【In altre parole】Una politica di cooperazione per un mondo più verde
Si sono aperti i due giorni di Summit sul clima col compito ambizioso di fissare gli obbiettivi globali per combattere il cambiamento climatico ed avviare una svolta green all’agenda globale. Svolto in modalità online, il forum ha visto la partecipazione di oltre 40 tra capi di stato e di governo, assieme agli inviati speciali delle Nazioni Unite ed ai rappresentanti di aziende ed organizzazioni in difesa del pianeta.
Il tema all’ordine del giorno è uno dei dossier più delicati ed urgenti degli incontri tra le cancellerie dei vari paesi e su di esso già Francia e Germina hanno avuto modo di approfondire aspetti ed impegni assieme al presidente cinese nel corso del summit online, dove Xi Jinping ha ribadito l’impegno di Pechino a raggiungere il picco delle emissioni di carbonio entro il 2030 e fissare la carbon neutrality entro il 2060.
La Cina, che già all'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel settembre 2020 aveva annunciato questi traguardi, fissati successivamente anche come obiettivi a medio e lungo termine nel suo 14° piano quinquennale, ratificherà inoltre l'emendamento di Kigali del protocollo di Montreal (che consiste nella riduzione di alcune categorie di idrofluorocarburi, tra i gas serra ritenuti più dannosi) e si impegna ad eliminare gradualmente i gas refrigeranti nocivi.
L’impegno cinese per una riconversione green della propria economia è riscontrabile anche dall’analisi dei dati della produzione industriale del 2020. In questo periodo così difficile per l’economia globale, colpita dalle conseguenze della pandemia da Covid-19, si è invece registrata in Cina una forte crescita dei settori industriali legati all’economia verde: la produzione di veicoli elettrici ha visto una crescita del 17,3%, mentre quella legata alla crescita della capacità di produzione eolica e solare ha raggiunto quota 22,2% e la produzione di lastre di silicio e pannelli solari il 24,1%.
Già nel corso del Boao forum, la Davos asiatica, il presidente cinese ha ribadito la determinazione cinese al rispetto degli accordi di Parigi contro i cambiamenti climatici e l’impegno allo sviluppo di infrastrutture ed energia verdi all'interno della Belt and Road Initiative.
Il tema della protezione ambientale è di stringente attualità in Asia proprio a seguito dell’annuncio da parte del governo giapponese di scaricare tra due anni l'acqua contaminata della centrale nucleare di Fukushima nell'oceano. La controversa decisione è stata osteggiata sia in patria da gruppi ambientalisti ed organizzazioni di pescatori, sia dai paesi vicini. Ma questo tema accende la luce su un aspetto centrale relativo alla gestione dei temi ambientali a livello globale e del loro uso geopolitico. Chiediamoci chiaramente: cosa sarebbe successo se a dare questo annuncio fosse stato il governo cinese? Perché davvero colpisce che i paesi occidentali, che hanno sempre prestato molta attenzione alle questioni ambientali, in questo caso non abbiano detto nulla in proposito, né si siano opposti alla decisione del Giappone. Eppure il tema è di scottante attualità: in Italia, secondo un’analisi della della Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi al 2020, oltre 21 milioni di chili di pesci, crostacei e molluschi arrivano dalle acque del Giappone. Che garanzie di salubrità ci sono per i cittadini italiani? E per i paesi che si affacciano direttamente sull’area di sversamento di queste acque contaminate?
E proprio questa vicenda che ci aiuta a comprendere come la lotta contro i cambiamenti climatici ed a favore di scelte che tutelino l’ecosistema e garantisca un futuro verde ai nostri figli, deve essere accompagnata da una seria visione strategica, proprio per evitare che singoli temi siano politicizzati e, all’unilateralismo nelle relazioni internazionali, si affianchi il pensiero unico della rivoluzione green, che pretende di imporre un modello di sviluppo univoco, ammantandolo come una scelta adottata in nome dell’ambientalismo. Proprio il doppio standard sulla vicenda dello sversamento nelle acque del Giappone ci aiuta a riflettere e cogliere appieno il senso del messaggio che la Cina ha ribadito anche durante il Boao Forum, quando ha chiesto, per bocca del suo presidente, "responsabilità comuni ma differenziate" nella lotta al surriscaldamento globale tra le economie avanzate e quelle in via di sviluppo. Responsabilità comuni significa un impegno comune ad affrontare in maniera collegiale e coordinata il problema, ma questo approccio va affiancato alla responsabilità differenziata, perché l’impegno ad una conversione ecologica non si trasformi in un meccanismo che ostacola lo sviluppo economico di quei paesi che sono giunti più tardi allo sviluppo industriale e devono ancora recuperare un grosso gap con i paesi più industrializzati e ricchi.
Una visione quindi capace di coniugare le esigenze di compatibilità ambientale con quelle di sviluppo sociale compatibile. E la Cina ha mostrato la piena volontà ad andare fino in fondo a questo processo di riconversione, come dimostra il tema della “dual circulation” che, più che rispondere alle crescenti tensioni internazionali e commerciali, incarna l’essenza delle profonde mutazioni dei sistemi produttivi.
Il tema della riconversione della propria economia non è avvertito solo dalle economie emergenti, ma anima un dibattito sul modello di sviluppo da adottare anche in Europa. Gli Usa premono per una transizione energetica ed ambientale che avrà un impatto rivoluzionario sulla manifattura europea. È per questa ragione che i paesi più esposti su questo fronte provano ad anticipare le mosse americane immaginando uno sviluppo che, nel garantire la conversione ecologica della manifattura, non ne configuri il declino in termini di competizione tecnologica e commerciale rispetto a quella statunitense.
L’Italia è un paese fortemente interessato a questo fenomeno e può usare la presidenza del G20 proprio per accrescere il dialogo tra l’Europa e l’Asia: nel medio termine lo sviluppo di una vasta area eurasiatica interessata da processi di carbon leakage e da meccanismi di monitoraggio di parametri ambientali condivisi, può accrescere il valore strategico di un’area economico-produttiva, destinazione naturale dell’export europeo e cinese, in grado di rappresentare un nuovo volano per lo sviluppo economico del continente europeo e di ulteriore intensificazione della connettività regionale eurasiatica. Da questo punto di vista, si apre una sfida affascinante: quella di coniugare le esigenze di progresso e sviluppo per quelle fasce della popolazione mondiale che finora ne sono state prive, con una riconversione dell’economia e dell’industria in grado di riequilibrare il rapporto con la natura e disegnare i tratti di una nuova civiltà ecologia. La diplomazia, costruendo una rete di connessioni e processi inclusivi, può facilitare questo percorso e rendere virtuosa la collaborazione strategica per il clima e l’ambiente, a partire degli importantissimi appuntamenti della Cop26 di Glasgow sul clima e della Cop15 di Kunming sulla biodiversità.
L’autore è Francesco Maringiò, Presidente dell’Associazione italo-cinese per la promozione della Nuova Via della Seta