Nel mondo Italia e Cina lavorano insieme
Solo il multilateralismo ci farà affrontare veramente le crisi della nostra epoca.
Gli accordi UE-Cina per la protezione degli investimenti e la tutela delle indicazioni geografiche segneranno una svolta.
È un nostro obiettivo favorire i partenariati tra aziende italiane e cinesi in Paesi terzi.
Le guerre commerciali? Danneggiano anche chi le promuove...
Incontro con Marina Sereni, Vice Ministra degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale
Gentile Vice Ministra Sereni, da ora e nei prossimi anni le relazioni con la Cina saranno in evidenza nell'agenda della nostra diplomazia. Si è festeggiato quest'anno il settantesimo anniversario della nascita della Repubblica Popolare Cinese, il prossimo anno avremo i 50 anni dallo stabilimento delle relazioni diplomatiche tra Italia Cina e nel 2021 saranno 100 anni dalla nascita del Partito Comunista Cinese (tralasciando le Olimpiadi invernali in Cina del 2022). E, in breve, la BRI, Belt and Road Initiative, interessa ormai tutto il mondo. Questo governo come intende interpretare il rapporto con la Cina?
L’Italia mantiene ottime relazioni bilaterali con la Cina, sia sotto il profilo istituzionale, con frequenti visite di alto livello da ambo le parti, che sotto quelli economico-commerciale e culturale. Il Governo continua a lavorare perché questa amicizia si rafforzi e si consolidi. Sempre più giovani italiani studiano il cinese, sempre più giovani cinesi vengono nelle nostre università. È il segno di una relazione vitale e in crescita che celebreremo con molte iniziative nel 2020, cinquantesimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi. Per quanto riguarda la BRI, l’Italia riconosce il grande potenziale di tale progetto cinese, così come anche delle altre iniziative esistenti in materia, nel colmare il gap infrastrutturale ed approfondire i rapporti people-to-people tra Europa e Asia, in linea con i principi e gli standard della Strategia UE-Cina sulla connettività.
Secondo lei qual è un buon criterio guida per la costruzione di una relazione efficace con Pechino, non influenzata dal contrasto delle ideologie e neppure scandita solo da decisioni tattiche o di rimando?
Non dobbiamo nascondere le differenze tra i nostri due sistemi ma possiamo e dobbiamo cercare forme di cooperazione su un piano di reciprocità e parità. Grazie all’enorme sviluppo economico e allo straordinario progresso tecnologico degli ultimi decenni la Cina oggi è un protagonista globale. A questo si accompagnano nuove responsabilità. Nonostante le differenze Italia e Cina, Europa e Cina, hanno di fronte le stesse sfide: il cambiamento climatico e la lotta per la salvaguardia del pianeta, la riduzione degli squilibri e delle diseguaglianze, la lotta al terrorismo, la sicurezza e la pace. Solo un multilateralismo efficace può dare risposte positive a questi problemi epocali.
L'Italia ha intenzione di far valere il suo valore aggiunto di membro fondatore dell'Unione Europea nell'influenzare le relazioni tra la Cina e l'Europa? Ha una sua visione di questo grande rapporto bilaterale e come l'Italia deve considerarlo?
L’Italia in Europa può e deve far pesare il suo punto di vista partendo da un presupposto: l’Europa è la nostra casa comune, nessun paese europeo può competere da solo nell’economia globalizzata di oggi. In alcuni settori strategici per l’Italia – penso alla siderurgia solo per fare un esempio – l’Italia condivide con altri Paesi europei e con l’UE una preoccupazione per la sovrapproduzione di acciaio cinese che rischia di mettere fuori gioco molte nostre imprese. Ecco perché noi ci adoperiamo per un dialogo tra Europa e Cina che possa portare a stabilire regole condivise e spazi di collaborazione convenienti per tutte le parti. In particolare, sia a livello bilaterale che europeo, chiediamo alla Cina di migliorare l’accesso al mercato per le imprese, assicurare condizioni di parità per gli operatori economici e tutelare i diritti di proprietà intellettuale. Un passo importante in tal senso sarà la conclusione di due ambiziosi accordi UE-Cina per la protezione degli investimenti e per la tutela delle indicazioni geografiche.
Esistono altri due ambiti nei quali il nostro Paese può interpretare una parte rilevante nella relazione con i cinesi: la nostra già tradizionale politica di attenzione verso il Medio Oriente, dove la RPC si va proiettando; la possibilità di essere un partner nella politica africana di Pechino. Secondo lei, noi italiani abbiamo pensato accuratamente a come muoverci in questi due contesti?
Il Mediterraneo e il Medio Oriente, ma sempre di più anche l’Africa, rappresentano per l'Italia aree prioritarie e le crisi che interessano questa parte del mondo hanno riflessi evidenti sul nostro Paese e sull’Europa. Conflitti, violenza, povertà, effetti del riscaldamento globale sono le cause profonde del fenomeno migratorio che tanto interessa l’opinione pubblica dei nostri paesi, creando spesso inquietudine e paure. Non basta condannare il traffico di esseri umani e contrastare l’illegalità, anche se questo va fatto. Serve ristabilire canali regolari di ingresso in Italia e in Europa e serve dare nuovo slancio alla cooperazione con i paesi di origine e di transito dei migranti, per sviluppare progetti comuni su un piano di parità. Il nostro Paese si è mosso in questa direzione e anche l’Unione Europea. La Cina ha molto accresciuto la sua presenza nel continente africano, in forme e modalità diverse. Come ha spesso detto il Presidente Prodi, questo potrebbe e dovrebbe essere un terreno di confronto e di collaborazione tra Europa e Cina e l’Italia può farsi promotrice di questo dialogo. È inoltre nostro obiettivo favorire i partenariati tra aziende italiane e cinesi in Paesi terzi. Un passo importante in tal senso è stata la firma, nel settembre 2018, dell’intesa tra Italia e Cina in materia di collaborazione in Paesi terzi, nonché l’organizzazione di un Forum dedicato in occasione della visita di Stato in Italia del Presidente Xi Jinping a marzo.
In che modo questo governo intenderà la diplomazia economica verso la Cina, e i mercati vicini alla Cina?
Molte imprese italiane sono già approdate in Cina ma anche in altri mercati asiatici, come ad esempio il Giappone, la Corea del Sud, l’India e il Vietnam. L’azione pubblica di promozione dell’internazionalizzazione del sistema produttivo italiano implica politiche di accompagnamento delle imprese e di relazione con i paesi in cui si insediano. Noi chiediamo alla Cina e tutti gli altri interlocutori condizioni di parità e di reciprocità per quanto riguarda gli investimenti italiani. La partecipazione italiana per il secondo anno consecutivo, e con lo status di Paese Partner, alla China International Import Expo (CIIE) di Shanghai il prossimo novembre, rappresenta una grande opportunità per promuovere ulteriormente l’internazionalizzazione delle imprese e la penetrazione del mercato cinese. Un altro strumento fondamentale è il Business Forum Italia-Cina, organismo che riunisce periodicamente le comunità d’affari dei due Paesi. In tale ambito, si è tenuto in settembre a Tianjin il Forum Economico per le PMI, organizzato per parte italiana da Confindustria e Agenzia ICE, che ha portato in Cina circa 50 PMI italiane, molte alla loro prima missione all'estero, con buona rappresentatività del tessuto economico di tutta la penisola.
Per rimanere solo all'Occidente, la competizione in Cina dei partner europei nei confronti dell'Italia è molto forte, e l'imprenditoria italiana recrimina sovente la mancanza di capacità nel fare sistema per promuovere il made in Italy in Cina. Lei condivide o rigetta queste considerazioni sul presunto mancato ruolo delle istituzioni?
Si può sempre migliorare per fare sistema e per non parcellizzare l’azione delle istituzioni pubbliche volta a promuovere l’impresa italiana e il Made in Italy all’estero. Lo spostamento al MAECI delle competenze prima allocate al Mise in questo ambito vuole andare proprio nella direzione di una maggiore efficienza e un maggior coordinamento di tutte le politiche – dalla promozione all’internazionalizzazione al commercio estero – mirate a rafforzare la nostra economia fuori dai confini nazionali. Allo stato attuale, registriamo comunque un’azione capillare e intensa di promozione di tutte le istituzioni del Sistema Italia in Cina (tra cui la rete consolare, gli Uffici ICE, la Camera di Commercio Italiana in Cina) coordinata dalla nostra Ambasciata a Pechino.
Che cosa facciamo nella Guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina? Come si tutela in questo contesto il nostro interesse nazionale?
Le guerre commerciali danneggiano anche chi le promuove. E l’Europa rischia di pagare un prezzo molto alto in termini di rallentamento della crescita se Stati Uniti e Cina dovessero proseguire per questa strada. Molto meglio scegliere la via del negoziato e del confronto nelle sedi multilaterali.
Cinque anni fa l’Italia ha aderito come membro fondatore alla Asian Infrastructure Investment Bank. Che uso ha fatto secondo lei il nostro Paese di questa posizione "avanzata" (anche rispetto alle alleanze occidentali tradizionali), all'interno della Belt and Road Initiative?
La membership italiana in seno alla AIIB è perfettamente in linea a quella di molti nostri Partner europei, tra cui il Regno Unito, la Francia e la Germania. Tale membership si traduce in opportunità di finanziamento per tutte le aziende italiane capaci di presentare progetti concreti, per esempio in ambito di connettività. Gli investimenti in infrastrutture resilienti e di alta qualità sono un motore chiave per la crescita economica e la prosperità. Entro il 2030 saranno necessari corposi investimenti in Asia per mantenere una crescita sostenuta, sradicare la povertà e rispondere ai cambiamenti climatici. Le banche multilaterali di sviluppo, tra cui la AIIB, hanno un ruolo chiave da giocare in tandem con il settore privato nel rispondere a tale domanda, garantendo al contempo sostenibilità e redditività dei progetti. L’Italia intende svolgere un ruolo in tali processi. Come emerso anche dal recente incontro tra il Ministro Di Maio e il suo omologo cinese Wang Yi a margine della 74ª Assemblea Generale delle Nazioni Unite, è comune interesse esplorare possibilità di collaborazione in seno all’AIIB, anche nel settore dei progetti congiunti in Paesi Terzi.
Assumendo questo alto incarico alla Farnesina, pensando agli obiettivi che lei si è prefissa di raggiungere, in che modo possono essi riguardare la Cina? Esiste un tema che amerebbe realizzare durante il suo mandato, nel rapporto bilaterale con Pechino?
Mi piacerebbe seguire, insieme ai colleghi del Mibact, la collaborazione sul piano culturale. Italia e Cina si riconoscono e sono apprezzate nel mondo come due “superpotenze” culturali, come testimoniano i gemellaggi tra i siti Unesco. Il turismo tra i nostri due paesi è in forte crescita, il 2020 sarà l’anno della cultura italiana in Cina e della cultura cinese in Italia e avremo molti eventi importanti.