Sul libro di storia (Lorenzo Pavolini)
  2010-09-29 12:57:03  cri
Accanto alla tigre
Lorenzo Pavolini

Sul libro di storia

Non sapevo che mio nonno fosse un gerarca fascista fucilato a Dongo e appeso a testa in giù a piazzale Loreto, fino a quando non mi sono imbattuto in una fotografia sul libro di storia della seconda media. Era la riproduzione di un quotidiano dell'epoca, il titolo annunciava la fine di Mussolini e l'occhiello recitava più o meno: Mussolini, la Petacci, Pavolini e gli altri gerarchi del fascismo fucilati presso Como. Sotto i titoli appariva la foto di piazzale Loreto e una didascalia che precisava l'avvenimento riportando le parole di Radio Milano Libera: "Mentre trasmettiamo, i cadaveri di Mussolini, della Petacci, di Starace, di Pavolini…sono appesi al chiosco della Standard in Piazza XV martiri". Il cognome Pavolini era quindi ripetuto un paio di volte, nell'occhiello e nell'articolo, non credo che io sia stato in grado di distinguere allora la scritta sopra la pensilina, in corrispondenza della fune a cui era appeso il cadavere di mio nonno Alessandro, a torso nudo – non l'avevo mai conosciuto, è naturale, ma stava lì appeso in una foto all'interno di una foto, sul libro di storia. E nonostante in famiglia circolasse la versione generica "morto in guerra", seppi immediatamente che si trattava di lui.

Ne erano morti milioni in guerra: incoraggiato dalla foto sul comodino della nonna, credevo che fosse un aviatore, e che avesse avuto la peggio in un duello aereo, come era capitato ad alcuni tra i migliori. Antoine de Saint-Exupéry, a quell'età il mio eroe-scrittore preferito per Volo di notte, non era forse finito nella stessa maniera? Abbattuto in una giornata di sole mentre se ne andava in ricognizione per la Costa Azzurra a bordo di un P-38 Lightning, l'aereo più bello di tutti, doppia fusoliera, due eliche, un piano di coda che si sarebbero potuti mettere in fila dei libri come su una mensola, e la carlinga a goccia per gettarsi nel cielo, morire con la scia. Io che conoscevo tutti gli aeroplani della Seconda guerra mondiale e ne costruivo accurati modellini, avrei preferito soltanto che mio nonno avesse trovato la morte su quel tipo di aereo e non su un Caproni, magari su uno dei "sorci verdi".

Poco distante dal portone della nonna, in via Flaminia, c'era un bar-pasticceria che si chiamava I sorci verdi: la squadriglia di trimotori nell'insegna, i cornetti con la crema tra i più buoni di Roma Nord. Però non era piacevole entrare in quel piccolo bar perché ogni volta c'era qualcuno che si sentiva in dovere di raccontare che cosa diavolo volevano dire i "sorci verdi", e io mi annoiavo da morire, come si annoia chiunque abbia l'educazione di sottoporsi all'ascolto di storie risapute.

Invece non mi veniva raccontato un granché di nonno, ad esempio se prima della guerra avesse un mestiere, quale? E che tipo di soldato era stato? In un sistema di comunicazione familiare reticente, l'idea che mi ero fatto dell'aviatore perso nell'aria gelata con il collo di pelliccia e i baffi, come nella foto sul comodino di nonna, poteva reggere ampiamente oltre i miei dodici anni, per il barlume di epoca classica che ancora riverberava dal duello aereo. Eppure ne fui subito certo. Quello sul libro di storia era mio nonno. Appeso a testa in giù. Gli italiani tutti simbolicamente presenti nel gesto di scaricare contro il suo corpo riserve di odio, che immaginavo scure come lo spruzzo della seppia, quando invece sono due cose diverse e quasi opposte, perché la nebbia d'inchiostro serva all'animale per confondere il predatore e scappare nell'acqua, non è la secrezione di un sollievo, la fine di una paura che si vorrebbe sputare fuori.

Poi il libro di storia devo averlo anche letto nei capitoli che riguardavano l'ascesa del regime fascista e il suo drammatico epilogo – mi sono portato avanti, era nel programma dell'anno successivo – e di Alessandro Pavolini ho appreso tre cose: che era un "intellettuale fiorentino", che aveva ricoperto il ruolo di ministro della Cultura Popolare e che era stato segretario del partito fascista con il rango di ministro durante la Repubblica di Salò. Non poteva perciò avere molto a che fare con il fantasma di un nonno che ti aspetta fuori dal cancello di scuola nel pieno degli anni Settanta, vecchio come tutti i nonni e paziente, che scuote il capo di fronte alle intemperanze dell'adolescenza. Saggio, insomma, coma Alessandro Pavolini non era mai stato, anzi, aveva fatto di tutto per evitare di diventarlo, sempre che saggi si diventi, e non si vada invece deteriorandosi e peggiorando via nel corpo e nella psiche, per quella incolmabile separazione tra vita praticata e immaginata…

Dalla nascita nel 1903 alla morte aveva vissuto poco meno di quarantadue anni.

Un nonno che manca all'uscita di scuola – dove gli altri nonni, e genitori, le famiglie si manifestano pubblicamente – e questa sua assenza diventa un tarlo, un fantasma, anzi un vampiro che con un morso sul collo ammorba il sangue. "Un vampiro in casa, il marchio nascosto di una passione…", Fulvio Abbate aveva il vizio affettuoso di parlarmi di questa cosa, quando ci incontravamo, anzi si può dire che era l'unica cosa che ci dicessimo in assoluto. Ci incontravamo come succede a Roma, con una frequenza difficile da determinare ma utile a informarci della reciproca esistenza, e parlavamo esclusivamente di Alessandro Pavolini. Due minuti, ne parlavamo. Fulvio è uno scrittore di Palermo che vive qui ormai da anni. È fissato con gli anarchici e la Guerra di Spagna. Lui non lo sa ma ho trascorso centinaia di ore in sua compagnia, nelle notti abbrutite di fronte al televisore, mi incantavo spesso su quel suo sgangherato programma che si chiamava Teledurrutti, in onda su Teleambiente e Teledonna il venerdì. C'era qualcosa nel suo modo disperato di rivolgere lo sguardo ai telespettatori, la qualità ciancicata degli ospiti, lo studio da cui trasmetteva… tutto sembrava appartenere a un'era geologica trascorsa, da cui fortunosamente eravamo scampati nella quiete delle nostre case, ma di cui ci mancava la perfetta confusione di genio e cialtroneria, ora che era solo la seconda a farla da padrone. Così ricordo perfettamente quel giorno, nel luglio del 2000, che lo vidi parcheggiare nello spiazzo del Café du Parc all'imbocco di viale Aventino, mentre sfilavano il Gay Pride e le bandiere, il vento tra i platani giganteschi, i carri svettanti di drag-queens formavano un unico coro naturale. Sembrava uscito in quel momento dal televisore, Fulvio, mi è venuto incontro senza curarsi del corteo che scorreva alle sue spalle e, come proseguendo un discorso interrotto, ha detto: "Hai capito allora come devi fare? Scrivi di tuo nonno come se fosse Frankestein". E io avevo risposto di sì, certo che avevo capito, e prima o poi mi ci sarei messo… l'avevo detto come capita quando hai solo intuito qualcosa, infatti poi non era Frankestein quello di cui parlava Fulvio, ma un vampiro.

Tra i suoi tanti romanzi, Fulvio ne aveva scritto anche uno dove faceva capolino il nonno Alessandro. Si intitola Dopo l'estate. Pubblicato nel 1995, è introvabile. Come Teledurrutti sembrava scritto in un'era geologica diversa, e non solo per via dell'incipit affidato al nastro di una segreteria telefonica, o per il fatto che vi si discutesse di progetti che costano "milioni", o per Mario Schifano con le sue polaroid e la televisione perennemente accesa, ma per quel modo slabbrato che hanno i personaggi di abitare la città e andare in giro con una motivazione tutta apparente, una scaletta di alibi costruiti per non reggere, utili a conferire invece una santità domestica, sostenibile. E poi c'era Azzari, il dirimpettaio del protagonista che era un centenario gerarca fascista scampato a tutto. A pagina 64 si legge: "Io e Azzari ci frequentavamo, ci sentivamo al telefono, la mia segreteria conservava i suoi messaggi, eppure lui avrebbe dovuto essere già morto, da cinquant'anni. Fucilato a Dongo, in riva al lago, ucciso da una pallottola alla schiena, assieme agli altri gerarchi che, dopo la caduta del regime, scelsero di costituire la Repubblica Sociale Italiana. Azzari in mezzo ai condannati, in una foto ormai di archivio storico, dove li si vede cadere uno ad uno di spalle. Anche Alessandro Pavolini, divenuto segretario dei fascisti repubblicani, gli ordinò di raggiungere Salò. Gli telefonò, disse: Giuseppe tu vieni con noi. Sarai ministro della Cultura Popolare". Ma si sentì rispondere: "Non ci penso nemmeno lontanamente, sono un fascista monarchico, non aderisco alla vostra Repubblica; toglitelo dalla testa, non farti più vivo; addio, Alessandro". Insomma, se nel libro Azzari l'aveva sfangata ed era ancora vivo – simbolo dell'eternità, dell'impossibilità di sconfiggere definitivamente il fascismo – ultracentenario e vivo, sarebbe anche potuto venire ad aspettarmi all'uscita di scuola, non lui ma Alessandro Pavolini, se avesse compiuto determinate scelte, anziché altre, magari nelle pagine di un libro che avrei potuto scrivere io, suo nipote. Il romanzo chiamato a tirare una linea, a segnare l'argine, a dire dove stanno i torti e le ragioni, a rendere giustizia. Il problema è che tra il piano terra della storia e la sopraelevazione abusiva di personaggi e comprimari non è possibile stabilire collegamenti concreti (scale, botole), solo un gioco di ombre. Sembra anzi evidente che l'intero edificio, quello che dovrebbe essere abitato e vivo giù dal basamento fino agli stenditoi condominiali, sia andato sfarinandosi proprio nel tempo in cui pretendeva di essere completato e restaurato, revisionato, rivisitato… e oggi le persone che hanno partecipato alla storia di questo paese nella prima parte del Novecento (appaiono) sono davvero forme d'esistenza scomparse, morte con la morte come succede in un mondo di forme sepolte insieme ai corpi che sapevano abitarle.

È innegabile che l'uomo e la sua vicenda meritino approfondimenti. È innegabile che l'arco della sua esistenza contenga alcuni nodi degni di personaggi di finzione più riusciti, un gorgo di cultura e violenza, rivoluzione e potere, perlopiù nel contesto della peggiore ordalia nazionale, oggetto da sempre di morbosità insaziabile, quel fascismo dei gerarchi e delle dive, tesori nascosti e fughe finali, che spopola sulle pagine dei quotidiani e nelle sceneggiature, per la gioia dei sempre più numerosi appassionati del fuoripista storico. Basti pensare che Alessandro Pavolini, la cui salma riposa a fianco della Ferida e Valenti nel cimitero del Musocco a Milano, è da annoverare tra gli amanti di Doris Duranti (primo seno nudo ripreso all'impiedi del cinema italiano). Allevato a pane e sanscrito, parlava un gergo di trecento parole malesi con i compagni di giochi l'estate a Castiglioncello (che poi erano i suoi coetanei delle famiglie D'Amico e Pirandello). Fu scrittore e squadrista, virtuoso della velina e insieme difensore dei frondisti. Sostenne Ossessione di Visconti, fu capo del governo di Salò e padre delle brigate nere… il "gancio narrativo" offerto da un personaggio che sembra aderire in maniera sempre più radicale al fascismo proprio quando è allo sbando appare solido: come è possibile che un uomo come lui, un "raffinato intellettuale fiorentino", fosse allo stesso tempo intransigente e fanatico al punto da capitanare il sabba del Congresso di Verona nel novembre del '43 a suon di slogan del tipo: "Troncheremo l'impulso anarchico al disordine. Ma il fermento sociale che la guerra e il popolo esprimono l'accogliamo e lo facciamo nostro come un lievito di vita"?

Resta per molti versi sufficiente la biografia romanzata Pavolini. L'ultima raffica di Salò, di Arrigo Petacco, che circola da oltre vent'anni, rincarando la dose con un nuovo titolo per il tascabile Pavolini. Superfascista; epiteto che suona ormai tipicamente pavoliniano.

PAVOLINI EROE SUPERFASCISTA.

Sono soddisfazioni familiari.

Precocità e sveltezza: a dodici anni fonda un giornaletto scolastico, scrive articoli interventisti. A ventidue si laurea in Giurisprudenza e in Scienze Politiche, frequentando due atenei, quello di Firenze e quello di Roma.

Marcerà quindi sulla capitale per ragioni di studio: trovandosi lì nel giorno "fatale" del 28 ottobre 1922 a discutere un esame, si accoderà alle colonne fiorentine di camicie nere per la parata.

A venticinque anni il primo romanzo, indirizzo sportivo.

A ventisei è federale di Firenze.

Sicuro talento aggregante e fondativo novecentesco: la rivista letteraria Il Bargello e i Littoriali della cultura e dell'arte, dove sono passati in tanti, sono opera sua come il Maggio Musicale Fiorentino, che ancora resta.

Nel '35 è volontario in Abissinia, inviato-aviatore del Corriere della Sera. Il 31 ottobre 1939 diventa ministro della Cultura Popolare.

Poi viene la parte più tosta: dopo il 25 luglio riesce a riparare in Germania. Sarà tra i fondatori della Repubblica Sociale. Nominato segretario del Pfr (Partito fascista repubblicano) sollecita Mussolini ad assumere la guida del risorto regime in quanto "capo naturale". Partecipa alla redazione del Manifesto di Verona, utopia in diciotto punti ancora in voga presso la destra da centro sociale, fa come può il processo ai "traditori" del Gran Consiglio e riesce a militarizzare il partito, su ispirazione trotskista, costituendo e guidando le brigate nere. Davanti alla disfatta imminente della Rsi, nella primavera del '45, progetta di raccogliere ventimila fedelissime per l'estrema resistenza in Valtellina.

Il 25 aprile del '45 si avvia con il duce per l'ultimo viaggio dalla Prefettura di Milano al lungolago di Dongo, dove viene fucilato il 28 dai partigiani della 52ª brigata Garibaldi, dopo un tentativo di fuga a nuoto nel lago.

Una storia distante. Il taglio nelle cinghia di trasmissione delle generazioni appare evidente, i lembi del tempo non combaciano. La vita di Alessandro Pavolini potrebbe essersi svolta su Marte, o su un analogo pianeta dotato di atmosfera rarefatta: impensabile oggi fare tante cose in così poco tempo. L'aria si offre satura di fatti minori, rigagnoli di passione, scollamenti marginali. Resiste all'azione spedita di santi, martiri o eroi.

Giusto i padri di famiglia, persi nella manutenzione del proprio giudizio, avrebbero un'epopea da raccontare. E se la pretesa è quella di mettere in giro personaggi dal destino possibile nel presente – personaggi dal destino alternativo, parallelo o contrario a quello effettivamente toccato in sorte, ma possibile come tale – essi dovranno pure agire a velocità di crociera. Come buoni padri di famiglia, ecco. Con la biografia di Alessandro Pavolini invece non pare esservi dubbio che sia la storia fuori di casa a bruciare, nel tentativo di travasare l'esistenza individuale in pubblico dominio, eroicamente sì, con ostentata fede nel finale eroico almeno. Come se certi movimenti delle braccia e certe parole fossero la vita.

洛伦佐•帕沃里尼

选自《伴虎而行》

来自历史课本的发现

对于我的祖父是一名法西斯高官的事实,我从来不曾知晓。直到初二那年,我无意间在历史课本里发现了一张照片,才猛然知道原来祖父是在栋戈被击毙的,他的尸体还被倒吊在洛莱托广场示众。那张照片拍的是一份当年的报纸,正标题赫然宣告了墨索里尼的下场,副标题则大致概述了墨索里尼、贝塔西、帕沃里尼和其他法西斯高官在科莫被枪毙的消息。标题下方有一张洛莱托广场的照片,旁边的解说引用了米兰自由广播电台里的文字:"就在我们进行报道的同时,墨索里尼、贝塔西、斯塔拉齐和帕沃里尼等人的尸体正被悬挂在第十五殉难者广场里斯坦达加油站的架子上示众。"总之,帕沃里尼这个姓氏在副标题和正文中出现了两次。至于照片里,那个悬挂着亚历山大爷爷半裸尸体的架子上的字,我想我是没办法看清楚的。我的确没有看清那上面的字,这很好理解,因为那毕竟是一张照片里的照片。尽管家族里流传着祖父"战死沙场"的版本,我还是在第一时间意识到那张照片里的人就是他。

在战争中,马革裹尸者数不胜数:我曾在祖母家的床头柜上看到过祖父的照片。印象里的祖父是一位飞行员,如许多其他优秀的飞行员一样,他在一次与敌军搏斗的过程中遭遇不测。当时,我最崇拜的英雄主义作家是安东尼•德•圣-埃克苏佩里,他写的《夜航》是我的最爱。难道我的祖父不是以同样的方式壮烈牺牲的吗?在我的想象里,祖父应该开着一架P-38闪电式战斗机,在一片碧空里翱翔,前往蓝色海岸执行侦察任务。P-38是我认为最有型的战斗机,它有着双重机身和双重螺旋桨,宽大的横尾翼平得可以放上一叠书籍,而水滴形的座舱罩则可以让飞行员迅速跳出,随着飞机的尾流完美地结束自己的生命。我对二战期间的所有机型都了如指掌,甚至还制作过一些精美的模型。但我特别希望祖父牺牲时是驾驶着一架P-38(最好是作为"绿鼠"舰队的成员),而不是笨重的"卡普罗尼"。

在离祖母家的不远的弗拉米纳大街上,有一家名为"绿鼠"(那是一支由三引擎战机组成的中队,所有战机的机身上都绘有三只绿鼠,作为中队的标志)的小酒吧兼点心店。在那里可以买到罗马北城区最美味的甜筒冰淇淋。但我却不喜欢那里。因为我每次走进去,总能听到有人在解释"绿鼠"的来由。我觉得烦透了。不断地听人重复一个被讲过千百遍的故事,谁也吃不消。

然而,关于祖父的身世,却很少有人向我提起:他在战争开始以前从事什么职业?他曾在什么样的部队当兵?在一种知而不言的家庭氛围中,祖父的经历显得扑朔迷离,而床头柜照片里那个留着胡子,带着皮领子,矗立在冰冷空气的形象则编织了一个持续十二年的神话,让我不断地遐想那场惨烈的空战决斗。可当我一看到历史课本上的那张照片,心中就立刻有了答案。书里的人就是我的祖父,被倒吊在广场上示众。所有在场的意大利人都作出了那个具有象征意义的动作,似乎要把积聚在心中的所有仇恨都吐在他的尸体之上。我想,那些仇恨,应该如乌贼的墨汁般漆黑吧。但仔细想来,这两个举动却具有完全不同,甚至相反的含义。那乌黑的墨汁是为了帮助乌贼混淆天敌的视线,在一片混乱中逃之夭夭;而不是在恐慌结束时,释放先前恐惧情绪的分泌物。

我应该还读过那本历史教材的其他章节,包括法西斯政府上台到垮台的全过程——应该说我把下个学年的内容都提前预习了——关于祖父亚历山大•帕沃里尼,我在书中找到了三点信息:他曾是"佛罗伦萨派知识分子";曾担任公共文化部部长;曾在萨洛共和国曾任法西斯党书记和内阁部长。因此,他的形象几乎无法与七十年代一个普通祖父的身影相重叠:一个与其他老人同样耐心和慈祥的祖父,站在校门外耐心等待,看着调皮的孙子爱怜地摇头……那样一位祖父恐怕永远不曾如亚历山大•帕沃里尼那样充满智慧,甚至会避免成为他那样的人。因为智者是不会随年龄增长而身心衰老的。那是横架在现实与猜想之间的一道无法逾越的鸿沟……

祖父出生于1903年,仅仅活了不到四十二岁。

在他的一生中,他从未如其他家长和祖父母一样,公开出现在学校的门口。他在这件事上的缺席几乎变成了一条虫子,一个鬼魅,一个吸血鬼,在我的脖子上咬开了一个口子,无情地吸食着我的血液。"家族里的吸血鬼,平静的面纱隐藏着不可告人的痴狂……"弗尔维奥•阿巴特一见我就提起这事,仿佛上了瘾一般。这几乎成了我俩每次见面唯一谈论的话题。如许多居住在罗马的人那样,我们见面的频率时高时低,但不至断了消息。我们的话题,绝对只有亚历山大•帕沃里尼,而谈话的时间,也就只有两分钟。弗尔维奥是个作家,出生在巴勒莫,但已经在罗马生活许多年了。他专门研究无政府主义者和西班牙战争。也许他不知道,但我常常在百无聊赖的晚间观看他制作的电视节目,加起来也有好几百个小时了吧。我挺喜欢他那个七拼八凑的栏目《Teledurrutti》,每逢周五在环保频道和女性频道播出。当他带着绝望的眼神把目光转向电视观众时,总是流露出某种特殊的神采,还有那些叽叽呱呱的嘉宾以及他们所从事的研究……所有这一切似乎都属于一个久远的地质年代,而我们,从中侥幸逃出,得以在各自的家中享受片刻的安宁,同时又对那种天才与无赖的完美而混乱的结合感到些许眷恋。如今,天才已渐渐消退,剩下的多半是无聊了。我清楚地记得,2000年七月的一天,我看见他在阿文蒂诺大街上的花园咖啡厅前停车。那天恰巧是同性恋骄傲日:游行的队伍挥舞着旗帜,夏日的热风在高大的尼斯树之间穿梭,载有异装人物的彩车大张旗鼓地从街上开过,三者形成了一支特别的合唱曲。而弗尔维奥偏偏就在那个时候突然朝我走来,就好像是从电视屏幕里走出来一样。他丝毫不顾及擦肩而过的游行队伍,没头没脑地对我说道:"知道你该怎么办吗?你应该像写弗兰肯斯坦一样为你的祖父写点什么。"我当时回答说好的,说我明白他的意思,我也迟早会这么做……但我之所以会这么回答,只不过是因为一种茫然的直觉。毕竟,弗尔维奥所说的可不是弗兰肯斯坦,而是一个吸血鬼。

弗尔维奥写过许多小说,在其中的一本里也曾稍微提及亚历山大祖父。那本小说叫《夏天过后》,出版于1995年,现在已经买不到了。正如他做的那档节目《Teledurrutti》,这本小说写的似乎也是发生在远古地质年代的事情。这倒不是因为书中的第一个句子就是一条电话录音的留言,也不是因为书中讨论的都是些不切实际的天方夜谈,更不是因为拿着"宝丽莱"的马里奥•斯齐法诺以及那台永远都开着的电视,而是因为书中角色极为分裂的行为方式:他们住在城市里,每天都为了许多肤浅的目的奔波忙碌。他们所列出的那一长串借口完全站不住脚,至多只能维持所谓的完整家庭。另外,还有那个阿扎里,他是一个年近百岁,身经百战的法西斯军官,与主人公隔街而住。小说的第64页写道:"我和阿扎里曾是朋友,常常通过电话联络,我的秘书也曾会记录他留下的信息。然而,他本应在五十多年前就离开人世了。他应该跟其他那些在法西斯政权倒台之后选择追随意大利社会共和国的法西斯军官一起在科莫湖畔的栋戈被一颗子弹击穿胸膛。在一张已经成为历史档案的老照片里,可以看到一群战犯一个接一个地倒地身亡,而阿扎里也在其中。此前,任意大利社会共和国法西斯党书记的亚历山大•帕沃里尼曾命令他前往共和国效力。当年,他曾在电话里对阿扎里说:'朱塞佩,跟我们一起干吧。你来担任公共文化部部长。'但阿扎里的答复却是:'我从来都没想过跟你们一起干。我是个君主派的法西斯主义者,不会跑到你们的共和国效力的。你就别再费心了,也别再跟我联系。永别了,亚历山大。'"总之,假如书中的阿扎里果真摆脱了当年的困境,死里逃生,活到一百来岁——以此象征永恒,以及彻底击败法西斯主义的虚幻性——那么他也可以每天站在学校门口等待我放学,当然,我所期待的不是这个虚拟人物,而是亚历山大•帕沃里尼。假如他当年作出了某种不同于历史事实的选择,那么作为他的孙子,也许我也能在某本书里就他写点什么,拉出一条红线,在他的功劳与过错之间划出一条界限,给他一个公正的评判。然而,问题就在于如果说历史是一幢大楼的首层,而其中的头号或二号人物是更高处的楼层,那么几乎不可能在他们之间找到具体的连接点(如楼梯或楼层间隔门),只能看到一片若有若无的阴影。甚至说整幢本应住满居民的大楼从头到脚都已在一种期待着被注视、被修复、被重新审视和造访的奢望中轰然坍塌粉碎……如今,那些曾经参与到意大利二十世纪前半叶历史进程中的人们(似乎)都已经成为"销声匿迹的鬼魅",随着死亡彻底消失,魂飞魄散,与他们所在的世界一道,再也无从寻觅。

诚然,一个历史人物和他的事迹是值得被后人深入研究的,他的生命历程也必定包含着某些带有虚构成分的光荣结点。那是一个混杂着文化与暴力、革命与权力的漩涡。在一种极为危险的国家赌注的背景之下,这个漩涡一直显示出无可救药的病态:军官、明星、财宝、逃离……诸如此类与法西斯相关的元素在报章和剧本中大受欢迎,因为它们迎合了某些另类历史学者们的口味与兴趣。要知道,亚历山大•帕沃里尼的遗体就葬在米兰穆索科公墓,在费里达和瓦兰蒂身旁安息,而多丽丝•图兰迪(意大利电影界首位裸胸拍摄的明星)则是他生前最为倾心的情人之一。他从小学习梵文,在卡斯蒂里奥切罗过暑假期间,跟儿时的玩伴(他们都是来自德•阿米科和皮兰德娄家族的同龄人)还会说三百多个马来西亚俚语。他是作家,也是法西斯行动队队员,擅长撰写各类通报文章,同时又对反对派人士加以保护。他欣赏维斯康蒂的电影《沉沦》,曾担任意大利社会共和国的政府首领,也是黑色旅的始作俑者……就是这样一个复杂的人物,给我带来了一种"讲述的冲动",让我以一种越来越深入的方式去近距离接触"法西斯党"——这个在行将解体之际却变得愈发牢固的组织:一个如我祖父般"明智的佛罗伦萨知识分子",又如何会如此顽固不化、执迷不悟地去统帅一帮乌合之众,在1943年的11月召开所谓的维罗纳大会,叫嚣着"我们要结束混乱的无政府主义冲动,我们要抓住战争期间民众所表现出的社会热情,催生我们的伟大理想"?

阿里戈•佩塔科曾写过一部小说式的传记《帕沃里尼:萨洛共和国的终极风暴》,其中的许多文字足以说明一切。这本书已销售二十多年,后来又重新出版,还换了一个更具帕沃里尼风格的标题:《帕沃里尼:超级法西斯主义者》。

帕沃里尼,超级法西斯主义英雄。

以下是他为家族带来的荣耀。

他自小成熟聪慧,十二岁时就创建校报,撰写时政文章。二十二岁时,他分别从佛罗伦萨和罗马大学毕业于法律和政治学专业。

为了求学,他前往罗马。1922年10月28日,他前往考试答辩,却在那一天改变了自己的命运:他追随进行阅兵式的黑衫军佛罗伦萨纵队,投身法西斯主义。

二十五岁时,他创作了第一部以体育运动为题材的小说。

二十六岁时,他担任法西斯党佛罗伦萨省区书记。

凭借强大的组织和号召能力,他创办了文学期刊《警长》,并组织举办了多届文化艺术竞赛,与许多名人有过合作,他所创办的佛罗伦萨五月音乐节还一直延续至今。

1935年,他作为空军飞行员和《晚邮报》的特派记者志愿赶赴阿比西尼亚作战。1939年10月31日就任公共文化部部长。

之后的经历就是最为难以启齿的部分了:7月25日之后,他得以在德国藏身。后来,他成为社会共和国的创建者之一。被任命为法西斯共和党书记之后,他鼓动墨索里尼作为傀儡首领领导该政权。他参与起草维罗纳宣言,那十八条乌托邦式的政治理想至今仍是右派政客热衷追捧的目标。他竭尽所能,严厉审判法西斯内阁的"叛徒"。受特洛茨基思想的影响,他将整个法西斯党武装化,成立并领导黑色旅。1945年春,在萨洛共和国垮台前夕,他计划并组织两万忠于党国的法西斯分子在瓦特里纳进行了最后的垂死挣扎。

1945年4月25日,他陪同墨索里尼从米兰公署出发,前往栋戈的沿湖公路进行最后一次旅程,于4月28日被加里波第第52旅的游击队员发现行踪,在投湖逃逸未遂之后,最终被击毙。

总之,祖父的生平是一个遥远的故事,在代代流传的过程中时有删节,各种版本常常不相吻合。亚历山大•帕沃里尼的人生似乎发生在火星,或是某个包裹着稀有气体的金色星球之上:在今天的人们看来,在如此短暂的生命里完成如此丰富的事业简直不可想象。如今的世界已然不同,尽是些凡事琐节,虽也不乏激情,却难以与当年那些神圣的、悲壮的和英雄式的大业绩相抗衡。

也许只有那些保持原有价值观的家中长辈才能成为所谓的英雄了。如果我们希望世界上还能有和时代命运相符的英雄人物,那么那些有可能成为英雄的人就必须抓紧生活中的每分每秒。亚历山大•帕沃里尼的故事,毫无疑问是不同寻常的。他试图把个体融入到公众之中,相信自己是个英雄,认为挥舞双臂地激昂演说即是生活的全部。

                                                                                                                                               (李婧敬 译)

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