La politica degli Stati Uniti verso la Cina è pericolosa

2022-05-06 22:33:18
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Sembra che la politica degli Stati Uniti verso la Cina stia diventando molto pericolosa in quanto frutto di una grande confusione strategica. Non sono in pochi a sostenerlo e non da ieri. Per molti autorevoli osservatori come K. Mahbubani e J. Nye, adottare una logica da guerra fredda nel XXI secolo è totalmente errato e rischioso. Non solo il panorama economico mondiale è cambiato radicalmente, più multipolare ed interdipendente, ma anche quello politico. La Cina non è l’URSS e gli Usa non sono più il polo economico dominante. Recidere i legami tra Usa e Cina non conviene in primo luogo agli Stati Uniti. Infatti, sono molti, anche negli Usa, ha richiamare la necessità di evitare una contrapposizione tra i due paesi. Da ciò ne deriva una constatazione quasi ovvia: i paesi più influenti debbono mostrare responsabilità per l’intera comunità internazionale seguendo la strada della cooperazione e del dialogo al fine di garantire stabilità e soluzioni ai problemi comuni dell’umanità.

Tuttavia, abbiamo un problema sistemico. Malgrado le moltissime voci autorevoli contrarie alla logica da guerra fredda, negli ultimi venti anni le autorità statunitensi hanno progettato uno scenario strategico da nuova guerra fredda a partire dalle succitate confusioni strategiche nella lettura dei cambiamenti in corso negli ultimi decenni.

L’idea di una “nuova guerra fredda” è palesemente anacronistica e rifiutata dalla maggior parte dei popoli del mondo. Ciononostante, gli Stati Uniti continuano a spingere su questa strada, anche quando un simile atteggiamento potrebbe ingenerare un conflitto più ampio proprio a partire dalle vicende russo-ucraine e dalla politica in Asia-Pacifico portata avanti oggi dall’amministrazione Biden.

Peraltro, gli Usa stanno trascinando anche i loro alleati dentro questo paradosso strategico ed anti-storico. Prendendo ad esempio la crisi russo-ucraina, alla deriva a cui stiamo assistendo fa da contraltare la saggia opinione dei popoli europei, sempre più critici verso la mancanza di volontà americana di favorire un negoziato (mentre i loro governi sembrano intrappolati in una visione miope dei pericoli che stiamo correndo) e, nel contempo, verso il desiderio degli Usa di prolungare il conflitto per indebolire il più possibile la Russia fino al raggiungimento di un cambio di regime. Se questa ipotesi si realizzasse, dovremmo fare i conti con altre reazioni a catena nell’intero continente asiatico, come conseguenza di una crescente destabilizzazione. Quindi, l’attuale politica americana verso l’Europa, sacrificata per gli scopi geostrategici di dominio di una parte dell’elite americana, e verso la Russia, considerata un nemico da sconfiggere, risulta disastrosa per gli interessi di tutti. Soprattutto se a ciò aggiungiamo, come detto, la politica degli Stati Uniti verso la Cina, che viene aspramente criticata con varie illazioni e provocata sulle sue questioni interne. E’ evidente che gli Usa rappresentino sempre di più la fonte della insicurezza globale e la più grande minaccia per il mondo, acuendo le divisioni all’interno dello stesso Occidente. E’ allora importante chiedersi quale dovrebbe essere una politica responsabile degli Usa verso la Cina.

A tal fine mettiamo a confronto alcuni approcci, utilizzando le tesi di R. D. Kaplan (nuova guerra fredda) e H. Kissinger (nuovo adattamento).

Kaplan sostiene da anni che il conflitto con la Cina sia inevitabile, se non direttamente, attraverso lo stallo in stile Guerra Fredda per decenni. Nelle sue analisi ha suggerito una strategia di contenimento basata sul Comando degli Usa nel Pacifico (PACOM) per creare una sorta di Nato asiatica. Dalle Hawaii agli alleati del Pacifico (con accordi bilaterali) al fine di gestire e controllare le rotte marittime nel Pacifico e nell'Oceano Indiano. La NATO come strumento di guerra guidato dagli Stati Uniti è considerata, da questo influente studioso e consigliere, un aspetto fondamentale contro il possibile emergere della potenza militare europea ed i suoi crescenti legami con la Cina.

Kissinger, al contrario, riconosce il soft power della Cina, la portata pacifica del suo sviluppo economico globale ed il progresso interno. La guerra tra grandi potenze sarebbe una catastrofe in un mondo globalizzato ed altamente nuclearizzato. La Cina non è paragonabile all'imperialismo dell'ex Germania o dell'Unione Sovietica. La Cina persegue i suoi obiettivi con uno studio attento e con pazienza. E’ uno stato che esiste da 2000 anni. Pertanto, il famoso politico statunitense vede la competizione con la Cina solo sul piano economico-politico e non militare. Voler giocare la partita su questo piano sarebbe quanto meno poco saggio, sempre secondo Kissinger, il quale afferma che la mentalità della guerra fredda non è appropriata, né benefica per gli interessi degli Stati Uniti. Kissinger è pertanto un acceso sostenitore della necessità per gli Stati Uniti di collaborare con la Cina per costruire un sistema internazionale stabile.

Tra Kaplan e Kissinger abbiamo però anche posizioni intermedie che criticano il contenimento militare e puntano su politiche rivolte a ripristinare una base industriale competitiva. Per queste posizioni alla J. P. Pinkerton si dovrebbe seguire la strategia del “terzo felice”, ovverosia giocare sulle contraddizioni tra le potenze emergenti, riorientare le politiche domestiche verso l’industria e l’innovazione ed evitare il confronto militare diretto. Come suggerisce ad esempio l’esperienza a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Quest’ultima sembra essere, almeno in parte, una strategia più vicina ad una certa prospettiva trumpiana, che viene diversamente articolata dagli studiosi citati nell’introduzione a questo articolo, a cui possiamo aggiungere anche J. Sachs.

Un altro problema riguarda la dinamica politica delle “democrazie liberali”. Spesso i politici statunitensi hanno la tendenza a voler portare i propri elettori su posizioni polarizzanti per un mero guadagno elettorale e/o per nascondere le proprie inefficienze nell’azione di governo. Per tale ragione, miope e controproducente per le sorti del mondo, molti soffiano sul fuoco dei pregiudizi prendendo di mira il “competitor” di turno. E’ come se in Occidente la logica del marketing politico avesse estromesso la logica della politica al servizio del popolo. A ben guardare, è una delle ragioni dell’indebolimento progressivo - ed apparentemente inarrestabile - delle “democrazie liberali”.

In conclusione, gioverà ricordare che la confusione strategica e gli errori statunitensi in questo campo risentono delle interferenze degli interessi della potente lobby militare, spesso in totale contraddizione con quelli degli altri settori economici statunitensi, che tanto hanno beneficiato da una crescente interdipendenza con la Cina.

L'autore Fabio Massimo Parenti è l'Associate Professor of IPE presso CFAU

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