Addio nella foresta di pioppi

2020-09-18 23:33:43
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di Xu Dandan

Dopo una lunga attesa di 180 giorni, le sale cinematografiche cinesi hanno finalmente riaperto i battenti. In veste di primo nuovo film proiettato in Cina nell’era post-Covid 19, A First Farewell porta con sé la malinconia, la gioia, la speranza e l’incertezza coltivate da tempo da numerosi cineasti e appassionati di cinema. La frase dei manifesti pubblicitari “Dalla separazione matura la speranza della riunione” spiega perfettamente questo stato d’animo.

L’espressione dipinge realisticamente non solo l’ambiente del cinema cinese negli ultimi sei mesi, ma anche l’emozione che intende trasmettere la giovane regista Wang Lina nel suo primo lungometraggio A First Farewell. Il film è un poema che ella dedica alla sua terra natale: lo sconfinato deserto del Taklamakan, le foreste dorate di pioppi Populus euphratica, l’acqua scintillante dei laghi, le greggi di pecore che si avvicinano alla luce dell’alba e le scene di vita quotidiana degli Uiguri del sud dello Xinjiang.

Si tratta di una storia di separazione e di maturazione. Privo di attori professionisti, il film narra la storia di due ragazzi della contea di Shaya, nello Xinjiang, che stanno vivendo la prima separazione della loro vita. Il piccolo Isa appartiene a una famiglia in cui la madre è malata da anni e il padre fatica tutto l’anno. La sua è una vita semplice, ma ardua: occuparsi delle pecore, cercare la madre smarrita e curarla non sono occupazioni a cui un ragazzo della sua età dovrebbe dedicare la maggior parte delle energie. Per motivi concreti, il padre decide di ricoverare la donna in una casa di riposo per anziani, nel frattempo, il fratello maggiore di Isa parte per andare all’università. Isa deve così fronteggiare la prima crudele separazione della sua vita. Per vincere la solitudine, egli si rivolge all’esterno, occupandosi a turno degli agnelli con l’amica di giochi Kalbinur, e girovagando come un pazzo nel deserto e nella foresta di pioppi. Nel frattempo, anche nella famiglia di Kalbinur sta maturando una separazione. I genitori di Kalbinur, che vivono della coltivazione del cotone, ritengono che nel loro remoto villaggio sia impossibile offrire una buona educazione ai figli. Dopo lunghe considerazioni, la madre convince il padre a trasferirsi a Kuche, una grande città che può offrire loro un futuro migliore. Nella scena finale, Kalbinur, seduta nel retro del camion, guarda con nostalgia il paese natale che si allontana sempre più, mentre Isa, rimasto nel villaggio, per l’agitazione, perde il suo inseparabile agnello.

Il film, che presenta lo stile narrativo di Abbas Kirostami, ha procurato una serie di riconoscimenti alla regista debuttante. Nella desolazione dell’inverno cinematografico del 2019, A First Farewell ha lasciato la Cina per il mondo, ottenendo, dalla Germania a Tokyo, il premio per il miglior film della giuria internazionale per l’unità “Generation Kplus” della 69esima Berlinale e quello per il miglior film per l’unità “Asian Future" del 31esimo Tokyo International Film Festival. Nella foresta della narrazione cinematografica, la storia di Wang Lina trabocca di espressioni poetiche: “Non sono interessata alle trame drammatiche, ai conflitti e al finale, ma il mondo interiore dei personaggi. Per me, la cosa più importante è esprimere l’animo umano, nutrito dalla vita, dalla letteratura e dalla cultura”.

In realtà, il film è un prodotto inaspettato delle riprese di un documentario. Prima di girare il film, Wang Lina stava preparando un documentario incentrato sui dieci anni di vita di un gruppo di ragazzi uiguri che vivono ai limiti del deserto. Prima di entrare nella MeDoc, la giovane regista ha presentato al produttore i materiali girati e una ricca documentazione, molto apprezzati per la ricchezza espressiva e le magnifiche scene. Da qui è nata l’idea di un lungometraggio.

Piena di nostalgia per la terra natale, riflettendo sul dolore della separazione nell’adolescenza, Wang Lina è così ritornata al punto di partenza della sua vita, Shaya, nello Xinjiang. Shaya è un’oasi confinante con il deserto del Taklamakan: benché arida e povera, la zona è abitata da tempo da gente forte, al pari dei pioppi che si ergono qui da millenni. Wang Lina ha puntato la cinepresa sulla terra dove è cresciuta: la scena iniziale del film riflette esattamente i ricordi della sua infanzia:

“Tra la casa e la scuola c’era un lunghissimo sentiero. Nella stagione delle more, il loro profumo ci accompagnava per tutto il cammino. Nella stagione dell’uva, camminavamo ancora più piano...quando arrivava sul suo carretto, il vecchio uiguro si fermava e ci faceva contare i peli della sua barba, un compito che non siamo mai riusciti a completare, però avevamo sempre dell’uva dolcissima da gustare…”

Jin Yucheng, autore della novella Blossoms, ha detto a suo tempo: “L’adolescenza è la culla della composizione letteraria, da cui ci allontaniamo e a cui, alla fine, facciamo ritorno”. La migliore postilla alla storia di Wang Lina.

Un secolo fa, nel libro Ancient Society, l’antropologo americano Lewis Henry Morgan afferma: il bacino di fiume Tarim è la culla della civiltà mondiale. La scoperta della chiave d’oro lasciata dagli antichi nel deserto del Taklamakan spalancherà la porta della cultura mondiale. La canoa, ricavata dal legno di pioppo, scivola sulle acque del fiume Tarim, dal profondo del deserto del Taklamakan si alza il suono delle campanelle dei cammelli, le foglie dei pioppi millenari frusciano nel vento… una vita inimmaginabile per chi vive in una metropoli. Wang Lina ha scelto di esprimere il suo profondo amore per la terra natale con forti tinte letterarie:

“Solo negli ampi orizzonti delineati dal fiume, dal deserto e dai pioppi è possibile percepire l’esuberante vitalità lasciata dalla furia del vento. Gli artisti delle minoranze si ergono tra cielo e terra con i loro strumenti musicali, facendo risuonare la musica e le ballate di questa terra. La nostra infanzia nasce qui, dove tutto è libero e selvaggio”.

La natura selvaggia porta con sé lo spirito libero dimostrato dai ragazzi nel film. La scelta di Wang Lina di impostare il film dall’angolazione dei ragazzi proietta all’esterno il suo piano particolare. Più che per quella degli adulti, la regista propende per la visione della vita libera dei ragazzi: “I ragazzi non raccontano il mondo, ma lo scoprono, senza considerare affatto la loro immagine e voce al suo interno”.

Nel film, un particolare ha fatto riflettere a fondo la regista: in classe, il maestro chiede a Isa cosa sogni di fare da grande, e lui risponde di voler fare il medico per curare la mamma. Incalzato dal maestro, egli dice “Voglio anche comprarmi un giocattolo”. La frase è un’aggiunta spontanea dall’attore stesso, il che ha commosso a fondo la regista: “E’ un continuo avviso a non perdersi nel pessimismo emozionale, raccontando questi ragazzi, la storia non va delineata secondo la nostra immaginazione, ma tornando alla nostra infanzia”.

In realtà, A First Farewell sta raccontando che la separazione e la maturazione di ognuno di noi. Dal momento della nascita, quando lasciamo l’utero della mamma, da quando impariamo a camminare, dal primo giorno di asilo a quando ci trasferiamo per studiare e lavorare…la separazione è un tema perenne della vita. I due protagonisti del film fanno il loro primo approccio al profilo della vita reale. La terra natale è il luogo colmo di dolcezza che ci accetta sempre incondizionatamente. “Solo considerando l’umanità al pari della propria terra natale si possiede davvero una terra natale”, afferma la regista.

Nella prima metà del 2020, tutti hanno vissuto troppe separazioni e anormalità. Wang Lina ha completato la sceneggiatura del suo secondo film proprio nel periodo dell’epidemia, continuando a puntare gli occhi sul deserto del Taklamakan: “E’ l’unico punto di incontro delle quattro grandi civiltà. E’ così grande non solo da accogliere il dolore dell’intera umanità, ma anche da darle nuovo impulso”.

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