【In altre parole】Diritti umani in Cina: superare i pregiudizi, per valutare in maniera più oggettiva
I Paesi occidentali hanno spesso mosso severe critiche alla Cina in riferimento all’annosa questione della tutela dei diritti umani. Vi sono però dei problemi di contenuto e di principio in queste critiche che vale la pena analizzare. Questo non per giustificare eventuali violazioni, ma per provare a capire quale sia la posizione della Cina al riguardo. A tal fine, occorre prima di tutto avere ben chiaro quali siano i diritti sanciti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani dell’Onu e, in particolare, essere consapevoli che questi non riguardano solamente la sfera delle libertà civili e politiche.
In Occidente si tende, però, di norma a dare minore risalto a quegli articoli della Dichiarazione Universale riguardanti i diritti sociali, economici e culturali (art. 22-27). Ciò viene visto dalla leadership cinese come un chiaro segno che, da parte di alcuni Paesi occidentali, vi sia la volontà di politicizzare tale questione, e che questi se ne servano, in realtà, come leva per perseguire i propri interessi.
Per quanto abbia ancora molta strada da fare anche su questo fronte, va riconosciuto alla Cina che negli ultimi quarant’anni ha innegabilmente compiuto enormi progressi in termini di diritti economici e sociali goduti dai propri cittadini, garantendo in particolare standard di vita sempre più alti nelle aree del Paese maggiormente sviluppate e portando avanti un ambizioso programma di alleviamento della povertà nelle zone più arretrate, che ha permesso a diverse centinaia di milioni di persone di liberarsi da uno stato d’indigenza.
Proprio in questi giorni è arrivato l’annuncio da parte delle autorità locali della provincia del Guizhou della cancellazione dall’elenco delle contee estremamente povere delle ultime 9 contee (erano 66 all’inizio), segnando il raggiungimento dell’obiettivo nazionale di lotta alla povertà. In precedenza, il traguardo era stato raggiunto anche dalle altre quattro province (o regioni autonome) meno sviluppate del Paese: Gansu, Sichuan, Ningxia e Yunnan. Tutte le 832 contee della Cina, inizialmente dichiarate povere, sono così uscite dalla loro condizione di povertà.
Occorre sottolineare che questi risultati sono in primis frutto di una precisa volontà politica, che si è tradotta in scelte mirate di natura economica. Dal 1978 a oggi la Cina ha cercato di coniugare, in maniera del tutto pragmatica, i valori socialisti e la pianificazione economica tipica degli Stati comunisti, con tutta una serie di politiche, misure e strumenti economici in precedenza adottati dalle sole democrazie occidentali, il che ha portato a una graduale transizione da un’economia pianificata all’economia socialista di mercato.
È doveroso inoltre notare che, per quanto esistano innegabilmente sostanziali differenze fra i due sistemi, nella vita di tutti i giorni un cittadino cinese gode essenzialmente delle stesse identiche libertà di un suo omologo occidentale. Le critiche, se fatte in maniera costruttiva, sono lecite e la Cina dovrà dimostrare di essere sufficientemente matura da saperle recepire. Il punto però è che chi le muove, il più delle volte, si basa su pregiudizi o posizioni ideologiche, senza conoscere o tenere conto del reale contesto politico, economico, sociale e culturale cinese. Ad esempio, come spiega in un articolo pubblicato sul Quotidiano del popolo il 4 marzo del 2015 il prof. Chen Lai - filosofo ed esperto di storia della filosofia nonché direttore dell’Istituto di ricerca sugli Studi Nazionali della Tsinghua University di Pechino - a differenza di quella occidentale, tradizionalmente nella scala di valori cinese le responsabilità vengono prima delle libertà individuali, così come i doveri precedono i diritti. Allo stesso modo, viene riconosciuta maggiore importanza alla collettività sull’individuo e si tende a far prevalere l’armonia sociale, mitigando sul nascere i potenziali conflitti. Questo rientra nel legittimo diritto di ogni Paese di scegliere liberamente il proprio sistema di valori, che non può essere imposto dall’esterno.
Ad ogni modo, al di là di tutte le differenze, una cosa è certa. Al Partito Comunista Cinese va dato atto che negli ultimi settant’anni ha saputo realizzare un’impresa che non ha precedenti nella storia dell’umanità: liberare dalla povertà assoluta un territorio enorme, abitato da circa un quinto dell’intera popolazione mondiale, è un risultato straordinario, che acquisisce un valore ancora maggiore se paragonato al fallimento delle ricette neoliberiste adottate in altri Paesi in via di sviluppo. Ed è soprattutto un modo per promuovere i diritti umani in Cina e nel resto del mondo.