【In altre parole】Cancellata in Cina la povertà estrema: Uno stimolo per l’aiuto internazionale allo sviluppo

2021-02-24 10:27:08
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La lotta alla povertà è un obiettivo delle organizzazioni internazionali, e in particolare dei Governi dei molti Paesi in Via di Sviluppo (PVS). Le Nazioni Unite hanno collocato al primo posto, fra gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, la lotta alla povertà estrema (definita, in prima approssimazione come un reddito inferiore a $1,39 al giorno), la quale, secondo l’Agenzia, dovrà essere eliminata in tutto il mondo entro il 2030.

La Cina è, nel contempo, il più grande fra i PVS e la seconda (se non oramai la prima) economia mondiale per prodotto interno lordo a parità di potere d’acquisto. Come tale, ha la responsabilità, non solo verso i propri cittadini, bensì anche nei confronti degli altri PVS, di prendere particolarmente a cuore la lotta alla povertà, con l’obiettivo di aiutare altri a conseguire gli ambiziosi obiettivi ch’essa ha raggiunto.

Si tratta di una duplice sfida: da un lato, eliminare innanzitutto la povertà estrema (e poi anche quella relativa) dalle province più arretrate, e, dall’altro, organizzare forme efficaci di aiuto internazionale allo sviluppo. Quanto al primo obiettivo, affidato, dal 2014, ad appositi gruppi di lavoro e a centinaia di migliaia di esperti inviati nelle campagne a gestire l’attuazione dei provvedimenti governativi, il Governo della provincia del Guizhou ha dichiarato nel Novembre 2020 che, già (dieci anni prima del termine posto dalle Nazioni Unite), nonostante la pandemia, anche l’ultima provincia, di eliminare la povertà estrema da tutte le contee. Negli ultimi 10 anni, sono stati così sottratti alla povertà estrema circa 100 milioni di Cinesi.

Ogni famiglia bisognosa è stata affiancata da un assistente sociale, responsabile per l’uscita dalla povertà assoluta. La Cina, avendo province, prefetture e contee con diversi livelli di sviluppo e un forte tasso di autonomia, ha accumulato un patrimonio di esperienze nelle condizioni più diverse, che possono essere replicate nei PVS: sviluppo di nuove industrie; reinsediamento delle popolazioni delle località isolate; ristori alle aree vulnerabili dal punto di vista ambientale; educazione e formazione; previdenza sociale; assistenza medica; sussidi alla disoccupazione, centri di diffusione tecnologica…

La soglia in Yuan per considerare la povertà come “estrema” è stata calcolata sulla base dei dati delle Nazioni Unite, tenendo conto della parità di potere di acquisto. Al di là del fatto contabile, l’enorme trasformazione della Cina, già solamente rispetto alla fine degli anni ’70, è, per un visitatore che vi ritorni dopo molti anni, palpabile anche visivamente: code di automobili anziché di biciclette; grattacieli illuminati in luogo di qualche fioca lampadina; elettronica diffusa dovunque…Tutto questo in un’era in cui, in Occidente, non si fa altro che parlare di “nuove povertà”.

Per quanto riguarda, invece, l’aiuto internazionale allo sviluppo, la Cina aveva tradizionalmente un sistema di sostegno ai PVS che, combinando una complessa gamma d’interventi, andava perfino al di là dei parametri internazionali. Però, era stato finora difficile quantificare il flusso degli aiuti verso i singoli Paesi e confrontarlo con quello di altri donatori. Nel 2018, il Paese si è dotato di un’agenzia specializzata di aiuto allo sviluppo, finalizzata a una gestione mirata e trasparente, che permette anche una più precisa quantificazione.

L’aiuto cinese, già anche soltanto per il suo carattere unitario, è relativamente più semplice e rapido. Con la Belt and Road Initiative (BRI), esso si è inserito in un più ampio quadro istituzionale di collaborazione internazionale, di cui sono parte anche la Banca Asiatica per le Infrastrutture (AIIB), a cui partecipano moltissimi Paesi, fra cui l’Italia, il Multilateral Cooperation Center for Development e il Silk Road Fund.

Politici ed economisti stanno dibattendo circa l’efficacia nel tempo dell’aiuto internazionale, e di quello cinese in particolare. Le opinioni possono essere diverse, ma alcuni fatti sono innegabili:

-di fronte all’esplosione demografica dei Paesi afro-asiatici, e soprattutto africani, tale progresso economico, innegabile in termini assoluti, non sarebbe forse sufficiente a garantire la sopravvivenza della nuova popolazione;

-il modello cinese, che, con un equilibrio pragmatico e flessibile fra programmazione e decentramento, finanza pubblica e iniziativa privata, sta perseguendo efficientemente gli obiettivi proposti dalle Nazioni Unite, fa oggetto di studi per capire i motivi del suo successo, ed eventualmente imitarli;

-secondo la Banca Mondiale, già solo gl’investimenti legati alla BRI permetteranno di uscire dalla povertà estrema a 7.6 milioni di persone, e, dalla povertà relativa, a 32 milioni.

Nell’ambito del MOU del 2019 sulla BRI, l’Italia aveva concordato di presentarsi in una serie di Paesi insieme alla Cina per progetti di sviluppo. A sua volta, l’Unione Europea sta rinnovando proprio ora gli accordi di Cotonou, che disciplinano e coordinano gli aiuti europei ai Paesi del Centro-America, e Africa e Pacifico (ACP). Nel fare ciò, essa potrebbe, e, forse, dovrebbe, tener conto dell’esperienza cinese, e, per il bene dei Paesi beneficiari, cercare di coordinare gl’interventi.

di Riccardo Lala (autore del libro Da Qin e curatore dell’opera collettanea L’Europa sulle vie della Seta, amministratore delegato della Alpina editrice)

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