La parola d'ordine è innovazione
Il lavoro quotidiano e i grandi obiettivi in Cina dell'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, l'Ice. Intervista al presidente Carlo Ferro
Presidente, negli ultimi anni la Cina continua a promuovere l’apertura verso l’estero ed una delle azioni privilegiate è stata organizzare la CIIE, l'expo mondiale per favorire l'importazione in Cina. Lei come valuta questo atteggiamento cinese, crede che abbia un impatto sull’Italia e a livello internazionale?
La Cina sta evolvendo dal modello export-led - che ne aveva fatto il manufacturing hub a livello mondiale, sostenuto da costi di produzione contenuti - a un modello trainato dagli investimenti all'estero e dalla domanda interna. Nel frattempo sta emergendo una nuova percezione di consumatori cinesi, stimata in 400 milioni di persone, con gusti e capacità di acquisto elevati. Questa domanda, sempre più sofisticata e attenta, va soddisfatta e le imprese italiane possono giocare un ruolo importante, perché oggi più che ieri i consumatori e gli operatori cinesi cercano proprio ciò che l'Italia meglio di altri fornitori può dare: qualità e sicurezza dei prodotti, riconoscibilità, affidabilità e customizzazione. Se guardiamo alla classifica dei paesi esportatori verso la Cina, l’Italia è solo il 21esimo partner con una quota di mercato appena al di sotto dell’1%, pur essendo la seconda economia manifatturiera in Europa e il nono paese esportatore al mondo con una quota di circa il 3% del commercio mondiale. Abbiamo, quindi, tutte le carte in regola, se ben attrezzati, per aumentare il nostro business con questo importante mercato. Con un’attenzione alla sostenibilità. Questa, se oggi è un fattore differenziante, domani diventerà, con l’evolversi delle generazioni dei consumatori, i cosiddetti millennials, un requisito fondamentale per il successo in Cina, come nel resto del mondo.
Dalla prima CIIE ad oggi è possibile fare un resoconto dei risultati ottenuti dalle imprese presenti già all'edizione 2018, anche in termini numerici? E come è cambiata la partecipazione dell'Italia nel 2019, con quali obbiettivi l’Italia ha aderito questa volta alla CIIE?
La partecipazione alla prima CIIE è stata valutata positivamente dalle aziende espositrici italiane; l’alto livello di partecipazione alla seconda edizione ne è stata la conferma più evidente: oltre 140 espositori in tutti i settori della rassegna commerciale. Il nostro obiettivo è quello di consolidare i rapporti già ottimi del nostro sistema imprenditoriale su questo mercato, soprattutto attraverso la presentazione di nuovi esportatori e di nuovi prodotti e insistendo sui primati e le eccellenze che il nostro Paese è in grado di esprimere. E soprattutto siamo orgogliosi che quest’anno l’Italia sia stato Paese ospite e abbiamo per questo particolarmente curato il Padiglione nazionale, ispirato al bello dell’Italia ed alle eccellenze del Made in Italy, dal design alla tecnologia, al territorio.
Che cosa fa e che cosa dovrebbe fare ICE per favorire nel lungo periodo la partecipazione delle imprese italiane alla CIIE, e ancor di più per realizzare i loro obiettivi di sviluppo in Cina?
L’Agenzia lavora quotidianamente in Cina, attraverso quattro uffici, con le nostre imprese. Ogni anno realizziamo su questo mercato oltre 70 iniziative fra partecipazioni a fiere settoriali, organizzazione di incontri B2B e altre attività promozionali e forniamo un numero ancora maggiore di servizi personalizzati ad aziende interessate al mercato. Grandi eventi straordinari come la CIIE si integrano perfettamente in questa strategia, dal momento che offrono l’occasione di unire alla promozione commerciale una visibilità istituzionale di alto rilievo e consentono di incontrare in un unico luogo controparti selezionate provenienti da tutta la Cina.
La firma italiana del MoU sulla Via della Seta nel marzo del 2019, e gli accordi relativi, con un valore di 2,5 miliardi di euro, come sono entrati in questa seconda CIIE?
L’accordo sta già producendo effetti concreti. In occasione della seconda CIIE, ad esempio, c'è stata la firma di alcuni accordi operativi che daranno attuazione agli impegni delineati nel MoU, in particolare nel campo del supporto alla presenza del Made in Italy di qualità nelle maggiori reti distributive cinesi. Con questi accordi, ICE sta accompagnando l’offerta delle eccellenze italiane nelle nuove piattaforme di distribuzione e rinnovando la cooperazione con nostro omologo cinese TDB.
L’Italia è un grande paese agricolo, ha un’industria alimentare avanzata, un’agricoltura intelligente, grazie ad esempio alla tecnologia per il risparmio idrico e l'irrigazione. L’Italia vuole collaborare in questi campi con la Cina?
La filiera agricola offre numerosissime opportunità di collaborazione, non soltanto nell’interscambio dei prodotti, che pure ha la sua importanza, ma anche e soprattutto nell’elaborazione e nell’applicazione di tecnologie innovative e sostenibili lungo l’intera catena del valore. L’Italia dispone di un patrimonio significativo da questo punto di vista, che potrà essere ulteriormente valorizzato nell’incontro con un paese molto diverso dal punto di vista territoriale, ma non meno ricco di tradizioni e di competenze in questo campo, quale è la Cina. Credo quindi che lo sviluppo di collaborazioni sempre più integrate possa essere di grande beneficio per entrambi i partner. Sono, inoltre, convinto che le imprese italiane e quelle cinesi potranno mettere a fattor comune le loro rispettive expertise collaborando anche in paesi terzi per cogliere le opportunità offerte dallo sviluppo di progetti in settori e aree geografiche di maggiore interesse per la BRI ricorrendo al loro saper essere “filiera”.
Vede una collaborazione in aumento nel settore dei servizi?
Quello dei servizi è un settore molto articolato e per sua natura difficilmente riconducibile a un’immagine univoca. Esistono sicuramente spazi di crescita importanti in questo contesto, come dimostra ad esempio la forte accelerazione che stiamo registrando negli ultimi tempi nel settore della logistica e dei trasporti; anche la nostra attività del resto deve sapersi adattare a un interscambio che si evolve in questa direzione, è una sfida importante alla quale dobbiamo poter dare una risposta adeguata per mantenere il ruolo che l’Italia ha saputo conquistarsi fino ad oggi.
Il mutamento e lo sviluppo dei consumi in Cina e il rapido sviluppo dell'e-commerce influenzano il modo in cui i prodotti italiani possono ambire ad entrare nel mercato cinese. Ha una ricetta utile al made in Italy per quanto accade?
La Cina è il più grande mercato a forte trazione digitale: 800 milioni di netizens di cui il 90% da smartphone e, di questi, l’80% compra da telefono spingendo il più grande b2b e-commerce al mondo. E il consumatore cinese è sempre più sofisticato, attento, esigente e pronto a nuove esperienze di prodotto che facciano la differenza. La Cina sta, inoltre, diventando un paese moderno e innovativo nei suoi canali di vendita e logistica: dalla distribuizione ‘O2O’ (offline to online) nelle metropoli, all’e-commerce servito da droni su tutto il territorio. Seguiamo, quindi, con molta attenzione questi sviluppi. Oggi, più che ieri, il mercato cinese cerca proprio ciò che l’Italia, meglio di altri fornitori, può dare: creatività e design, innovazione e tradizione, qualità e riconoscibilità, affidabilità e customizzazione. In quali settori? Sicuramente le tradizionali 4F del Made in Italy (food, forniture, fashion, fun). Non è un caso che fra gli accordi operativi che ho ricordato prima ce ne siano alcuni che coinvolgono i maggiori player cinesi del comparto e-commerce nei settori del fashion, food e lifestyle. Questi accordi sono il frutto di un lavoro avviato lo scorso anno, proprio con l’obiettivo di favorire un maggior utilizzo del canale digitale da parte delle nostre imprese, che sono in maggioranza di dimensioni piccole o medie e non sempre dispongono delle strutture e dell’esperienza necessarie a sfruttare al meglio le opportunità offerte da questo strumento.
Il volume degli scambi bilaterali continua a aumentare, ma lei prima ha ricordato che l'export italiano verso la Cina rappresenta solo il 3% dell'export totale italiano mentre le importazioni cinesi di prodotti italiani rappresentano meno dell'1% dell'import totale cinese. Secondo lei, come possiamo aumentare questi volumi...?
La parola d’ordine è innovazione. Con i programmi di sviluppo della Cina del XIII Piano Quinquennale le nostre aziende sono pronte a giocare una partita importante in termini di innovazione e qualità, tradotte in un'offerta customizzata alle necessità di interi settori: penso alle tecnologie avanzate in agricoltura, alle soluzioni customer-made delle macchine utensili, al biomedicale e all’elettromedicale, settori in cui in Cina le aziende italiane godono di una ottima reputazione. E poi ci sono le azioni che citavo prima, attraverso i nuovi canali e-commerce: è una delle componenti innovative della promozione su cui stiamo lavorando, attraverso una serie di accordi con marketplace digitali, come Suning, JD e HEMA, per facilitare l’accesso delle nostre imprese, soprattutto quelle piccole e medie, alle vetrine virtuali.