袭来只写了几页纸,没有一字满意。端坐在桌前,觉得还不如世界末日降临,让全世界,让我本人,还有这几页烂字,全部在地狱之火中灰飞烟灭。

或许像我这样有终身"笔障"的人,做作家实际上是自己找罪受。灵感如久等不到的情人,精子不游来如何结果?跑到外面去疯,几乎就是承认自己久已绝经。至于与几个从无来往的人合写一套订做的书,就像参与拍一部"贺年片",别人没笑,自己已经觉得太贫嘴。

苏霏在电话那端听我奚落了一大通,然后不紧不慢地说,"就你一个人去印度,写不出来也没关系。"还没等我说话,又说,"那个国度终会在你手心里热起来,是魔呀!"

我从来没听人约写不出没关系的稿,魔?到佛国找"魔"?我轻轻笑了。

她说,"别只顾笑,你一定得帮我这个忙。我早就跟你说了,不能光顾着写流芳百世的大部头小说,你应该包写专栏,写作就会像走上新轨道的车。得让一叠定货单逼着你。我知道你不信,这次算试验:你一路写,网上保持每两天更新连载,香港《每日半月刊》每期刊登,最后成书也是每日集团出。"

苏霏是《每日报》执行副主编、星云网的CEO,图腾影视公司董事长,在香港算得上媒体顶尖级人物,著名新经济女强人。她一谈实的,我反而仔细听了,倒不是贪利,而是听传媒人谈艺术特别难受:不是说他们谈艺术外行,这些聪明人物比我们文人智商高得多。只是他们一谈艺术,总让人觉得话后有话,听他们谈"条件",才揣摸得出真心的程度。

苏霏认真地说,"内地出版社一般只出三万人民币预付金,最多也就是五万人民币,我们预付你两万美元作旅费,稿费每次发表都付——每次都是一字一港币,怎么样?"她又加了一句:"名家嘛!"

"别乱捧了!大牌作家多着呐,为什么我去!"我反问。其实我有点心动,不仅是钱的诱惑,而是苏霏非要我去不可的决心,以及如此高价的抬捧,的确是面子。我不是超凡脱俗之辈,有预付金,有稿费,我得养活自己。我并不清高,也没人稀罕我清高。我心里明白顶不住这个诱惑,嘴上还是不肯应承。

她在电话那端声音变甜润了:"如果阿难在印度,你的'笔障'不就烟消云散了吗?"

我和苏霏谈话,一说到阿难,气氛马上不同。看来苏霏真的急了,不让我讨价还价,就亮出了杀手锏。来得太突然,却让我怔住了。

苏霏猜透我在想什么:"你是傲慢的极点,谁对你不感兴趣,你才对谁有兴趣。阿难也是傲慢的别名,只愿见对他傲慢的人。你们俩不想比试比试这劲头?"

我支支吾吾,心里咯噔一响,懂了,原来这姑奶奶是要我去追着采访阿难,难怪她说书可写得像"传记",我还以为是她口误。

阿难是我十五六年前崇拜的对象,那时青春年少,阿难是"异类第一"的摇滚歌星。闻名中国正当红时,此人突然告别艺坛,去做别的事。

我一直都没有缘认识这个奇人。自从和苏霏认识成为好朋友后,关于这个人听得实在太多。她自称是阿难"第一迷",是香港传媒最早到中国采访阿难的人。没有明说的言下之意:她是这位天才的发现者,甚至她是阿难神话的创造人。

我说:"好苏霏,不用再说了。我得盘算一下,看手中别的事能否让路?半天后给你回答。"

"行。这条电话线给你空着。就等你一句话。"

结果,不到一个小时,我就打电话过去了,说我同意去印度,而且第二天就可以出发

我听见苏霏在那头得意地笑了。

"我知道你是爽快人,和我一样。"她让我第二天上午到机场取了票就走,机票早就订好在我的名字下,是回程OPEN头等舱,

这个苏霏,早猜到我不仅会同意,而且会抛开一切,马上就走!我佩服得想马上放下电话,以免她从这根细细的电话线,又揣摸到我的什么心思。但是我必须向她提出一点,关键性的一点:整个旅程,一切用电脑联系,便于文字直接在网上连载。不用手机,免得双方一时贪图方便,放弃了网络文学的特色。

我这么要求当然有我的考虑:我希望有一点独立行动的自由,我不想完全被她拽住缰绳。

苏霏没有像到我以子之矛攻子之盾。但她是"网络皇后",兴趣恐怕被勾起来了:"行,我们来一个创新的'网上文学旅游跟踪采访录'。但是,每天至少一两次联系。"

"总不能让读者都看到我们的网上传情吧?"我笑起来。

她也乐了,"当然,不会全部公开,要编辑一下。"

"那就好",我说。"谅你也不敢公开。再见,我去整理行装。"

"别着急"。苏霏好像放下一桩心事,突然来了谈性:"别放下电话,我们姐妹俩聊聊:我这刻正高兴。你以前写历史的短篇小说都缺少冲击我的电波,甚至你的小说,写得不错,但我总觉得差了什么。你可以让一千个亡魂与你的小说一起震荡,可是对我无用。我只听到房外刮风声,看不到房内人暴戾的心。"

"阿难现在在印度做什么?"我不客气地打断她。传媒老板又谈起艺术,而且语言尖刻刁酸,好像存心拿吃文字饭的人开心,不断提醒我世界上最容易不过的是当文人,作家诗人只是图虚名的懒人而已。

苏霏话锋被我挡开,"这点不重要。"

"你怎么知道阿难在印度?"我紧追不舍。

"猜测而已。"她语气中听不出任何不快。"如果撞上异乡奇遇,岂不知妙事。"

我知道她不愿意深谈。暂时到此为止就可以了。于是我问:"那么我去干什么?"

"那儿雌雄孔雀都渴望你,嫉妒的叫声,我在香港听得耳膜疼,你的笔落进万丈地狱也会开出三十六朵莲花。"

我当然明白苏霏的讥讽,真正里手行家才会懂得花刀高招。苏霏击中了我的要害。我已经手撑着下巴,在笔障前痛苦了几个月,不,几乎有一年了。有时候,我觉得我的脑子已经成了化石,我的写作生涯,也得像我之前的许多作家,尤其是女作家,远远未到更年期,就截断了创作激情。

我当然不相信在异乡会找到灵感,只是苏霏——这个不达目的不罢休的女强人,她或许是我的催命鬼。看来我不写一本她要的书,封不住她讥讽的舌头!我没有再推却的理由。

所以,今天我飞越帕米尔,实际上是被命运突然抛过来。

虽然我如每个孩子,曾幻想某一天能够到印度去。掐指一算,这梦做在十几年前,还远一点,应该在二十五年前——第一次从书上读到 "三魂六魄,早飞到爪哇国"的句子,我实在神往不已。爪哇做过世界上最远的地方。《史记》里印度有个吓人的名字,叫"身毒"。要到印度光是灵魂出窍还不行,还要有追索的韧劲毅力,那是玄奘去的地方。二十五年前,我还是一个十三四岁的少女时,有一天读完《西游记》,我在学校的世界地图上找它,怎么也找不到,原来正是我的手按住的一块铬黄色三角,我一松手,它就像一张大地毯神奇地飞落在我的心里。

那时我还是个穷人家的小女儿,整天担忧马上新学期到,我该用什么办法,在家哭闹,还是求灶神爷帮助,才能弄到学费。那个早晨天麻麻亮,我跳出被窝,一溜小跑去排队等菜,拿着的菜票却被风吹掉了,我只好惊惊乍乍地一路顺风找,有了菜票才有菜,没有菜就用酱油泡饭。生活艰辛,日子难过,我忘了远方异国名称,那辆个音调神秘的子,就此少了一些魂魄之旅。

后来,一个人离家远走,出门在外,多少辛酸化一纸文章,为生存,从一开始我就违心写一些自己不喜欢的题材:写作成了劳作,枯燥累人,有时自己写的东西自己看了都恶心。那种年月,忘记做梦是当然的,偶尔我回想生命里曾有过的人和事时,会觉得我失去一些宝贵的东西:其中有些东西似应有却我,正因模糊而更宝贵。

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