​【In altre parole】 Pandemia e falle dell’attuale modello di globalizzazione: la “comunità umana dal destino condiviso” come nuovo paradigma per rispondere alle crisi globali

2020-03-27 22:00:49
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La società moderna si fonda essenzialmente sul liberismo e sul consumismo. Per quanto questo modello economico abbia creato una ricchezza senza precedenti nella storia dell’umanità, elevando il tenore di vita di gran parte della popolazione mondiale, ha creato anche delle contraddizioni che risultano sempre più evidenti, in particolare in momenti di crisi come questa emergenza sanitaria globale. Questa “ricetta vincente” si basa infatti sul presupposto che gli Stati debbano avere un ruolo sempre più marginale nell’economia, il che si traduce in ingenti tagli della spesa pubblica che vanno a impattare gravemente su settori cardine come l’istruzione e la sanità. Ciò che è economicamente razionale, non è detto però che sia anche efficace soprattutto in situazioni di estrema emergenza, come dimostrato ad esempio dalla rapida saturazione del sistema sanitario nazionale italiano, che rischia ora il collasso poiché non più in grado (dopo i tagli di strutture e posti letto che ha subito negli ultimi decenni) di fronteggiare una domanda così elevata e concentrata nel tempo.

Ma se la capacità di risposta di singoli Stati come l’Italia è ridotta e insufficiente, la situazione non è di certo migliore a livello globale, dove si evidenziano numerose criticità nonostante i rischi continuino ad aumentare invece che diminuire. Sul fronte sanitario è, ad esempio, ormai risaputo che, vivendo in un mondo sempre più interconnesso, è inevitabile che la diffusione delle malattie su scala globale sia sempre più rapida. Un discorso simile potrebbe essere esteso anche ad altri problemi, come ad esempio quelli ambientali. Il punto è che, al giorno d’oggi, ci troviamo ad affrontare sempre più spesso sfide che coinvolgono l’intera umanità e non singoli Paesi. Siamo tutti sulla stessa barca.

Questo mondo così fortemente globalizzato si basa, però, su valori che esaltano l’individuo a scapito della collettività: il singolo individuo (o Paese) è portato a mettere al centro esclusivamente i propri interessi, ma ciò gli fa perdere di vista quello che è il bene comune. Viene infatti promossa l’idea, ormai profondamente radicata, che solo attraverso la competizione si possano raggiungere risultati (economici) sempre migliori. Quest’ultima riflette una visione utilitaristica dell’economia e della società, in virtù della quale il benessere sociale è interpretato come somma delle “felicità” (utilità) di ogni singolo individuo (Paese) che compone la società (comunità internazionale). Senza entrare troppo nel dettaglio, questa visione filosifica di fatto nega l’esistenza di un bene comune superiore di cui giova la collettività in quanto tale. Questa concezione ha profonde implicazioni che non sono solamente di natura teorica: il singolo individuo o Paese è infatti legittimato a perseguire esclusivamente i propri interessi, poiché questo viene ritenuto implicitamente giusto e necessario anche sul piano morale.

Da ex sportivo ho sempre pensato che una giusta dose di competitività sia un fattore decisivo per migliorare costantemente le proprie prestazioni, poiché fornisce quella motivazione necessaria a superare i propri limiti. Allo stesso tempo, però, lo sport mi ha anche insegnato l’importanza del senso di appartenenza a un gruppo, a una squadra; l’importanza del lavorare insieme mettendo da parte il nostro immediato tornaconto personale per il perseguimento di un obiettivo comune più grande. In termini di sistema valoriale, ciò implica il prevalere della solidarietà e della cooperazione sull’interesse individuale.

Il modo in cui la Cina ha gestito e sta gestendo la crisi all’interno del proprio territorio nazionale e i risultati da essa conseguiti mostrano chiaramente che, laddove il bene comune prevale su tutto il resto ― inclusi gli interessi economici particolari di breve periodo ― è possibile far fronte in maniera unitaria alle crisi e, nel caso specifico, sconfiggere la pandemia. Ciò è stato reso possibile anche dal fatto che in Cina la politica detiene ancora il primato sull’economia, a differenza di quanto invece non accada in molti altri Paesi. Oltre ad essere uno dei principali vantaggi del sistema cinese, ciò ci ricorda anche quale dovrebbe essere il ruolo dell’economia: uno strumento per perseguire il bene comune. Quando quest’ultimo è messo a repentaglio, la politica ha il dovere di intervenire, anche se questo significasse danneggiare parzialmente ― o ritardare ― gli obiettivi di natura economica.

Non spetta a me esprimere giudizi politici (e mi asterrò dal farlo), né tanto meno rispondere a quei dubbi che potrebbero essere lecitamente sollevati al riguardo, ma ritengo che in linea generale la stessa proposta di edificare una “comunità umana dal destino condiviso” avanzata dal presidente cinese Xi Jinping possa essere letta in quest’ottica e che rifletta un tentativo della leadership cinese di risolvere quelle contraddizioni poc’anzi menzionate. Contraddizioni esacerbate da un modello di globalizzazione che si fonda su presupposti filosifici che si stanno rivelando fallimentari.

La crisi sanitaria globale che stiamo vivendo ci dimostra che il modello liberista occidentale, che fa dell’utilitarismo e dell’individualismo i suoi principali capisaldi, non è in grado di fornire quelle risposte di cui abbiamo attualmente bisogno, le quali presuppongono invece un’azione concertata da parte di tutta la comunità internazionale. Singoli Paesi in costante competizione tra di loro non sono in grado di far fronte a una sfida comune di così vasta portata. Un esempio lampante è quello dell’Ue, che non ha saputo (o voluto) farsi trovare pronta e rispondere sin da subito alla crisi in maniera unitaria, perché l’interesse particolare dei suoi Paesi membri è prevalso ancora una volta su quello della stessa Unione europea come entità a sé stante. Serve un approccio diverso, necessita una risposta unitaria e coordinata. Lo stesso vale per altre crisi globali, passate momentamente in secondo piano a causa dello scoppio della pandemia, che mettono a repentaglio non soltanto la salute della popolazione mondiale, ma anche la sua effettiva capacità di condurre una vita dignitosa libera dalla povertà e dall’incertezza. Occore un cambio di paradigma. Che ci piaccia o meno, siamo già una comunità umana dal destino comune. Spetta a noi far sì che questo destino condiviso sia prospero e che non si riferisca soltanto al presente, ma che riguardi anche il nostro futuro.

(Piero Cellarosi)

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