[In altre parole] Lo sviluppo dello Xinjiang: cuore pulsante della BRI
La Regione Autonoma dello Xinjiang Uygur è – con oltre 1,66 milioni di km2 - la più estesa tra le suddivisioni amministrative di alto livello della Repubblica Popolare Cinese, ma anche una tra le meno popolate, con i suoi 25 milioni di abitanti. La maggior parte del territorio regionale è infatti inospitale per l'uomo. Posizionata nella parte nord-occidentale del Paese, essa è principalmente caratterizzata dalla presenza del bacino idrografico del Fiume Tarim, una rete di corsi d'acqua che attraversano il vasto ed impervio Deserto del Taklamakan, tra i più grandi sistemi desertici al mondo.
I principali centri urbani della regione sono in gran parte ancora le antiche città-oasi (Kashgar, Hotan, Turpan, Aksu, Korla ecc. ...) che secoli fa rappresentavano importantissime vie di passaggio lungo le rotte carovaniere della Via della Seta. Crocevia dei passaggi commerciali tra Asia ed Europa, lo Xinjiang è ancora oggi un crogiuolo di lingue, religioni e culture diverse.
In base al censimento del 2020, gli Han qui rappresentano poco più del 42% della popolazione, mentre le minoranze, messe insieme, si fermano a poco meno del 58%, con una forte maggioranza appartenente all'etnia Uigura e religione musulmana, che è costantemente cresciuta negli ultimi settant'anni, passando dai 3,6 milioni di persone del 1953 agli 11,62 milioni del 2020.
Lo spirito dell’antica via della seta è risorto da quando lo Xinjiang ha conosciuto un crescente sviluppo socio-economico negli ultimi decenni. L’impulso più recente è venuto dai piani di investimento della cosiddetta via della seta, che vedono nello Xinjiang un nuovo hub delle connessioni tra Cina ed Europa. Riconosciuta come area-cuore del progetto intercontinentale, lo Xinjiang, e in particolare l’area portuale terrestre internazionale di Urumqi (Urumqi International Land Port Area), nel capoluogo della regione autonoma, è uno snodo fondamentale della China-Europe Railway Express, che ha svolto una funzione vitale negli scambi transfrontalieri messi in campo per affrontare la pandemia di covid-19.
Oltre il confine occidentale dello Xinjiang c’è anche il Kazakhstan, Paese con cui, dopo l'indipendenza dall'URSS nel 1991, la Cina ha maturato forti legami diplomatici ed incrementato l'interscambio commerciale, costruendo nel corso degli ultimi quindici anni un moderno sistema di approvvigionamento transfrontaliero incentrato sul binomio energia-merci. Oltre alla logistica e agli idrocarburi, lo Xinjiang mantiene un'importanza strategica per la sua forte vocazione agricola, interessata negli ultimi dieci anni da un processo di modernizzazione tecnologica senza precedenti.
Se a livello nazionale il settore primario genera l’8% del PIL, con picchi minimi estremamente accentuati nelle aree metropolitane costiere (a Shanghai, per esempio, vale appena lo 0,3% del PIL locale), nello Xinjiang il comparto contribuisce al PIL regionale per il 14%. Oltre a detenere il 30% delle riserve nazionali di petrolio (eccetto a quelle nel mare), il 34% di quelle di gas naturale (eccetto a quelle nel mare) e il 40% di quelle di carbone, la regione è infatti primo centro assoluto per la produzione di cotone (87,3%), vanta alcuni prodotti agroalimentari d'eccellenza (frutti in particolare) e rappresenta uno tra i principali centri di allevamento del Paese.
È comunque il terziario ad aver già superato quota 50% sul PIL nel 2019, evidenziando un sostanziale adeguamento al trend nazionale degli ultimi otto anni, con un'impennata dei servizi, come ad esempio turismo, commercio e servizi alle imprese. Anche in questo caso, dunque, il processo di innovazione e diversificazione produttiva, accompagnato da grandi e complessi investimenti infrastrutturali su autostrade, ferrovie e aeroporti in aree morfologicamente tutt'altro che favorevoli, sta modificando il tessuto socio-economico e aprendo l'economia locale agli investimenti dal resto del Paese e dall'estero.
Nei piani della leadership cinese lo Xinjiang ha una rilevanza nazionale in termini di sviluppo e autogoverno. Il grado di autonomia sviluppato a partire dall'introduzione della regione autonoma nel 1955, dieci anni prima del Tibet, assieme al determinante ruolo dei cosiddetti Corpi di Produzione e Costruzione, ancora oggi operativi, ha consentito allo Xinjiang di migliorare nettamente le condizioni di vita della popolazione rispetto ai livelli precedenti al 1949.
Tra il 1952 e il 2020, il PIL regionale è cresciuto di 1.744 volte per una quota pro-capite passata da 166 a 53.593 RMB. Ai passi in avanti economici sono corrisposti progressi nell'ambito della sanità e dello stile di vita, con un'aspettativa media di vita alla nascita salita dai 30 anni del 1949 ai 74,7 del 2019.
Radicalmente trasformato anche il settore dell'istruzione e della formazione, come mostrano in particolare i successi professionali, sia in patria che all'estero, dei giovani delle ultime generazioni. Nel 1949, lo Xinjiang contava una sola università, 9 scuole secondarie e 1.355 scuole primarie, dove meno del 20% dei bambini in età scolare ricevevano l'istruzione, mantenendo un tasso di analfabetismo superiore al 90%. Oggi ci sono 3.641 scuole primarie, 1.211 scuole secondarie, 147 istituti professionali (escluse le scuole di specializzazione per tecnici), 56 università e 6 istituti di formazione per adulti. Il tasso di iscrizione alle istituzioni prescolastiche supera il 98%, alle scuole primarie raggiunge quasi il 100%, il completamento dei nove anni dell'obbligo supera il 95% mentre l'iscrizione alle superiori oltrepassa il 98%.
Sempre respinte negli ultimi anni dal governo cinese, le accuse di alcuni governi e organizzazioni occidentali in merito a presunte violazioni dei diritti umani ai danni della popolazione di etnia Uigura, ritenuta vittima di internamenti e carcerazioni arbitrarie, non hanno mai trovato oggettivo riscontro nelle testimonianze dei numerosi ministri, funzionari, analisti e giornalisti stranieri, compresi quelli provenienti da Paesi a maggioranza musulmana, che hanno visitato personalmente lo Xinjiang.
L'autore è Fabio Massimo Parenti, Professore di Economia Politica Internazionale