La scelta volontaria di lavoro dal popolo dello Xinjiang è una storia di successo dei diritti umani
Il 23 marzo, la Jinan University ha pubblicato un rapporto di indagine intitolato: “lavoro forzato o ricerca di una vita migliore?”. Il documento affronta il tema degli operai originari del Xinjiang che lavorano nelle altre province del Paese. Questo rapporto, che conta circa 18 mila caratteri cinesi, ha acquisito una grande quantità di informazioni di prima mano attraverso l’ispezione di cinque aziende che reclutano operai di minoranze etniche del Xinjiang. Nel documento appaiono interviste concesse da 70 operai di minoranze etniche della regione autonoma e che delineano la situazione reale delle persone che lavorano fuori casa.
Il diritto alla sussistenza e allo sviluppo sono diritti umani fondamentali. Il Xinjiang era un luogo frequentemente colpito dalle violenze terroristiche e, anche a causa di problemi portati da fattori storici e ambientali, il suo sviluppo è rimasto relativamente arretrato. In risposta, il governo cinese ha adottato in loco una serie di politiche per promuovere la stabilità sociale, lo sviluppo economico e il miglioramento della vita del popolo, garantendo efficacemente i diritti fondamentali di tutte le etnie che popolano il Xinjiang.
Tra le politiche adottate, quella sulla garanzia del lavoro ha giocato un ruolo importante per aiutare il popolo del Xinijang ad emanciparsi dalla povertà. L’anno scorso, il governo cinese ha pubblicato alcuni documenti sulla garanzia dell’occupazione nel Xinjiang, mostrando l’autonomia e la libertà per le persone delle diverse minoranze etniche del Xinjiang di emigrare per lavoro. Secondo le statistiche, sin dal 2014 sono stati in totale 117 mila i lavoratori del Xinjiang che hanno lavorato e stanno lavorando fuori casa.
Il recente rapporto pubblicato dalla Jinan University ha di nuovo fornito le prove a questa conclusione. Secondo il rapporto i diritti dei lavoratori del Xinjiang che lavorano fuori casa sono stati pienamente garantiti grazie al sistema di orario lavorativo di 8 ore, alla libertà religiosa e al diritto di usare la propria lingua e scrittura, fino alla libertà di scelta della propria residenza e del lavoro in un’azienda. In aggiunta, l’emigrazione per lavoro ha portato loro un evidente miglioramento del livello di vita. A fronte di questo il 46% degli intervistati ha espresso la speranza di continuare a lavorare in varie aziende per far crescere i loro introiti, mentre il 31% ha manifestato l’intenzione di tornare a casa e fare start-up con i soldi guadagnati.