L'orda. Quando gli albanesi eravamo noi (Gianantonio Stella)
  2010-09-29 13:36:04  cri

La feccia del pianeta, questo eravamo. Meglio: così eravamo visti. Non eravamo considerati di razza biancanei tribunali dell'Alabama. Ci era vietato l'accesso alle sale d'aspetto di terza classe alla stazione di Basilea. Venivamo

martellati da campagne di stampa indecenti che ci dipingevano come «una maledetta razza di assassini».

Cercavamo casa schiacciati dalla fama d'essere «sporchi come maiali». Dovevamo tenere nascosti i bambini come Anna Frank in una Svizzera dove ci era proibito portarceli dietro. Eravamo emarginati dai preti dei paesi d'adozione

come cattolici primitivi e un po' pagani. Finivamo appesi nei pubblici linciaggi con l'accusa di fare i crumiri o semplicemente di essere «tutti siciliani».

«Bel paese, brutta gente.» Ce lo siamo tirati dietro per un pezzo, questo modo di dire diffuso in tutta l'Europa e scelto dallo scrittore Claus Gatterer come titolo di un romanzo in cui racconta la diffidenza e l'ostilità dei sudtirolesi

verso gli italiani. Oggi raccontiamo a noi stessi, con patriottica ipocrisia, che eravamo «poveri ma belli», che i nostri nonni erano molto diversi dai curdi o dai cingalesi che sbarcano sulle nostre coste, che ci insediavamo senza creare problemi, che nei paesi di immigrazione eravamo ben accolti o ci guadagnavamo comunque subito la stima, il rispetto, l'affetto delle popolazioni

locali. Ma non è così.

Certo, la nostra storia collettiva di emigranti – cominciata in tempi lontani se è vero che un proverbio del '400 dice che «passeri e fiorentini son per tutto il mondo» e che Vasco da Gama incontrava veneziani in quasi tutti i porti dell'India – è nel complesso positiva. Molto, molto, molto positiva. Abbiamo dato alla Francia pittori come Paul Cézanne il cui vero cognome era Cesana, statisti come Léon Gambetta che restituì l'orgoglio al suo paese dopo la sconfitta di Sedan o scrittori come Émile Zola, autore de I misteri di Marsiglia, Thérèse Raquin e del ciclo di romanzi naturalisti noti come I Rougon-Macquart, ma ricordato anche per l'invettiva J'accuse che, pubblicata da L'Aurore, gli procurò una condanna a un anno di carcere e l'esilio a Londra, ma riuscì a riaprire il caso di Alfred Dreyfus, l'ufficiale ebreo degradato e condannato per alto tradimento e destinato a essere riabilitato dopo una durissima polemica.

Abbiamo dato all'Argentina patrioti quali Manuel Belgrano che era figlio di un genovese ed è ricordato non solo come l'ideatore della bandiera nazionale bianca e azzurra ma anche come uno dei padri dell'indipendenza dalla Spagna, al punto che la sua data di nascita è diventata una festa nazionale: la Giornata dell'Emigrante Italiano. E poi scrittori come Ernesto Sabato, grandi musicisti del tango come Astor Piazzolla, calciatori come Antonio Valentin Angelillo, mitici piloti automobilistici come Juan Manuel Fangio, industriali come Agostino Rocca.

Abbiamo dato all'Australia personaggi mitici come Raffaello Carboni, un garibaldino che in seguito al tracollo della Repubblica Romana del 1849 finì dopo mille avventure nel Victoria a fare il cercatore d'oro e guidò nel 1854 a Ballarat la rivolta dei minatori passata alla storia come l'atto di nascita della democrazia moderna nel nuovissimo continente e raccontata da Carboni in Eureka Stockade, libro che gli guadagnò l'ingresso tra i grandi scrittori australiani. Per non parlare dei produttori vinicoli come Dino «Dean» De Bortoli o dei politici come il governatore del Victoria James Gobbo o il sindaco di Sydney Frank Sartor.

E poi abbiamo dato all'Ungheria eroi nazionali come quel Filippo Scolari che viene lì ricordato come Pippo Spano. Al Venezuela libertadores come quel Simón Bolívar che, racconta Incisa di Camerana ne Il grande esodo, aveva tra gli avi un Ponte che veniva da Genova e un Graterol arrivato da Venezia. All'Inghilterra drammaturghi come Nicola Grimaldi, adottato nel sedicesimo secolo come Nicholas Grimald. Alla Russia decine e decine di operai specializzati, finiti come il friulano Domenico Indri addirittura in Cina a costruire la Transiberiana. E poi mercanti a tutta l'area del Mar Nero, al punto che ancora nel 1915 i cartelli stradali di Odessa erano in italiano. E un'intera classe dirigente all'Egitto di Abbas el Said, a metà Ottocento, quando l'italiano era così diffuso che veniva usato dal Cairo come lingua diplomatica.

Per non dire dell'America. Senza contare gli esploratori Cristoforo Colombo o Giovanni Caboto, le abbiamo dato alcuni degli uomini di spicco della sua storia. Come il toscano Filippo Mazzei, che finì nelle allora colonie inglesi dopo essere stato cacciato da Firenze per avervi portato di contrabbando una botte piena di libri illuministi e si guadagnò gran fama scrivendo sulla Virginia Gazette, su pressione di Thomas Jefferson, articoli fiammeggianti (firmati «Il Furioso») che teorizzavano il distacco da Londra e martellavano sull'idea che «tutti gli uomini sono per natura egualmente liberi e indipendenti», definizione

che sarebbe entrata quale concetto-base della dichiarazione d'indipendenza americana.

E come non ricordare Lorenzo Da Ponte, che dopo aver scritto per Mozart i libretti delle Nozze di Figaro, del Don Giovanni e di Così fan tutte, finì a New York dove nel 1819, già vecchio, fondò la cattedra di letteratura italiana al Columbia College, destinato a diventare la Columbia University? Per non dire di Edoardo Ferraro, che durante la guerra civile fu l'unico generale a comandare una divisione composta interamente da neri liberati. O padre Carlo Mazzucchelli, che nel 1833 predicava tra i pellerossa e per primo mise per iscritto, con un libro di preghiere, la lingua sioux. O Antonio Meucci, che inventò il telefono (come ha decretato la Camera americana nel 2002 dandogli ragione dopo 113 anni in cui l'invenzione era stata attribuita a Bell) allestendo nella sua casa a Staten Island «un collegamento permanente tra il laboratorio nello scantinato e la stanza della moglie, che soffriva di un'artrite deformante, al secondo piano». O ancora Fiorello La Guardia che, dopo essersi fatto la

scorza dura in Arizona (ricordò per tutta la vita l'insulto di un razzista che deridendo gli ambulanti italiani che giravano con l'organetto gli aveva gridato: «Ehi, Fiorello, dov'è la scimmia?»), diventò il più popolare dei sindaci

di New York.

Non c'è paese che non si sia arricchito, economicamente e culturalmente, con l'apporto degli italiani. In 27 milioni se ne andarono, nel secolo del grande

esodo dal 1876 al 1976. E tantissimi fecero davvero fortuna. Come Amedeo Obici, che partì da Le Havre a undici anni e sgobbando come un matto diventò il re delle noccioline americane: «Mister Peanuts». O Giovanni Giol, che dopo aver fatto un sacco di soldi col vino in Argentina rientrò e comprò chilometri di buona terra nel Veneto dando all'immensa azienda agricola il nome di «Mendoza». O Geremia Lunardelli che, come racconta Ulderico Bernardi in Addio Patria, arrivò in Brasile senza una lira e finì per affermarsi in pochi anni come il re del caffè carioca, quindi mondiale.

Quelli sì li ricordiamo, noi italiani. Quelli che ci hannodato lustro, che ci hanno inorgoglito, che grazie alla serenità guadagnata col raggiungimento del benessere non ci hanno fatto pesare l'ottuso e indecente silenzio dal quale sono sempre stati accompagnati. Gli altri no. Quelli che non ce l'hanno fatta e sopravvivono oggi tra mille difficoltà nelle periferie di San Paolo, Buenos Aires, New York o Melbourne fatichiamo a ricordarli. Abbiamo perduto 27 milioni di padri e di fratelli eppure quasi non ne trovi traccia nei libri di scuola. Erano partiti, fine. Erano la testimonianza di una storica sconfitta, fine. Erano una piaga da nascondere, fine. (…)

Di tutta la storia della nostra emigrazione abbiamo tenuto solo qualche pezzo. La straordinaria dimostrazione di forza, di bravura e di resistenza dei nostri contadini in Brasile o in Argentina. Le curiosità di città come Nova

Milano o Nova Trento, sparse qua e là ma soprattutto negli Usa dove si contano due Napoli, quattro Venezia e Palermo, cinque Roma. Le lacrime per i minatori mandati in Belgio in cambio di 200 chili l'uno di carbone al giorno

e morti in tragedie come quella di Marcinelle, dove i nostri poveretti vivevano nelle baracche di quello che era stato un lager nazista. I successi di manager alla Lee Jacocca, di politici alla Mario Cuomo, di uno stuolo di attori da Rodolfo Valentino a Robert De Niro, da Ann Bancroft (all'anagrafe Anna Maria Italiano) a Leonardo Di Caprio. La generosità delle rimesse dei veneti e dei friulani che hanno dato il via al miracolo del Nordest. La stima conquistata alla Volkswagen dai capireparto siciliani o calabresi. E su questi pezzi di storia abbiamo costruito l'idea che noi eravamo diversi. Di più: eravamo migliori.

Non è così. Non c'è stereotipo rinfacciato agli immigrati di oggi che non sia già stato rinfacciato, un secolo o solo pochi anni fa, a noi. «Loro» sono clandestini? Lo siamo stati anche noi: a milioni, tanto che i consolati ci raccomandavano di pattugliare meglio i valichi alpini e le coste non per gli arrivi ma per le partenze. «Loro» si accalcano in osceni tuguri in condizioni igieniche rivoltanti?

L'abbiamo fatto anche noi, al punto che a New York il prete irlandese Bernard Lynch teorizzava che «gli italiani riescono a stare in uno spazio minore di qualsiasi altro popolo, se si eccettuano, forse, i cinesi». «Loro» vendono le donne? Ce le siamo vendute anche noi, perfino ai bordelli di Porto Said o del Maghreb. Sfruttano i bambini? Noi abbiamo trafficato per decenni coi nostri,

cedendoli agli sfruttatori più infami o mettendoli all'asta nei mercati d'oltralpe. Rubano il lavoro ai nostri disoccupati? Noi siamo stati massacrati, con l'accusa di rubare il lavoro agli altri. Importano criminalità? Noi ne abbiamo esportata dappertutto. Fanno troppi figli rispetto alla media italiana mettendo a rischio i nostri equilibri demografici? Noi spaventavamo allo stesso modo gli altri.

Basti leggere i reportage sugli Usa della giornalista Amy Bernardy, i libri sull'Australia di Tito Cecilia o Brasile per sempre di Francesca Massarotto. La quale racconta che i nostri emigrati facevano in media 8,25 figli a coppia ma

che nel Rio Grande do Sul «ne mettevano al mondo fino a 10, 12 e anche 15 così com'era nelle campagne del Veneto, del Friuli e del Trentino». (..)

E in questa doppia versione dei fatti può essere riassunta tutta la storia dell'emigrazione italiana. Una storia carica di verità e di bugie. In cui non sempre puoi dire chi avesse ragione e chi torto. Eravamo sporchi? Certo,

ma furono infami molti ritratti dipinti su di noi. Era vergognoso accusarci di essere tutti mafiosi? Certo, ma non possiamo negare d'avere importato noi negli States la mafia e la camorra. La verità è fatta di più facce. Sfumature.

Ambiguità. E se andiamo a ricostruire l'altra metà della nostra storia, si vedrà che l'unica vera e sostanziale differenza tra «noi» allora e gli immigrati in Europa oggi, fatta eccezione per l'esportazione della violenza religiosa,

un fenomeno che riguarda una minoranza del mondo islamico ma non ha mai toccato gli italiani (a parte il contributo al terrorismo irlandese e cattolico dell'Ira da parte di Angelo Fusco e altri figli di emigrati a Belfast e dintorni), è quasi sempre lo stacco temporale. Noi abbiamo vissuto l'esperienza prima, loro dopo. Punto. Detto questo, per carità: alla larga dal buonismo, dall'apertura

totale delle frontiere, dall'esaltazione scriteriata del melting pot, dal rispetto politicamente corretto ma a volte suicida di tutte le culture. Ma alla larga più

ancora dal razzismo. Dal fetore insopportabile di xenofobia che monta, monta, monta in una società che ha rimosso una parte del suo passato. Certo, un paese è di chi lo abita, lo ha costruito, lo ha modellato su misura della sua storia, dei suoi costumi, delle sue convinzioni politiche e religiose. Di più: ogni popolo ha il diritto, in linea di principio ed entro certi limiti, di essere padrone in casa propria. E dunque di decidere, per mantenere l'equilibrio a suo parere corretto, se far entrare nuovi ospiti e quanti. Di più ancora: in nome di questo equilibrio

e di tanti valori condivisi (la democrazia, il rispetto della donna, la laicità dello stato, l'uguaglianza di tutti gli uomini...) può arrivare perfino a decidere una politica delle quote che privilegi (laicamente) questa o quella componente. In un mondo di diffusa illegalità come il nostro, possono essere invocate anche le impronte digitali, i registri degli arrivi, la sorveglianza assidua delle minoranze

a rischio, l'espulsione dei delinquenti, la mano pesante con chi sbaglia.

La xenofobia, però, è un'altra cosa. «Ma perché questa parola deve avere un significato negativo?», ha sbuffato testualmente in televisione il presidente del consiglio Silvio Berlusconi nel maggio 2002. La risposta al vocabolario

Treccani: «Xenofobia: sentimento di avversione per gli stranieri e per ciò che è straniero, che si manifesta in atteggiamenti razzistici e azioni di insofferenza e

ostilità verso le usanze, la cultura e gli abitanti stessi di altri paesi». Più sbrigativo ancora il significato di xenofobo: «Chi nutre odio o avversione indiscriminata verso tutti gli stranieri». Nessuna confusione. Una cosa è la legittima scelta di un paese di mantenere la propria dimensione, le proprie

regole, i propri equilibri, un'altra giocare sporco sui sentimenti sporchi dicendo come il leader leghista Umberto Bossi che «nei prossimi dieci anni porteranno in Padania 13 o 15 milioni di immigrati, per tenere nella colonia romano-congolese questa maledetta razza padana, razza pura, razza eletta». Una cosa è sbattere fuori quei musulmani fanatici che puntano al rovesciamento violento

della nostra società, un'altra spargere piscio di maiale sui terreni dove dovrebbe sorgere una moschea. (…)

Vale per tutti, dall'Australia alla Patagonia. Ma più ancora, dopo decenni di violenze e stereotipi visti dall'altra parte, dovrebbe valere per noi. Che dovremmo ricordare sempre come l'arrivo dei nostri emigrati coi loro fagotti

e le donne e i bambini venisse accolto dai razzisti locali: con lo stesso urlo che oggi viene cavalcato dagli xenofobi italiani, per motivi elettorali, contro gli immigrati. Lo stesso urlo, le stesse parole. Quelle che prendono alla pancia rievocando i secoli bui, la grande paura, i barbari, Attila, gli unni con la carne macerata sotto la sella: arriva l'orda!

(da L'orda. Quando gli albanesi eravamo noi, Rizzoli 2002)

吉安•安东尼奥•斯特拉

选自《游牧部落。当我们是阿尔巴尼亚人的时候》

说到地球上的渣滓,当时就是我们。或者说:人们曾经是这样看我们的。他们并不把我们当作亚拉巴马部落的白人种族看待。在巴西利亚火车站,我们被禁止进入三等车厢的候车室。新闻界连篇累牍地抨击我们,无理地把我们描绘为"一个该诅咒的凶手民族。"

我们背负着"像猪一样肮脏"的恶名寻找房子。我们不得不将孩子藏起来,就像安娜•弗兰科那样,因为瑞士人禁止我们带着孩子。作为最早而且有些世俗化的天主教徒,我们被所在国的教士边缘化。我们因为破坏罢工,或者仅仅因为"都是西西里人"而被当众吊死。

《美丽的国家,丑陋的人。》这个称呼跟随了我们很长时间,而且在整个欧洲流行,并成为作家克劳斯•加特雷尔(Claus Gatterer,1924-)撰写的一本小说的标题。该书中叙述了南蒂罗尔人对意大利人的冷漠与敌视。如今,出于虚伪的爱国主义,我们对自己说当时曾经"贫穷而美丽",而且我们的祖辈与如今在意大利沿岸登陆的库尔德人和僧伽罗人有很大的不同。我们在那些国家定居,但是没有制造麻烦。在移居的国家里,我们受到很好的接待,而且立刻得到了当地居民的尊敬与好感。但是,事实并非如此。

十五世纪的一则谚语说道:"麻雀和佛罗伦萨人遍布世界"。葡萄牙探险家瓦斯科•达•伽马(Vasco da Gama,1469-1524)在印度的几乎所有港口都遇到了威尼斯人。假如以上说法属实,那么我们的集体移民史由来已久,而且总的来说是积极的。非常,非常,非常积极。我们把像保罗•塞尚(Paul Cézanne,1839-1906)这样的画家送到了法国。他的真实姓氏是切萨纳(Cesana)。还有像雷昂•冈贝塔(Léon Gambetta,1838-1882)这样的统计学家。在色当之战失利之后,他使自己的国家重新恢复了骄傲。或者像左拉(Émile Zola,1840-1902)这样的作家,小说《马赛之谜》,《黛莱丝•拉甘》,以及著名自然主义系列小说《卢贡-马卡尔家族》的作者。不过,他也曾在《震旦报》上发表了谩骂式的小说《我控诉》(J'accuse),并因此被判处一年徒刑,并且流放到伦敦。另外,左拉还成功地使将军瑞佛斯上尉事件的案件得到重新审理。这位犹太人将军以高级叛国罪遭到指控,并被处以降级和相应刑罚。经历了一场非常艰苦的论战,他的冤案才得到平反。

我们还把爱国者马努埃尔•贝尔加拉诺(Manuel Belgrano,1770-1820)派到了阿根廷。他是热那亚人的儿子。在人们的记忆中,他不仅仅是阿根廷蓝白两色国旗的设计者,还是西班牙独立的先驱之一。他的生日甚至成为了西班牙民族节日:意大利移民日。还有像埃内斯托•萨瓦托(Ernesto Sabato,1911-)这样的作家,像阿斯多尔• 皮亚左拉(Astor Piazzolla,1921-1992)这样的探戈音乐大师,像安杰利洛(Antonio Valentin Angelillo,1937-)这样的足球运动员,像范吉奥(Juan Manuel Fangio,1911-1995)这样谜一般的赛车手,和像阿格斯蒂诺•罗卡(Agostino Rocca,1895-1978)这样的企业家。

我们向澳大利亚输送了像拉斐尔•卡尔伯尼(Raffaello Carboni,1817-1875)这样神秘的人物。在1849年罗马共和国崩溃之后,这位红衫军成员成为了澳大利亚维多利亚州的一名淘金者,并且经历了种种奇遇。1854年,他领导了巴拉拉特金矿矿工起义,该次起义标志着新大陆现代民主的诞生。卡尔伯尼在他的《尤里卡栅栏叛乱》(Eureka Stockade)一书中对这个历史性事件进行了描述。凭借这本书,他跻身澳大利亚最伟大的作家行列。更不要说像蒂诺(戴恩)•德•博尔托利(Dino «Dean» De Bortoli)这样的葡萄酒生产商,或者像维多利亚州州长维多利亚•詹姆斯•戈博(Victoria James Gobbo,1931-),和弗兰克•撒尔托尔市长(Frank Sartor,1951-)这样的政治家。

此外,还有匈牙利民族英雄飞利浦•斯科拉利(Filippo Scolari,1369-1426),在那里人们称他为皮波•萨帕诺(Pippo Spano);委内瑞拉解放者西蒙•波利维尔(Simón Bolívar,1783-1830)。因奇撒•迪•卡美兰(Incisa di Camerana,1934-)在他的《大迁徙》(Il grande esodo)中描述道,在他的祖先中,有一个来自热那亚的彭特,和一个来自威尼斯的格拉特洛尔。在英国,又有像尼可拉•格里马尔迪(Nicola Grimaldi,1645-1717)这样的戏剧家,在十六世纪他的名字被改为尼古拉•格里马尔(Nicholas Grimald)。在俄罗斯,几十个技术工人参加修筑穿越西伯利亚的铁路,其中弗利乌利人多美尼克•尹德利(Domenico Indri,1845-1917)最终甚至到了中国。另外,还有布满黑海沿岸国家的商人,甚至在1915年,敖德萨地图用的还是意大利语。在十九世纪阿巴斯•埃尔•萨义德(Abbas el Said)统治时期的埃及,整个统治阶级都在使用意大利语,因为意大利语在那里非常普及,而且被开罗政府作为外交语言。

更不要说美洲。除了克里斯托弗•哥伦布(Cristoforo Colombo,1451-1506),乔万尼•卡伯托(Giovanni Caboto,1450-1498)这样的探险家,我们还为他们输送了另外一些美洲历史上卓越的人才。比如托斯卡纳人菲利普•马采伊(Filippo Mazzei,1720-1816)。他因为偷偷运回满满一桶启蒙学者的著作被佛罗伦萨驱逐,最终到达了当时的英属殖民地。在托马斯•杰斐逊(Thomas Jefferson,1743-1826)的敦促下,他在《维吉尼亚公报》(Virginia Gazette)上撰写了言辞激烈的文章(署名"狂人"),因此获得了很高的名望。文中要求脱离伦敦,并且强调"所有人生来都同样是自由和独立的。"这个定义作为基本思想被写入了美国独立宣言。

我们又怎么能忘记洛伦佐•达•彭特(Lorenzo Da Ponte,1749-1838)。在为莫扎特撰写了《费加罗的婚礼》、《堂吉诃德》、和《女人心》等歌剧的剧本之后,他来到了纽约。1819年,已经衰老的他在哥伦比亚学校创建了意大利文学讲坛,这所学校注定要成为哥伦比亚大学?更不要说爱多阿尔多•费列罗(Edoardo Ferraro)。在内战中,他是唯一率领着一支完全由解放了的黑人组成的队伍的将军。或者是卡尔洛•马祖盖里(Carlo Mazzucchelli)神父。1833年,他在印第安人中间传教,并首先在一本祈祷书中将印第安苏褐人的语言变成了书面文字。或者说安东尼奥•梅乌齐(Antonio Meucci,1808-1889)。他在史坦顿岛的家里安装了"地下实验室和妻子房间的常设连接"。他的妻子住在二楼,患有类风湿性关节炎。他因此发明了电话(2002年美国议会颁布法令承认了他的这项发明,而在以往的113年里,这项发明一直被认为属于贝尔)。又或者是费奥雷罗•拉•瓜尔迪亚(Fiorello La Guardia,1882-1947)。在美国亚利桑那州(他一生都会记得曾经听到的一个种族主义者的辱骂。后者取笑演奏手风琴的意大利流浪音乐家,并且对他喊叫说:"嘿,费奥雷罗,猴子在哪儿?")他练就钢筋铁骨,后来成为最受欢迎的纽约市长。

没有哪个国家在经济和文化上的发展不是受益于意大利人。在1876到1976年这段漫长的时期中,意大利一共输出了两千七百万移民。比如说阿梅代欧•奥比齐(Amedeo Obici,1878-1947)。他11岁从勒阿佛尔出发,像疯子一样拼命劳作,终于成为美洲坚果之王,"坚果先生"。还有乔万尼•卓尔(Giovanni Giol,1929-)。回国后,凭借在阿根廷卖酒积累的财富,他在威内托大区购买了几公里长的土地,并且把自己庞大的农业公司取名为"门多萨"(阿根廷的一个省)。还有咖啡大王杰雷米亚•卢纳尔德利(Geremia Lunardelli,1885-1962)。正如乌尔德利科•贝尔纳尔迪(Ulderico Bernardi,1937-)在《永别祖国》(Addio Patria)中所写的那样:到达巴西的时候,他身无分文,而仅仅几年之后,他却成为里约热内卢深培咖啡之王,继而成为世界咖啡之王。

那些人我们是记得的,我们意大利人。那些人使我们面上有光,令我们骄傲。富足的生活使他们表情安详,没有用他们曾经经历过的沉闷而不体面的沉默令我们感觉沉重。其他人就不一样的了。那些没有获得成功,如今仍然在圣保罗、布伊诺斯艾利斯、纽约,或者墨尔本郊区艰难生活的人们,我们很难想起他们。我们失去了两千七百万父兄,但在我们的教科书中却找不到他们的痕迹。他们走了,仅此而已。他们曾经见证了一段失败的历史,结束。他们是一道必须掩盖的伤痕,完了。(……)

在整个的移民史中,我们仅仅保留了一些片段。我们的公民在巴西或者阿根廷表现出非凡的力量、才干和毅力。新米兰或者新特伦托这些奇特的城市遍地皆是。尤其在美国就有两个拿波里,四个威尼斯和巴勒莫,五个罗马。派往比利时的矿工的生活充满了血泪。他们每人每天的工作只能换到200公斤的煤,而且最终死在了像马西内勒惨案这样的悲剧中。这些可怜人就住在曾经是纳粹集中营的棚屋里。美国汽车巨头李•艾柯卡(Lee Jacocca,1924-),纽约州州长马里奥•郭默(Mario Cuomo,1932-)这样的政治家,以及众多的像鲁道夫•瓦伦蒂诺(Rodolfo Valentino,1895-1926),罗伯特•德尼罗(Robert De Niro,1943-),安妮•班克罗芙特(Ann Bancroft,1931-2005,她在意大利户籍登记上的名字是安娜•玛利亚•意大利亚诺),还有莱昂纳多•迪卡普里奥(Leonardo Di Caprio,1974)这样的演员,却取得了成功。威内托和弗利乌利大区的移民慷慨寄回的资金,创造了意大利东北部的经济奇迹。西西里或者卡拉布利亚工头在大众汽车厂获得了尊重。这些历史碎片,使我们认为自己曾经与他们不同,甚至认为我们的境况曾经比他们好。不过,事实不是这样的。任何强加在今天移民身上的程式化斥责,都是一个世纪甚至仅仅几年以前我们所遭受过的。"他们"是非法移民?我们也曾经是,而且有几百万之多,以至于领事馆恳求意大利在阿尔卑斯山的山口以及沿海地区好好巡逻。不是为了禁止移民进入,而是为了防止意大利人出去。"他们"拥挤在卫生条件令人作呕的茅屋里?这个我们也做过,以至于纽约爱尔兰教士贝尔纳•兰驰(Bernard Lynch)明确地说:"意大利人能够在任何其他民族无法接受的极小空间里生存,如果不把中国人计算在内的话。""他们"贩卖女人?我们也曾贩卖过女人,甚至把她们卖到了萨义德或者马格里布港口的妓院里。他们剥削小孩子?在几十年的时间里,我们也曾贩卖自己的孩子,把他们交给最臭名昭著的剥削者,或者带到阿尔卑斯山脉另一边的拍卖市场上去。他们抢走了我们那些失业者的工作?我们曾经被指控抢夺他人的工作,并且遭到屠杀。输入犯罪?我们也曾经把犯罪输出到各个地方。相对普通意大利人,他们生孩子太多,可能会使我们的人口失衡?我们也曾经因此使他人恐惧。只要阅读一下记者艾米•贝尔纳尔迪(Amy Bernardy,1880-1959)关于美国的报道,提托•切奇莉亚(Tito Cecilia)关于澳大利亚的著作,或者弗朗切斯卡•马萨洛托德(Francesca Massarotto)所撰写的《永远的巴西》(Brasile per sempre),事实就一目了然了。最后这本书讲道,我们的移民平均每对夫妇生8.25个孩子,而在巴西南大河州,《他们会生10个,12个,甚至15个孩子,就像委内托、弗利乌利和特伦蒂诺这些大区的农村一样。》(……)

这件事情的两种诠释概括了整个意大利移民史。一段承载着事实与谎言的历史。在这段历史中,并非总是能够找出有道理的一方,或者犯错误的一方。我们曾经如此肮脏吗?当然,对我们的很多描述属于诽谤。比如指责我们所有人都是黑手党难道不是一种耻辱吗?但是,我们不能否认自己曾经向美国输送了黑手党和科莫拉(对那不勒斯犯罪组织的统称)。事实是具有多个侧面的,而各个侧面之间存在着区别的。以及一些模糊的地带。假如我们重新书写自己民族的另外一半历史,就会看到当时的"我们"和如今来到欧洲的移民唯一而且关键的区别(宗教暴力的输出除外,这种现象涉及伊斯兰世界的少数,而且它从来没有触及到意大利人,除了安杰洛•富斯科以及另外一些贝尔法斯特附近移民的后裔为爱尔兰共和军的爱尔兰及天主教恐怖主义提供的资助以外),几乎只是时间上的差距。我们首先经历了这样的处境,然后轮到了他们。仅此而已。说到这里,请一定要避免合作主义,边境的完全开放,对于(民族)大熔炉的愚蠢的狂热,以及政治方面正确然而有时候会造成所有文化毁灭的尊重。更要避免种族主义。避免排外这种无法忍受的恶臭。在一个放弃了自己一部分历史的社会里,这种倾向正在不断地增长。当然,一个国家属于居住在那里,建设它,并且按照它的历史、习俗,以及政治和宗教信仰来塑造它的人。另外,每个国家的人民都有权利在符合原则和尊重一定局限的条件下,作为自己国家的主人。所以,为了保持在他看来正确的平衡,他们应该具有决定是否接受新的客人的权利,以及其它。再有:以这种平衡以及很多共同尊重的价值观(民主、对妇女的尊重、国家的世俗性,所有人的平等)的名义,甚至可以针对这种或者那种成分的份额制定优惠政策(世俗的)。在一个像我们这样普遍存在着不平等的世界里,甚至有可能会提取指纹印,进行落地记录,对少数危险人群进行经常性监视,和严肃处理犯错误的人。

不过,排外是另一回事。"为什么这个词一定要有一个否定的含义呢?"2002年5月总理贝卢斯科尼在电视里一字一句地说道。意大利Treccani百科全书的回答是:"排外:对外国人和事物的厌恶情绪,表现为纳粹主义态度,以及对于其他国家的习俗、文化和居民本身表现出的不能容忍与敌视。"对于排外者的解释更加简短:"对所有外国人不加区分地怀有仇恨或者厌恶的人"。这些解释非常明确。一边是一个国家的合法选择,也就是保留自己原有的规模、规则与平衡;另一边则是一些肮脏情感进行的肮脏游戏。北方联盟的党魁翁贝尔托•波西(Umberto Bossi,1941)说:"在未来的十年里,他们会为波河流域带来一千三到一千五百万移民,以便在这块罗马涅——刚果殖民地上维持这个该死的波河种族,纯正的种族,特选的子民。"把那些要以暴力推翻我们社会的狂热的穆斯林赶出去是一回事,在应该耸立起一座清真寺的土地上撒猪尿则是另一回事……

从澳大利亚到巴塔哥尼亚,对于所有人都是一样的。不仅如此,在承受了他人几十年的暴力和一成不变的看法之后,我们也应该从中汲取教训。应该永远记得,我们的移民背着包裹,携妻带子,受到的是当地种族主义者如此的对待:为了选举的原因,他们像如今那些排外的意大利人一样喊叫着反对移民。同样的喊叫,同样的词汇。这些话令人心里难过,而且回忆起那些黑暗的世纪,那种巨大的恐惧,野蛮人,阿提拉,还有马鞍下放着浸渍的肉的匈奴人:游牧部落到了!

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