Il razzismo negli Usa rivela l’ipocrisia dei “diritti umani all’americana”
Recentemente si è tenuta a Ginevra la 45esima sessione del Consiglio dei diritti umani dell’Onu, nel corso della quale i rappresentanti di diversi Paesi hanno sollecitato gli Stati Uniti affinché rispettino i fatti fondamentali in materia di diritti umani, esprimendo forte indignazione per il doppio standard, motivato da fini politici, adottato dal governo statunitense sulla questione, e hanno esortato il governo Usa a guardare in faccia le pratiche da loro seguite all’interno del Paese.
La discriminazione razziale è sempre stata inseparabile dallo sviluppo degli Stati Uniti. Questa disparità di trattamento risulta particolarmente evidente nell’applicazione della legge. Secondo le statistiche riportate sul sito web di Mapping Police Violence, organizzazione non governativa statunitense, dal 2013 al 2019, una media di circa 2,5 caucasici sono morti ogni anno per ogni milione di persone negli Stati Uniti a causa della violenza delle forze dell’ordine; il numero dei morti tra gli afroamericani è di 6,6 persone, pari a 2,6 volte quello dei caucasici. Il 99% dei poliziotti non è stato citato in giudizio.
Egoismo, capricci, scarsa efficienza e irresponsabilità da parte del governo statunitense hanno causato 7,1 milioni di casi di contagio e oltre 200mila decessi, e hanno alimentato la discriminazione razziale, questione radicata nel Paese, facendo precipitare il popolo americano in una grande catastrofe sotto il profilo dei diritti umani.
I cosiddetti “difensori dei diritti umani” hanno messo in luce i loro cattivi comportamenti di fronte alla comunità internazionale. E allora, che qualifica hanno per criticare la situazione dei diritti umani negli altri Paesi?