Il razzismo accelera le lacerazioni interne alla società americana
“La democrazia degli Stati Uniti non è per gli afroamericani”. Le parole dell’ex star afroamericana dell’NBA, Kareem Abdul-Jabbar, hanno descritto i danni causati alle minoranze americane da una malattia cronica che perdura da oltre quattro secoli, dimostrando l'ipocrisia della democrazia americana che, almeno sulla carta, dovrebbe ispirarsi al principio per cui “tutti gli uomini sono tra loro uguali”.
L’assalto violento avvenuto di recente al Congresso degli Stati Uniti è diventato l’ultima conferma della frase pronunciata da Abdul-Jabbar. Lo dimostra ad esempio il fatto che, quando si è verificato l’assalto, alcuni poliziotti hanno lasciato entrare i manifestanti nel Congresso, per non parlare dei selfie che alcuni di essi si sono scattati con i manifestanti, fino ad arrivare al giorno successivo quando fuori dal Lincoln Memorial non c’era nessun agente o guardia per garantire la sicurezza. Gli atteggiamenti assunti in queste occasioni dalla polizia americana nei confronti dei manifestanti - principalmente bianchi - sono in netto contrasto rispetto alla violenta repressione effettuata, nel giugno scorso, nei confronti delle proteste contro il razzismo.
Il trattamento è molto diverso, a seconda del colore della pelle. Come ha affermato Joe Scarborough, conduttore di MSNBC, se i manifestanti fossero stati americani d'origine africana, i poliziotti gli avrebbero sparato in faccia. Mentre la CNN ha toccato il punto cruciale nel commentare che il motivo per cui la polizia statunitense ha trattato in modi differenti gli americani bianchi e quelli d'origine africana è dovuto al razzismo e al suprematismo bianco, fenomeni che esistono ormai da lunghissimo tempo negli Usa.